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Heisenberg al cinema - Analisi di film a partire dal principio di indeterminazione

dalla prefazione

un testo di J.Cabrera metteva in guardia dal definire la filosofia nei confronti dell’arte come qualcosa di perfettamente definito. Essa non dovrà circoscrivere l’indagine su se stessa nei meandri della propria tradizione, ma inserirsi al contrario nella totalità della cultura, perché, “già sensibile e reagente di suo, via via si ridefinisce dinanzi al mito, alla religione, alla scienza, alla politica e alla tecnologia.”. Se si può a prima vista prestare diffidenza al parlare del cinema come forma di pensiero, bisogna tuttavia riconoscere, secondo il critico, il carattere onnicomprensivo della filosofia: questa infatti, non solo, almeno sul sorgere, non è incompatibile ad una introduzione attraverso immagini ai suoi problemi, ma anzi il pensare ad una inconciliabilità costituirebbe persino un pregiudizio, poiché se c’è va argomentata, dal momento che non si tratta affatto di una cosa ovvia. Forse addirittura,

per esprimere le intuizioni avute da filosofi (…) in merito ai limiti di una razionalità esclusivamente logica e soprattutto alla rilevazione di certi aspetti del mondo che non sembrano percepibili senza la partecipazione dell’elemento affettivo, il cinema ci offre un linguaggio più appropriato rispetto al linguaggio scritto .

Questo avviene perché il cinema utilizza una ragione logo-patica appunto, e non solamente “logica”, poiché la componente emotiva non schiaccia la razionalità, bensì la ridefinisce, veicolando, oltre alla consueta esperienza estetico-sociale che concerne la visione di un film, anche una valenza di natura cognitiva, argomentativa. Pertanto non parrà eccessivo vedere nel linguaggio del cinema un’alternativa forma di espressione utile per immaginarci simboli e figure di concetti quali il principio d’indeterminazione di Werner Heisemberg, che costituisce il leit motiv e l’oggetto unificante del percorso proposto.
La struttura prevede un capitolo che tratta in maniera piuttosto dettagliata della pellicola dei Coen, L’uomo che non c’era (2001), che ha rappresentato la spinta principale alla presente ricerca. L’analisi è inframmezzata da una lunga parentesi, di carattere il più possibile scientifico ma parimenti riassuntivo, sulla meccanica quantistica e sulle sue ripercussioni sul pensiero occidentale contemporaneo, ovvero i nuovi orizzonti dettati dalla crisi del determinismo. La prima sezione, evidentemente di segno introduttivo, ha il portante obiettivo di orientare la successiva analisi nei film proposti dalla seconda sezione, la quale analisi, per evitare la pedante ripetizione dei concetti fisici suddetti, citerà al minimo la valenza indeterministica delle storie, suggerendo quindi una lettura maggiormente intuitiva. Rashomon (A.Kurosawa,1958), L’année dernière à Marienbad (A.Resnais, 1961), Before the rain (M.Manchevski, 1994), Agnes of God (N.Jewison, 1985), sono le tappe di questo viaggio che servono a rappresentare vari aspetti complementari del principio di Heisemberg. Le varie analisi dei film (possibili letture fra molte) seguono la strategia di isolare quei punti riconducibili al problema filosofico, che siano caratteristiche a livello narrativo o di contenuto (per esempio la labilità del concetto di verità in Rashomon), o formale (per esempio la manipolazione dello spazio e del tempo in Marienbad).

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4 Prefazione Una premessa metodologica risulta necessaria per evidenziare il carattere arbitrario di un lavoro costruito sulla base di collegamenti tra discipline piuttosto eterogenee quali la fisica, la filosofia ed il cinema. Riteniamo di conseguenza utile una lettura dettata solo in minima parte dal rigore: il testo che segue rappresenta una sorta di “pastiche”, siamo pertanto consapevoli dell’innegabile (e forse inevitabile) rischio di una certa volgarizzazione di alcuni temi complessi dal momento che ci avventureremo con presunzione in un terreno composito di tali competenze tradizionalmente considerate diametralmente opposte, come campo scientifico ed umanistico; sicuramente commetteremo errori, formuleremo delle ingenuità, col rischio di conseguenza di definire in maniera insufficiente e fumosa certi concetti. Proietteremo la filosofia e la fisica sul cinema (e viceversa) alla stregua di mappe e simboli per orientarci nelle parabole narrative dei film in questione, coscienti del fatto di servirci di rappresentazioni della realtà tarate su livelli differenti, come se si intendesse per esempio partire per un viaggio utilizzando una cartina esclusivamente orografica, senza alcuna indicazione di strade. Ma, come abbiamo precisato, non è il rigore l’obiettivo della presente ricerca, la quale intendiamo presentare come una semplice introduzione al dibattito, un invito a un percorso, ad un viaggio, se riprendiamo la metafora precedente; con la convinzione che le mappe (cioè i vari campi disciplinari in questione) rappresentino la medesima realtà da prospettive differenti: griglie metodologiche eterogenee verticalmente sovrapposte ed integrate a vicenda in una sorta di simbiosi per uno stesso oggetto di studio. Del resto non siamo certo i primi a tentare un percorso del genere: citiamo ad esempio la premessa metodologica di un testo di J.Cabrera 1 , il quale, all’interno del capitolo “Cinema e filosofia, per una critica della ragion logopatica”, mette in guardia dal definire la filosofia nei confronti dell’arte come qualcosa di perfettamente definito. Essa non dovrà circoscrivere l’indagine su se stessa nei meandri della propria tradizione, ma inserirsi al contrario nella totalità della cultura, perché, “già sensibile e reagente di suo, via via si ridefinisce dinanzi al mito, alla religione, alla scienza, alla politica e alla tecnologia.”. Se si può a prima vista prestare diffidenza al parlare del cinema come forma di pensiero, bisogna tuttavia riconoscere, secondo il critico, il carattere onnicomprensivo della filosofia: questa infatti, non solo, almeno sul sorgere, non è incompatibile ad una introduzione attraverso immagini ai suoi problemi, ma anzi il pensare ad una inconciliabilità costituirebbe persino un 1 Il testo di riferimento è J.Cabrera, Da Aristotele a Spielberg : capire la filosofia attraverso i film, a cura di M.Di Sario, Milano, Mondadori, 2000.

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