5
pregiudizio, poiché se c’è va argomentata, dal momento che non si tratta affatto di una cosa
ovvia. Forse addirittura,
per esprimere le intuizioni avute da filosofi (…) in merito ai limiti di una razionalità
esclusivamente logica e soprattutto alla rilevazione di certi aspetti del mondo che non
sembrano percepibili senza la partecipazione dell’elemento affettivo, il cinema ci offre un
linguaggio più appropriato rispetto al linguaggio scritto
2
.
Questo avviene perché il cinema utilizza una ragione logo-patica appunto, e non
solamente “logica”, poiché la componente emotiva non schiaccia la razionalità, bensì la
ridefinisce, veicolando, oltre alla consueta esperienza estetico-sociale che concerne la visione
di un film, anche una valenza di natura cognitiva, argomentativa. Pertanto non parrà
eccessivo vedere nel linguaggio del cinema un’alternativa forma di espressione utile per
immaginarci simboli e figure di concetti quali il principio d’indeterminazione di Werner
Heisemberg, che costituisce il leit motiv e l’oggetto unificante del percorso proposto.
La struttura prevede un capitolo che tratta in maniera piuttosto dettagliata della
pellicola dei Coen, L’uomo che non c’era (2001), che ha rappresentato la spinta principale
alla presente ricerca. L’analisi è inframmezzata da una lunga parentesi, di carattere il più
possibile scientifico ma parimenti riassuntivo, sulla meccanica quantistica e sulle sue
ripercussioni sul pensiero occidentale contemporaneo, ovvero i nuovi orizzonti dettati dalla
crisi del determinismo. La prima sezione, evidentemente di segno introduttivo, ha il portante
obiettivo di orientare la successiva analisi nei film proposti dalla seconda sezione, la quale
analisi, per evitare la pedante ripetizione dei concetti fisici suddetti, citerà al minimo la
valenza indeterministica delle storie, suggerendo quindi una lettura maggiormente intuitiva.
Rashomon (A.Kurosawa,1958), L’année dernière à Marienbad (A.Resnais, 1961), Before the
rain (M.Manchevski, 1994), Agnes of God (N.Jewison, 1985), sono le tappe di questo
viaggio che servono a rappresentare vari aspetti complementari del principio di Heisemberg.
Le varie analisi dei film (possibili letture fra molte) seguono la strategia di isolare quei punti
riconducibili al problema filosofico, che siano caratteristiche a livello narrativo o di
contenuto (per esempio la labilità del concetto di verità in Rashomon), o formale (per
esempio la manipolazione dello spazio e del tempo in Marienbad).
La linea metodologica precedentemente riportata da Julio Cabrera ricalca appieno il
nostro modo di procedere, dunque l’invito è quello di considerare le esposizioni che
seguiranno non certo permanenti e indiscutibili, ma al contrario come una sorta di
2
J.Cabrera, Da Aristotele a Spielberg : capire la filosofia attraverso i film, a cura di M.Di Sario,
Milano, Mondadori, 2000, pag.7
6
avviamento a un dialogo, aperto. Coerentemente nondimeno ci si potrà imbattere nel corso
della lettura in cambiamenti di rotta: per esempio una metafora (il cerchio), che in un primo
tempo verrà giudicata perfetta ad immaginarci la cosiddetta filosofia dei quanti, verrà
successivamente rimaneggiata e, attraverso il film di Manchevski, progressivamente
“modificata”. In altre parole anche la forma del nostro testo tenderebbe a riflettere un
carattere portante del tema in discussione.
Chiudendo il presente avvertimento sull’arbitrarietà e la forzatura del percorso
suggerito e sull’eventuale carenza di rigore riguardo ad assunti strappati a fisica e mondo
umanistico, possiamo ancora sottolineare il prospettivismo dell’intento: accedere a questi
mondi eterogenei, dalla fisica alla celluloide, dal punto di vista dell’indeterminismo, nella
convinzione che questa avviante ed emotivamente “impattante” esperienza che è il cinema
dica qualcosa sul mondo, sebbene dica qualcosa che appartiene più all’ordine della
“Possibilità” piuttosto che a quello della “Necessità”. Tuttavia questo aspetto è
fondamentale, perché se non conserviamo questo valore difficilmente potremmo parlare,
secondo un senso profondo e non solo figurato, di Filosofia nel Cinema, o attraverso il
Cinema
3
. Da ciò il motivo del titolo: “Heisemberg al Cinema”.
3
J.Cabrera, Da Aristotele a Spielberg : capire la filosofia attraverso i film, a cura di M.Di Sario,
Milano, Mondadori, 2000, pag.11
7
1. Parte prima.
Introduzione al principio d’indeterminazione.
“The more you look, the less you really know”
(Freddy Riedenschneider, cfr.fig.2)
“Io, taglio solo i capelli”
(Ed Crane)
1.1 Dead man smoking
“The man who wasn’t there” (Joel & Ethan Coen, U.S.A., 2001)
Scritto e diretto da Joel & Ethan Coen
Interpreti:
Ed Crane-Billy Bob Thornton,
Doris Crane-Frances McDormand,
Big Dave-James Gandolfini,
Frank-Michael Badalucco,
Walter Abundas-Richard Jenkins,
Birdy Abundas-Scarlett Johansson,
Tolliver-Jon Polito,
Freddy Riedenschneider- Tony Shaloub,
Ann Nirdlinger-Katherine Borowitz
“Io non vedo nessuno, e nessuno vede me”: Ed Crane perverrà nel corso del film a
definirsi entità invisibile e immateriale, una sorta di fantasma, in coerenza con la prima
rappresentazione con cui ci viene presentato: in ralenti e immerso in una costante coltre di
fumo. Un grigiore riflesso dai suoi capelli, dagli abiti fuori moda. Così aspetterà nella sua
cella la morte, consapevole di essere già da parecchio tempo uscito dalla vita, perfino forse di
non esservi mai entrato. L’uomo che non c’era è un aiuto-barbiere di una provincia,
indifferente apatico e di poche parole, flemmatico, un “looser”, rassegnato alla sconfitta,
introverso, emotivamente represso, indulgente verso le sigarette (secondo la più tipica
tradizione noir
4
, del quale genere il film si configura come manipolazione metanarrativa
5
).
4
Chiara l’ascendenza “mistery” che il film esibisce: dai romanzi neri di Hammet, Chandler, e Cain
portati al grande schermo, da “La Fiamma del peccato” a “Il postino suona sempre due volte”, da
Hawks, Welles, Hitchcock, Wilder, Siodmak e Fritz Lang, da Montgomery Clift o Humphrey Bogart:
per cui ad esempio è facile ritrovare il tema/topos della donna padrona-maschio irretito o rivedere
nella riflessiva voce-off di Thornton quella, in qualità di uomo morto che parla, di William Holden
sul suo “Viale del tramonto”(B.Wilder, 1950), senza contare i curiosi espliciti riferimenti disseminati
8
Nella vita si è barricato in un’inattiva maschera di spettatore, passivo assistente: nel negozio
del cognato, nel nucleo familiare, nelle relazioni interpersonali. Inciampa nelle cose, subisce
le scelte altrui (come nel caso del matrimonio), tanto che pure l’assassinio non sarà frutto
della sua volontà, ma un gesto non premeditato e dettato dalla casualità. Lui, taglia solo i
capelli. Fuma. Ascolta. Per Crane il mondo esterno esiste come un attore su un palco, è lì
ma è un’altra cosa, direbbe Pessoa.
1949, Santa Rosa (la stessa de L’ombra del dubbio, A.Hitchcock, 1944): Crane (che
vive in zona residenziale da tipica classe media americana) lavora dal cognato (di origini
italiane) ed ha una moglie, Doris, contabile dell’emporio dell’amico Big Dave (che ha
intestato alla moglie Nirdlinger il locale). La volontà di riscatto
6
che cova Ed si concretizza
quando può ricattare proprio Big Dave, in quanto supposto amante di sua moglie, per
guadagnare abbastanza soldi per investire nell’ambizioso affare del futuro: il “lavaggio a
secco”, propostogli dall’ambiguo tracagnotto Tolliver, improbabile imprenditore in cerca di
un socio finanziatore. Fallisce il piano (con tanto di lettera anonima minatoria), uccide per
legittima difesa l’amante-rivale Big Dave, il quale era risalito attraverso il denaro al connubio
tra Ed e Tolliver, ma in prigione va però Doris, una volta rilevate le irregolarità contabili
all’emporio. Nonostante l’avvocato di grido F.Riedenshneider abbia un asso nella manica
per salvarla dalla pena di morte, (per l’appunto il principio d’indeterminazione applicato alla
legge grazie al concetto di “ragionevole dubbio”), la moglie tuttavia si suicida. Aspettava un
figlio dall’amante.
Crane vive un progressivo ulteriore svuotamento della propria esistenza, segnato da
alienazione e solitudine: ipotecato il negozio, si reinventa, in una parentesi di sapore
lolitesco, pigmalione di Birdy, ragazzina studentessa di piano, tutta tecnica ma senza talento.
lungo la pellicola: l’Hobert Arms dove alloggia Tolliver porta lo stesso nome di quello di Marlowe ne
Il grande sonno (H.Hawks, scritto da Chandler, 1946), e Riedenschneider è colui che confeziona il
colpo in Giungla d’asfalto (J.Huston, 1950). Nirdlinger (moglie di Big Dave) porta il nome di una
protagonista di un romanzo di Cain sopraccitato. (cfr. L.Aimeri, G.Frasca, Manuale dei generi
cinematografici, Milano, Utet, 2002)
5
Riguardo l’autoriflessività del testo accantoniamo l’argomento che per il suo approfondimento ci
porterebbe fuori strada: rimandiamo alle pagine monografiche di L.Aimeri, G.Frasca, Manuale dei
generi cinematografici, Milano, Utet, 2002, pag.279.
6
Ed tenta di imprimere alla sua vita una svolta, innanzitutto economica, nell’obiettivo di un balzo
sociale. Si potrebbe fare tutto un discorso a parte riguardo alla critica della cultura consumistica
americana, allo sbeffeggiamento che il film fa indirettamente al Sogno Americano, cioè il credere che
il proprio modello di vita vada solo un po’ aggiustato per poter funzionare in maniera corretta, cioè il
raggiungimento dello stesso livello (di consumo), anelando al momento del “salto” di qualità
definitivo. L’ottimismo del benessere, la comodità della propria poltrona da barbiere e la sua nicotina
illudono Crane: ma la possibilità del grande salto non esiste, o peggio: se ci provi puoi svelare la
truffa, ma il massimo che poi ti è concesso è continuare a viverla osservandola, o di morire per il
motivo sbagliato. Così L’uomo che non c’era è un perfetto esempio di cinema anti-interattivo:
neanche l’eroe riesce a far modificare le cose, potendo solo imprimere ciechi spostamenti
all’inevitabile che comunque si ritorcono contro di lui.
Cfr.L.Persiani, La tragedia desaturata, (www.offscreen.it).
9
E come il protagonista del modello di riferimento, Il postino suona sempre due volte
(T.Garnett, dal romanzo di Cain,1946), un incidente automobilistico (al ritorno con Birdy da
un provino fallimentare finisce fuori strada quando lei intende “ringraziarlo”) marca il
cosiddetto ”innost cave”, l’inversione di rotta del cerchio del “viaggio dell’eroe” verso il
finale, un passaggio attraverso la morte, l’introduzione in una dimensione onirica cui
corrisponde una differente impostazione linguistica dell’ultimo atto del film, nel quale i fatti
scivoleranno sintetizzati tra voce-over e immagini, attraverso un punto di focalizzazione
sempre più interno; infine i piani del racconto si confonderanno, perché dopo l’incidente (le
immagini si avvitano come in una centrifuga) siamo definitivamente nella testa di Ed
7
.
Al risveglio verrà condannato alla sedia elettrica per un omicidio che non ha
commesso (è stato probabilmente Big Dave ma non si può dimostrare), cioè l’assassinio della
“mammola” del lavaggio a secco, l’improbabile imprenditore, che si era volatilizzato dopo
l’adescamento di Crane; documenti di quest’ultimo vengono trovati addosso a Tolliver al
momento del suo ripescaggio, pestato a morte, dal fondo di un lago
8
. E frattanto avverranno
fenomeni grotteschi e paranormali, come l’apparizione di dischi volanti, sulla scia dei
fantomatici eventi di Roswell dell’epoca. La voce-off, che ripercorre all’indietro l’intera
vicenda sotto forma di racconto venduto a una rivista (una di quelle che si leggono dal
barbiere), è quella di Crane-Thornton nel braccio della morte. La trama, insomma, ricca di
digressioni, si presenta d’impatto come qualcosa che dal punto logico confonde, e, incerta tra
l’oggettività dei fatti e il filtro onirico del protagonista, tende a spiazzare.
I Coen disseminano fin dall’inizio chiavi di lettura attraverso elementi infradiegetici: la
colonnina da barbiere su cui indugiano i titoli di testa
9
. La spirale sembra salire, secondo un
moto perpetuo, ma naturalmente è un’illusione ottica. La narrazione tende allo stesso effetto,
resta inchiodata a se stessa, in una beffarda circolarità che vanifica le speranze e le azioni dei
protagonisti. L’inesorabilità di questo eterno ritorno, questo superamento del tempo lineare
e causale, riemerge in ogni simbolo circolare, dal cerchione al ralenti dell’incidente al disco
volante, alla luce in fronte del dottore… Dunque che razza di uomo è Ed Crane?
10
E’
l’uomo dei nostri tempi, spiega alla giuria popolare il principe del foro dal cognome crucco,
incolpabile perché non c’era, sperduto in un regno caotico, in un relativismo gnoseologico
dalle traiettorie indecifrabili, inconoscibili, indeterminabili: che l’unica maniera di
descriverle diviene appunto il cerchio, cioè un moto paradossalmente immobile. Dove il
7
L.Aimeri, G.Frasca, Manuale dei generi cinematografici, Milano, Utet, 2002, pag.284
8
La scena esplicita la citazione di un altro classico noir: La morte corre sul fiume (Laughton, 1955) è
riletta parodicamente attraverso l’aggiunta del parrucchino che fluttua.
9
L.Gandini, Alle radici del noir, “Cineforum”, n°411, 2002, pag.17. (Cfr.fig.1)
10
La domanda (-what kind of man are you?-) è rivolta allo stesso protagonista nel corso del film: una
prima volta da parte di Big Dave che ha appena invitato Ed Crane all’emporio perchè ha scoperto la
truffa, una seconda volta da parte di suo cognato in tribunale mentre gli imputa la colpa di ogni cosa.
10
movimento c’è e allo stesso tempo non c’è. Possiamo vedere come la spirale ingannevole
palesi proprio l’impossibilità di cogliere simultaneamente posizione e moto della luce che
innesca e produce l’effetto girevole nella colonnina. Ora, risulterebbe estremamente difficile
trovare una rappresentazione metaforica più pertinente di questa riguardo alla scoperta
scientifica di Heisemberg.
Si riterrà necessario illustrare e contestualizzare il problema, attraversando una breve
descrizione divulgativa dell’argomento d’ordine fisico e le ripercussioni a tutto campo nella
storia della filosofia contemporanea del ‘900.
1.2 Cenni di fisica quantistica.
A cavallo dei secoli diciannovesimo e ventesimo nel paesaggio della fisica classica si
aprì un crepaccio insanabile: alcune scoperte, dall’enunciazione della Teoria della Relatività
alla formulazione della Teoria dei Quanti, rivelarono le lacune e la pretestuosità delle leggi
della meccanica classica di Newton, conformi a realtà finquando applicate a corpi del nostro
ordine di grandezza. Antiche posizioni da sempre considerate sicure ed immutabili vennero a
ribaltarsi l’una dopo l’altra sull’onda dei rinvenimenti scientifici sul mondo subatomico che
si susseguirono con ritmo impressionante agli albori del secolo.
Si comincia a parlare di “radioattività”
11
: la pietra più salda della fisica moderna, la
legge di conservazione dell’energia, sembra già venir meno se consideriamo il fallimento
delle teorie sull’a-tomo inerte ed immutabile, entità sempre uguale a se stessa. Ora si
comincia piuttosto a parlare d’elettroni nell’ottica di una materia almeno parzialmente in
perenne evoluzione spontanea, dunque non più entità stabile ma al contrario in grado di
mutare e liberare energia senza il rispetto rigoroso delle leggi di conservazione.
1902, il fisico tedesco Max Planck introduce per primo l’idea per la quale l’ emissione
di onde elettromagnetiche, invece che continua, sia costituita di un flusso di quantità discrete
di energia in sorta di pacchetti, i quanta. In pratica l’energia è “granulare”. Di lì a poco un
altro grande dogma sta per cadere, la continuità del mondo fisico, per cui “natura non facit
saltus”, come affermava Leibniz nel Settecento. In realtà, sostiene Planck, siamo indotti a
pensare che la natura inversamente non faccia altro che salti, seppure impercettibili. Albert
Einstein, fra i primi a intuire l’importanza della scoperta, contribuisce grandemente allo
sviluppo della teoria e alla sua conferma sperimentale, attraverso gli studi sul cosiddetto
effetto fotoelettrico (torneremo un secondo momento sul fatto che sia l’ideatore Planck sia lo
11
La scoperta della radioattività risale agli studi dei coniugi Curie, in particolare alle analisi del 1898.
(cfr. Bergia, G. Dragoni, G. Gottardi. Dizionario biografico degli scienziati e dei tecnici, Bologna,
Zanichelli, 1999)
11
stesso Einstein, per tutta la loro vita, si rifiutarono di accettare come entità reali quei
pacchetti di energia, da essi chiamati quanti o fotoni).
I fotoni (lichtquanten) si rivelano però, sperimentalmente, entità reali e quindi
misurabili; dotati di una doppia natura ondulatoria e corpuscolare: essi si comportano, cioè,
in alcuni casi come onde ed in altri come particelle, a seconda degli esperimenti cui vengono
sottoposti. Solo che, mentre le particelle “materiali” (elettroni, protoni e neutroni, con i loro
componenti e derivati) hanno una massa, i fotoni essendo atomi di luce sono pura energia.
La meccanica quantistica da quel momento consisterà allora nella branca della scienza
fisica atta a descrivere questi comportamenti, corpuscolare e ondulatorio insieme, delle
particelle elementari dotate di massa. A livello molecolare, atomico e sub-atomico, nucleare
e sub-nucleare, la natura non sopporta più di fatto le leggi della meccanica classica: gli
oggetti “quantistici” (atomi, elettroni, quanti di luce, ecc.), ovvero quegli oggetti che
eravamo abituati a considerare solidi, anche se ultra-microscopici, si trasformano ora
piuttosto in fenomeni probabilistici. Si trovano in altre parole in stati indefiniti, che possono
essere descritti solo da equazioni matematiche (come la “funzione d'onda” di Schrödinger).
Soltanto l’atto della misurazione da parte di un soggetto sperimentatore, fornisce un valore
reale; ma finché la misura non viene eseguita, l’oggetto quantistico resta in uno stato astratto
e indefinito, “nebuloso”, sebbene sia matematicamente definito: esso descrive cioè solamente
una “potenzialità” dell’oggetto o del sistema fisico in esame, ovvero contiene l’informazione
relativa ad una “rosa” di valori possibili (rappresentati dalle diverse soluzioni delle
equazioni), ciascuno con la sua probabilità di divenire reale ed oggettivo all’atto della
misura. Nel linguaggio della meccanica quantistica, ci ricorda Bruno Valentini, si dice che al
momento della misura lo stato “collassa” in uno dei tanti possibili stati dotati di un valore
definito.
Eccoci dunque all’importanza dell’intuizione del fisico teorico Werner Heisenberg
12
(1901-1976) espressa nel 1927 col celebre "Principio di Indeterminazione” (dalla
pubblicazione delle cosiddette “Relazioni di incertezza”), per il quale non è possibile
prevedere, in alcun modo, quale valore effettivo si avrà all’atto della misura delle
caratteristiche di un sistema fisico, ma ci si dovrà accontentare soltanto di una rosa di
probabilità su certi valori matematicamente definiti. Egli afferma che misurando con grande
precisione la posizione di una particella, avremo, in linea di principio in maniera
inversamente proporzionale, una certa approssimazione sulla sua velocità, e viceversa.
Questo fenomeno alteratorio sarà descritto col termine “perturbazione”, vale a dire che il
tentativo di diminuire l'incertezza della misurazione di una delle due coordinate è destinato
12
Tra gli scritti di Heisemberg (Nobel per la Fisica nel 1932): Principi fisici della teoria quantistica
(1930), Raggi cosmici (1946), Fisica e filosofia (1958), Introduzione alla teoria unificata delle
particelle elementari (1967).
12
allo scacco, poichè interagirebbe con l'elettrone in maniera da aumentare l'incertezza con la
quale si può misurare l'altra coordinata. La precisione nella misurazione di una coordinata
canonica va necessariamente a discapito della precisione nella misurazione dell'altra.
13
L’atto di osservazione influenza il fatto; le proprietà reali ed oggettive di un sistema
fisico, definite dunque solo quando vengono misurate, vengono inautenticate dall’atto di
misura. La realtà è creata in parte dall'osservatore cosciente
14
. Heisenberg, dimostrò in
altre parole che qualsiasi misura effettuata su un complesso fisico, chimico o biologico, era
affetta da un errore che può essere intuito sulla base di un semplice esperimento suggerito da
M.Guidotti
15
. Immaginiamo di voler misurare la temperatura dell’acqua contenuta in una
vasca. Per far ciò abbiamo bisogno di un termometro. Lo immergiamo nell’acqua e dopo un
po’ leggiamo sulla scala graduata la temperatura dell’acqua. In effetti, l’esperimento che
appare molto semplice non è proprio tale. In realtà, quella che abbiamo letto è la temperatura
del mercurio che, ricevendo calore dall’acqua, ha aumentato la sua temperatura e si è dilatato
lungo la scala graduata. Se però ha ricevuto calore dall’acqua, allora l’acqua ha diminuito la
propria temperatura, sicché quella che leggiamo sul termometro è la temperatura di equilibrio
acqua-mercurio. Allora immergendo il termometro in acqua ne abbiamo alterato la
temperatura. D’accordo, in sostanza la cosa ha poca importanza: dopo tutto, l’acqua avrà
ridotto la sua temperatura in misura trascurabile. E’ vero, ma se con lo stesso termometro
avessimo misurato la temperatura dell’acqua contenuta in una tazzina da caffè, l’errore non
sarebbe stato trascurabile.
In sostanza, quel che Heisenberg ha dimostrato, è che qualsiasi misura induce un errore
sull’oggetto osservato. Il limite denunciato dal principio di Heisenberg non deriva da
difficoltà tecniche, è indipendente dai particolari di qualunque strumento e procedimento di
misura. Esso non può essere superato da alcun progresso tecnologico: “l’impossibilità di
13
Per esempio se si cerca di determinare con precisione assoluta la posizione di un elettrone in un
dato istante facendolo scontrare con una lastra fotografica che ne registra l'arrivo, l'urto con la lastra
consente effettivamente di annullare l'incertezza circa la misurazione della posizione, ma
contemporaneamente altera del tutto il movimento della particella e dunque preclude la possibilità di
ottenere informazioni su quella che era la velocità dell'elettrone nel momento in cui giungeva sulla
lastra. L'indagine sulle procedure sperimentali possibili per gli oggetti atomici condusse perciò
Heisenberg a enunciare un principio di indeterminazione: nella misura delle coordinate canoniche di
un oggetto atomico l'incertezza dei risultati di misura non si può rendere piccola a piacere. Il prodotto
delle incertezze nelle misurazioni delle coordinate canoniche non può scendere sotto un limite
inferiore. Perciò la diminuzione dell'incertezza, ovvero l’aumento di precisione nella misurazione di
una coordinata, provoca necessariamente un aumento di imprecisione nella misurazione dell'altra.
Non è possibile conoscere contemporaneamente con precisione assoluta i valori di due coordinate
canoniche. Cfr. La meccanica quantistica e la filosofia (www.istitutotorno.it/bellone/
lameccanicaquantistica.htm)
14
Cfr.B.Valentini, Logos, (www.fisicamente.it)
15
Cfr. M.Guidotti, L'uomo la scienza e... i media, (www.nemesi.net)