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Das Unheimliche: il cinema di David Lynch

In Lynch il desiderio di fare del cinema nasce innanzitutto dalla volontà di vedere animarsi i suoi quadri. La prima attività del regista è, per sua stessa ammissione, quella di pittore. Lynch approda al cinema quasi per caso, attraverso una serie di sperimentazioni che vedono all’origine la necessità di liberare dalla stasi le figure da lui dipinte sulla tela.
Il cinema è per lui un mezzo utile non tanto a veicolare un messaggio, quanto semmai a esaudire un bisogno che è strettamente legato alla pittura.
Nel suo cinema prevalgono i sensi e non i significati. Lynch si rivolge allo spettatore e lo vuole attivo nella percezione tattile e non razionale delle immagini che gli propone. Non vuole ingannarlo, confonderlo, fuorviarlo, ma desidera coinvolgerlo in una percezione “altra”, più diretta e immediata, che distrugge gli automatismi consolidati. Anche quando sceglie il look, le scenografie, i colori che rimandano con chiarezza al cinema degli anni Cinquanta, la sua scelta non è dettata da sofisticate nostalgie cinefile. In realtà a parte questi rimandi “di superficie” agli anni Cinquanta, il regista colloca le vicende dei suoi film in un tempo che sembra indefinito, rafforzando il loro senso di irrealtà e di mistero.
Lynch ancora molto giovane, seppur non a livello cosciente, percepisce il lavorio di qualcosa di sotterraneo e brulicante destinato ad esplodere rivelandosi al mondo in tutto il suo orrore.
Uno dei concetti più usati per definire il cinema di David Lynch è quello freudiano di “perturbante” o “inquietante”.
Nel saggio del 1919 dal titolo”Das Unheimliche” (tradotto in italiano con l’espressione “Il perturbante”) Freud ci avverte che si sta inoltrando nel territorio dell’estetica per analizzare quella qualità del sentimento che in tedesco viene tradotta col termine Unheimliche, locuzione che assume una serie di sfumature da approfondire. Queste sfumature riguardano in primo luogo l’ambiguità del termine heimlich. E infatti Freud scrive:«In generale vediamo che la parola heimlich non è priva di ambiguità: da una parte significa ciò che è familiare e piacevole e, dall’altra, ciò che è nascosto e tenuto celato.[…] Però rileviamo che Schelling dice una cosa che illumina il concetto di unheimlich, in un modo inaspettato. Secondo lui è unheimlich tutto ciò che doveva rimanere segreto ma è venuto alla luce». In seguito a una serie di riflessioni etimologiche, Freud arriva a concludere che Heimlich è «una parola che si sviluppa in modo ambivalente, sino a coincidere con il suo opposto Unheimlich».
In Lynch non c’è a priori alcuna intenzione consapevole di perseguire una traiettoria psicanalitica.
Nonostante i continui possibili rimandi ad una lettura di taglio freudiano
dei suoi film, ciò che è certo è che in lui non esiste alcuna volontà esplicita
di seguire questo tipo di percorso. Di più. In Lynch non esiste la necessità
di procedere ad una sinossi del proprio lavoro, a prova ulteriore del fatto
che sono i sensi e non la ragione la matrice e il fine ultimo dei suoi film, a
dimostrazione che non esiste “premeditazione” che non sia puramente
estetica.
Roy Menarini, nel suo libro di recente pubblicazione dal titolo «Il cinema di David Lynch», arriva a sostenere che ciò che interessa a Lynch è il mistero come: «stato di disorientamento percettivo e cognitivo che coglie lo spettatore - insieme al personaggio - di fronte ad eventi inspiegabili o in attesa di risoluzione. Il fatto che poi questo ”scioglimento” logico dei dubbi a volte non giunga mai, è uno dei motivi più ricorrenti di irritazione da parte dei detrattori[…] ».
Sembra quasi che Menarini metta in discussione il tradizionale schema
narrativo che, secondo gli studi di Vogler («Il viaggio dell’eroe»), soggiace
in ogni racconto. La quintessenza del misterioso secondo Lynch consisterebbe proprio in questo: sapere che qualcosa di tremendo è accaduto o dovrà forse accadere, qualcosa che non si sa cosa sia, da dove provenga né a che condurrà. Di qui il senso di angoscia, di onirismo, di indicibilità e di inquietudine.
Insomma nei suoi film c’è una sensazione diffusa di minaccia che pervade anche i luoghi in apparenza più sicuri, come la casa, il giardino, la camera da letto.
E`qui che l’inquietante viene alla luce nei suoi film. Esso non risiede semplicemente in tutto ciò che è bizzarro, strano, grottesco, ma è anzi l’opposto di tutte quelle cose che, in virtù della loro esagerazione, rifiutano per natura di provocare paura.
Per dirla con Freud: «L’inquietante è tale proprio in quanto fin troppo familiare, ed è questo il motivo per cui viene rimosso».
Ecco l’essenza del cinema di David Lynch.

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I INTRODUZIONE In Lynch il desiderio di fare del cinema nasce innanzitutto dalla volontà di vedere animarsi i suoi quadri. La prima attività del regista è, per sua stessa ammissione, quella di pittore. Lynch approda al cinema quasi per caso, attraverso una serie di sperimentazioni che vedono all’origine la necessità di liberare dalla stasi le figure da lui dipinte sulla tela. Il cinema è per lui un mezzo utile non tanto a veicolare un messaggio, quanto semmai a esaudire un bisogno che è strettamente legato alla pittura. Nel suo cinema prevalgono i sensi e non i significati. Le inquadrature, la fotografia, la musica, tutto rimanda ai sensi prima ancora che all’intelletto. Lynch si rivolge allo spettatore e lo vuole attivo nella percezione tattile e non razionale delle immagini che gli propone. Non vuole ingannarlo, confonderlo, fuorviarlo, ma desidera coinvolgerlo in una percezione “altra”, più diretta e immediata, che distrugge gli automatismi consolidati. Il rapporto di Lynch con l’immagine si costituisce attraverso elementi intuitivi di derivazione pittorica e figurativa, prima che cinematografica. Anche quando sceglie il look, le scenografie, i colori che rimandano con chiarezza al cinema degli anni Cinquanta, la sua scelta non è dettata da sofisticate nostalgie cinefile. A lui interessa la sostanza figurativa di quell’epoca, l’epoca di splendidi oggetti di design domestico, di colori pastosi e forti, di poltrone in pelle, di case di provincia tutte uguali, perfette e misteriose. In realtà a parte questi rimandi “di superficie” agli anni Cinquanta, il regista colloca le vicende dei suoi film in un tempo che sembra indefinito, rafforzando il loro senso di irrealtà e di mistero. Quello che colpisce è il fatto che Lynch ancora molto giovane, seppur non a livello cosciente, sembri percepire il mondo di allora, raffigurato nelle

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Informazioni tesi

  Autore: Sabina Incardona
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2004-05
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: DAMS - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Stefania Parigi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 119

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