II
pubblicità con larghi sorrisi a mille denti, macchine fiammanti e biscotti
appena sfornati come una realtà che, se guardata con la lente di
ingrandimento, cela al suo interno il germe di una futura catastrofe.
Sembra che egli percepisca il lavorio di qualcosa di sotterraneo e
brulicante che presto sarebbe esploso rivelandosi al mondo in tutto il suo
orrore.
Uno dei concetti più usati per definire il cinema di David Lynch è quello
freudiano di “perturbante” o “inquietante”.
Nel saggio del 1919 dal titolo”Das Unheimliche” (tradotto in italiano con
l’espressione “Il perturbante”) Freud ci avverte che si sta inoltrando nel
territorio dell’estetica per analizzare quella qualità del sentimento che in
tedesco viene tradotta col termine Unheimliche, locuzione che non sta a
indicare semplicemente la sensazione provata di fronte a qualcosa di
strano e di insolito, ma che assume una serie di sfumature da
approfondire.
Queste sfumature riguardano in primo luogo l’ambiguità del termine
heimlich.
E infatti Freud scrive:
«In generale vediamo che la parola heimlich non è priva di ambiguità,
appartenendo a due ordini di idee, che, anche se non contraddittorie,
sono tuttavia assai diverse : da una parte significa ciò che è familiare e
piacevole e, dall’altra, ciò che è nascosto e tenuto celato.[…] Però
rileviamo che Schelling dice una cosa che illumina il concetto di
unheimlich, in un modo inaspettato. Secondo lui è unheimlich tutto ciò
che doveva rimanere segreto ma è venuto alla luce».
In seguito a una serie di riflessioni etimologiche, Freud arriva a concludere
che Heimlich è «una parola che si sviluppa in modo ambivalente, sino a
coincidere con il suo opposto Unheimlich».
III
Se seguiamo queste indicazioni ci rendiamo conto che i due termini, che in
apparenza sembrano indicare realtà in opposizione fra loro, effettivamente
propongono un unico orizzonte di significati, quello in cui ciò che è
quotidiano e familiare è di per sé inquietante in quanto nasconde, dietro
l’apparenza tranquillizzante del conosciuto, qualcosa di perturbante
perché profondamente ignoto.
Freud continua: «La negazione UN- non cancella, ma svela; e svela il
segreto dello Heim, della dimora…»
In Lynch non c’è a priori alcuna intenzione consapevole di perseguire una
traiettoria psicanalitica.
Nonostante i continui possibili rimandi ad una lettura di taglio freudiano
dei suoi film, ciò che è certo è che in lui non esiste alcuna volontà esplicita
di seguire questo tipo di percorso. Di più. In Lynch non esiste la necessità
di procedere ad una sinossi del proprio lavoro, a prova ulteriore del fatto
che sono i sensi e non la ragione la matrice e il fine ultimo dei suoi film, a
dimostrazione che non esiste “premeditazione” che non sia puramente
estetica.
Anche il suo rapporto con la critica e il pubblico è caratterizzato da questo
tipo di difficoltà, da questo divario fra le proprie intenzioni creative e
l’analisi a posteriori del proprio lavoro.
Infatti dice: «La gente vuole che tu le parli e questo più o meno lo
capisco[...]. Inoltre un altro problema è che si parla di una data cosa fino
alla noia. Cominci a riflettere su come articolare un certo pensiero e poi di
colpo lo vedi per quello che è, e un po’ di magia se ne va. E`rischioso.
Quando parli di qualcosa, a meno che tu non sia un poeta, ciò che è
grande si rimpicciolisce.
Oppure, come succede con i critici, non appena apri bocca fanno “Oh sì!
Lo sapevo”. Però c’era bisogno che qualcuno lo dicesse prima che
divenisse reale[...]. Come quando un autore è scomparso: si leggono i
suoi libri ma lui non è più in circolazione, non gli si possono porre
domande, e nondimeno dal suo libro si estraggono tonnellate di cose. Non
IV
conta come lui la pensasse. Poteva forse essere interessante, ma non è
realmente importante. Ciò che potrei raccontare a proposito di quello che
intendevo dire nei miei film è del tutto irrilevante».
Roy Menarini, nel suo libro di recente pubblicazione dal titolo «Il cinema di
David Lynch», tenta di definire il cinema di Lynch attraverso il termine
“mistero”, sostenendo che gran parte dei suoi film hanno a che fare con
questo concetto.
Procedendo con una catalogazione arbitraria delle varie forme attraverso
cui il mistero si snoda all’interno delle opere dell’autore, Menarini arriva a
sostenere che ciò che interessa a Lynch è il mistero come:
«stato di disorientamento percettivo e cognitivo che coglie lo
spettatore - insieme al personaggio - di fronte ad eventi inspiegabili o
in attesa di risoluzione. Il fatto che poi questo ”scioglimento” logico dei
dubbi a volte non giunga mai, è uno dei motivi più ricorrenti di
irritazione da parte dei detrattori[…] Lynch percepisce come deludente
ogni curva narrativa che si risolva semplicemente nel percorso mondo
tradizionale> evento perturbante> conflitto> sconfitta dell’irrazionale>
ritorno al mondo ricomposto».
Sembra quasi che Menarini metta in discussione il tradizionale schema
narrativo che, secondo gli studi di Vogler («Il viaggio dell’eroe»), soggiace
in ogni racconto.
La quintessenza del misterioso secondo Lynch consisterebbe proprio in
questo: sapere che qualcosa di tremendo è accaduto o dovrà forse
accadere, qualcosa che non si sa cosa sia, da dove provenga né a che
condurrà. Di qui il senso di angoscia, di onirismo, di indicibilità e di
inquietudine.
Il mistero che non si risolve è come un urlo soffocato che implode
generando orrore e frustrazione o anche suggestione compiaciuta di fronte
all’inesplicabile (un po’ quello che Kant definì come sensazione del
Sublime nella suddivisione di senso che fece della categoria del Piacere).
V
Questo mancato di-svelamento del mistero, sempre secondo Menarini, è
come se lasciasse il dato del rimosso - che in altri autori viene svelato - a
un livello definito intransitivo, cioè al livello in cui non ci si libera mai dei
fardelli mentali, in cui la sensazione della paura non sfocia mai in una
razionalizzazione.
Insomma nei suoi film c’è una sensazione diffusa di minaccia che pervade
anche i luoghi in apparenza più sicuri, come la casa, il giardino, la camera
da letto.
Lynch cerca di comunicare una forma di disorientamento che definisce
«essere preso nell’oscurità e nella confusione». E`qui che l’inquietante
viene alla luce nei suoi film. Esso non risiede semplicemente in tutto ciò
che è bizzarro, strano, grottesco, ma è anzi l’opposto di tutte quelle cose
che, in virtù della loro esagerazione, rifiutano per natura di provocare
paura.
Le caratteristiche dell’inquietante sono quelle del timore, della paranoia,
dell’ossessione, piuttosto che del vero terrore. Esso trasforma “il familiare”
in “non familiare”, producendo un allarmante senso di estraneità da ciò
che da sempre è stato percepito come familiare.
Per dirla con Freud: «L’inquietante è tale proprio in quanto fin troppo
familiare, ed è questo il motivo per cui viene rimosso».
Ecco l’essenza del cinema di David Lynch.
VI
David Lynch
1
PRIMO CAPITOLO
In questa prima parte del mio lavoro vorrei tentare un confronto fra la
filmografia di David Lynch e una selezione di generi cinematografici, così
come li conosciamo attraverso la cultura cinematografica classica
americana, con l’intento di arrivare a dimostrare che nessuno di essi preso
singolarmente è adatto a dare una descrizione sufficientemente
rappresentativa della sua opera. Nel fare questo mi soffermerò spesso ad
analizzare alcune sequenze, immagini, tematiche dei suoi film, al fine di
dare al discorso un’impronta meno astratta o puramente teorica.
La mia ancor più specifica intenzione è quella di arrivare a concludere che
il cinema di David Lynch, più che aderire ad uno specifico genere
cinematografico, si rifà piuttosto ad una categoria del sensibile che è
quella che Freud individuava, in un suo saggio del 1919, con il nome di
“perturbante”.
In questo rapido excursus traccerò un profilo sommario della genesi e lo
sviluppo di alcuni generi che desidero prendere in considerazione, con lo
scarto a priori di altri che in maniera evidente risulterebbe superfluo
prendere in esame.
Il noir
Lo stile noir è «il punto di convergenza di una serie di opzioni formali che
sono già riscontrabili nel cinema hollywoodiano degli anni Trenta: la
differenza sostanziale è che, mentre allora esse venivano utilizzate
sporadicamente, al solo scopo di dare intensità drammatica ad alcune
scene, in questi film [noir] la loro presenza è prevalente, e in qualche caso
2
dominante […] L’innesto di pratiche tipiche del cinema fantastico ed
orrorifico su una galleria di personaggi e luoghi realistici ha come prima
conseguenza quella di calare le situazioni più ordinarie in un’atmosfera
ambigua ed immateriale, che stempera i contorni delle cose e delle
persone, e li fa confluire in un universo che pare avere smarrito il senso
della misura, nell’accezione spaziale, temporale ed etica del termine»
1
.
E`più facile riconoscere un film noir piuttosto che saperlo definire.
Non esiste un modo del tutto soddisfacente per organizzare la categoria e,
nonostante la quantità di libri e saggi sull’argomento, non si sa se i film in
questione rappresentino un periodo, un genere, uno stile o piuttosto un
fenomeno.
Il noir è un genere trasversale ed eterogeneo, dato piuttosto da motivi e
tono, da topoi ricorrenti. Il noir è mood, atmosfera, è una questione di
stato d’animo e di stile innanzitutto. Il principio del noir è che « il come è
più importante del cosa»
2
.
Le storie raccontate dai noir hanno come tratto comune l’assenza di
orizzonti, di sbocchi se non tragici, sono storie in cui non si avrà mai un
happy ending.
Il noir è soffocante e non dà scampo.
Tutto è oscurità, fumosità, immobilità e tutto ciò che riluce (chiome
bionde, valige piene d’oro) porta inevitabilmente al disastro.
Il noir è il cinema dei crimini e dei delitti sempre imperfetti, in cui le cose
vanno sempre storte (hard boiled)
I personaggi maschili sono dei losers, dei perdenti. Quelli femminili sono
dark ladies, femmes fatales donne pericolose che conducono in qualche
abisso se non alla morte.
La fotografia e la messinscena dei film noir sono tratti fondamentali
inizialmente molto influenzate dall’espressionismo tedesco. A dominare
sono le ombre, le illuminazioni dal basso per creare effetti fortemente
1
Leonardo Gandini, Il film noir americano, Lindau, Torino, 2001, p.25.
2
Paul Schrader, Note sul film noir, in Leonardo Gandini (a cura di), Il film noir
americano, Lindau, Torino 2001, p. 27.
3
drammatici e di mistero, il controluce, le luci che tagliano, punti di ripresa
insoliti che schiacciano, soggettive.
Tutti questi elementi non nascono dal nulla, ma sono frutto di un modo di
sentire in linea con la disillusione post-bellica, con i recenti fantasmi degli
orrori recenti e della bomba atomica, con le nuove paure dietro l’angolo.
Sono il frutto del sogno americano andato in frantumi con la Depressione,
tradottosi in un incubo, rappresentato con metodo da film non legati
programmaticamente. Questo immaginario paranoico, fatto di oscurità e
intrappolamento, è evocato fin dai titoli : Panic in the street, The dark
past, No way out, Fear in the night, The killing, The lost week-end, The
woman in the window, Out of the past, While the city sleep.
Storicamente
la definizione di “noir” è nata in ambito critico, applicata a
posteriori: non è mai stata una categoria in uso negli Stati Uniti all’epoca
in cui i film furono realizzati.
In altre parole chi scriveva e realizzava i film che oggi indichiamo come
noir non sapeva che stava sceneggiando o girando un film noir.
Le definizioni con cui venivano descritte per il pubblico queste storie erano
semmai “melodramma” o “thriller” o “ psycological thriller”.
E`stata per prima la critica francese, non appena i film hollywoodiani
prodotti durante la guerra si riversarono nelle sale francesi, a rilevare lo
scarto rispetto ai “luminosi” prodotti anni Trenta, applicando così
l’etichetta di noir.
Si può dire che siano stati i francesi ad inventare il film noir americano.
Nella Francia post- bellica i film erano trattati come arte più che come
intrattenimento commerciale e inoltre il decennio dopo la liberazione fu
caratterizzato da una rinascita fortissima di americanismo fra i critici e i
registi francesi. Molti fra questi ultimi cercarono di adattare la propria
arte cinematografica alle tendenze più “autentiche” dei film di genere
hollywoodiani.
Da questa dialettica America/Francia nascerà la Nouvelle Vague e il film
noir diventerà la categoria più importante nella critica francese.
4
Il racconto Fantastico
Il concetto di fantascienza si distingue dal fantastico ( il fiabesco, l’occulto)
per la presenza del termine “scienza” all’interno del vocabolo, il che
caratterizza le opere che ne fanno parte per via della presenza di
riflessioni sulla tecnica, delle conseguenze delle scoperte del sapere
umano, del progresso e così via.
Il fantastico si colloca su una linea incerta fra ordinario e straordinario,
normale e anormale, possibile e impossibile, fra meraviglioso e irreale.
Tzvetan Todorov parte da esempi di letteratura cosiddetta fantastica per
arrivare a trarre alcune conclusioni riguardanti una corretta e precisa
definizione del termine “fantastico” e di quelli che ne sono i tratti che lo
definiscono e lo rendono riconoscibile come tale al critico così come al
lettore.
Todorov procede per similitudini e per scarti, di volta in volta tornando sui
propri passi per aggiungere o sottrarre senso a quanto detto
precedentemente.
Il primo esempio preso in considerazione per arrivare ad una prima
definizione del fantastico, è il libro di Cazotte Il diavolo innamorato in cui
troviamo il protagonista, Alvaro, alle prese con un dubbio «…non riuscivo
a concepire nulla di quanto sentivo; ma cosa vi era del resto di verosimile
nella mia avventura?». E ancora «Dov’è il possibile? E dov’è
l’impossibile?». A quali conclusioni giunge, con questo breve esempio,
Todorov?
Eccole: «Così penetriamo nel cuore del fantastico. In un mondo che è
sicuramente il nostro, quello che conosciamo, si verifica un avvenimento
che non si può spiegare con le leggi del mondo che ci è familiare. Colui
che percepisce l’avvenimento deve optare per una delle due soluzioni
possibili: o si tratta di un’illusione dei sensi, di un prodotto
dell’immaginazione […] oppure l’avvenimento è realmente accaduto [...] Il
fantastico occupa il lasso di tempo di questa incertezza; non appena si è
scelta l’una o l’altra risposta, si abbandona la scena del fantastico per
5
entrare in quella di un genere simile, lo strano o il meraviglioso. Il
fantastico è l’esitazione provata da un essere, il quale conosce soltanto le
leggi naturali, di fronte ad un avvenimento apparentemente
soprannaturale. Il concetto di fantastico si definisce quindi intorno ai
concetti di reale e di immaginario[…]»
3
.
In seguito Todorov ci dà una più completa definizione del “fantastico”,
partendo dall’esempio che proviene dal libro Manoscritto trovato a
Saragozza di Jan Potocki.
Dall’esitazione provata dal protagonista Alfonso fra due interpretazioni
possibili da dare ad un avvenimento, Todorov formula questa conclusione:
che se il lettore, diversamente dal protagonista, fosse avvertito della
“verità”, se sapesse in qual senso si deve decidere, la situazione sarebbe
del tutto diversa. Pertanto «il fantastico implica un’integrazione del lettore
nel mondo dei personaggi, si definisce mediante la percezione, da parte
del lettore, degli avvenimenti riferiti”.[…] L’ esitazione del lettore è quindi
la prima condizione del fantastico»
4
.
La seconda condizione necessaria perché si possa dire che un testo
appartenga al genere del “fantastico”, si trova a livello dell’interpretazione
del testo. Infatti ci fa notare come esistano dei «racconti che contengono
degli elementi soprannaturali senza che il lettore si interroghi mai sulla
loro natura, ben sapendo che non deve prenderli alla lettera. Se parlano
gli animali non ci coglie nessun dubbio: sappiamo che le parole del testo
sono da prendersi in un senso diverso che è detto allegorico.[…] Il
fantastico implica quindi non soltanto l’esistenza di un avvenimento strano
che provochi un’ esitazione nel lettore e nel protagonista, ma anche una
maniera di leggere che per il momento si può definire negativamente: non
deve essere né “poetica”, né “allegorica”[...]»
5
.
In seguito ad un’analisi più approfondita, Todorov giunge a confutare la
prima affermazione sostenendo che l’esitazione del lettore in realtà è solo
3
Tzvetan Todorov, La letteratura fantastica, Garzanti Libri, 2000, p.28.
4
Idib.
5
Ibid.
6
una condizione facoltativa del fantastico ed arriva a precisare e
completare la sua definizione di “fantastico” così:
«Adesso siamo in grado di precisare e di completare la nostra
definizione del fantastico. Esso esige che siano soddisfatte tre
condizioni. In primo luogo, occorre che il testo obblighi il lettore a
considerare il mondo dei personaggi come un mondo di persone viventi
e ad esitare fra una spiegazione naturale ed una spiegazione
soprannaturale degli avvenimenti evocati. In secondo luogo, anche un
personaggio può provare la stessa esitazione; in tal modo la parte del
lettore è per così dire affidata ad un personaggio e l’esitazione si trova
ad essere, al tempo stesso, rappresentata, diventa cioè uno dei temi
dell’ opera. Nel caso di una lettura ingenua, il lettore reale si identifica
con il personaggio. E’ necessario infine che il lettore adotti un certo
atteggiamento nei confronti del testo: egli rifiuterà sia l’interpretazione
allegorica che l’interpretazione “poetica”. La prima e la terza
condizione costituiscono veramente il genere; la seconda può non
essere soddisfatta. Tuttavia la maggior parte degli esempi le rispetta
tutte e tre.»
6
.
Detto questo bisogna anche ricordare che il fantastico in letteratura
racchiude al suo interno tutte la possibilità della fantascienza e dell’
horror al cinema.
La fantascienza e l’horror sono due generi che raccolgono materiali
eterogenei all’interno dei quali un tratto di affinità risiede nel fatto che
entrambi esplorano l’ignoto azzardando ipotesi.
L’ ignoto può essere molte cose: può essere dentro e fuori l’ uomo, può
essere il futuro, lo spazio, la vita e le altre forme di vita, il mistero, gli
abissi della mente e dell’ animo, l’oltre. Il corrispettivo visivo dell’ignoto
sono il buio, il nero, l oscurità, l’indistinto, la mancanza di nozioni e
strumenti per spiegarsi le cose, le paure ancestrali, tutte cose che sono
6
ivi, p.36.