Dalla gratuità alla grazia: esperienza del vuoto e mistica del dono in Simone Weil
Di tutti i doni possibili, il dono della vita è il più grande. Esso denota un coraggio, un amore e una risolutezza fuori dal comune. Ma cosa significa “dare la propria vita”, al di là dell’esempio estremo che può dare un martire?
Da una parte, il dono di sé si esplica in un’offerta generosa e incondizionata di tutto quel che si possiede interiormente, di tutte le proprie doti. In questo modo il donatore, dedicandosi agli altri, ritrova se stesso, perché fa fiorire il proprio essere. Ma quanto è disinteressata e altruistica l’offerta che, indirettamente, prevede una gratificazione, un tornaconto personale? Questa domanda può far sorgere qualche dubbio sulla reale gratuità dell’autodonazione. Si dirà allora che il dono più innocente è quello che, invece di “sommergere” e imbarazzare l’altro con una travolgente munificenza, lo pone al centro, mettendo tra parentesi il donatore. Si tratta allora di un gesto che è totale rinuncia ad affermare la propria personalità. Si tratta di dare senza darsi, di sottrarsi nel momento stesso in cui ci si offre: come se nell’atto caritatevole si rimanesse in fondo passivi, anonimi, senza alcuna aspettativa personale.
Su questo perfetto amore oblativo si sofferma particolarmente Simone Weil (1909-43), pensatrice e mistica francese, tra le figure di maggior spicco nel panorama filosofico del ‘900. Pensiero e azione si fondono in lei un tutt’uno indistricabile e coerente: tutta la sua vita, così come tutta la sua opera, sono sempre state all’insegna di una singolare vocazione al sacrificio, al dispendio per gli altri, soprattutto i più sfortunati. L’amore puro e senza riserve che il suo breve passaggio sulla terra le ha permesso di testimoniare, fa di SW un personaggio di una luminosità spirituale unica, paradigmatica: “una donna con un mistero intorno”. In cosa consiste la sua unicità, quel suo essere per alcuni versi “sovrumana”, se non addirittura “santa”?
E’ alla luce del concetto di dono, e delle sue tante implicazioni, che il presente elaborato tenta di leggere e capire l’itinerario filosofico e mistico della giovane Simone. Nella dinamica del dono, come insegna Mauss, troviamo l’atto stesso di donare, ma anche “l’obbligo” di ricevere e quello di ricambiare. Ebbene anche la “vita donata” di SW attraversa a suo modo le suddette fasi, ma sperimenta allo stesso tempo, paradossalmente, il loro “rovescio”: il rifiuto di attuarle, o il tormento per la loro stessa inattuabilità.
Nel 1° capitolo si è perciò partiti da alcuni accenni biografici sulle circostanze nelle quali si è sviluppata la vocazione personale della filosofa. Si scopre così una donna capace di straordinari slanci d’amore verso gli altri, resa quasi invisibile dall’umiltà, ma al contempo vicina ai più diversi strati sociali, desiderosa di caricarsi di tutta la sofferenza del mondo; ma anche un essere timoroso di preservare la propria sovrana autonomia e probità intellettuale al riparo da qualsiasi legame, che sia l’affetto o l’appartenenza a un gruppo.
Dalla riconoscenza infinita per tutte le realtà terrene volute da Dio, compresa la sventura, emergerà in SW—nel 2° capitolo—la preoccupazione costante di essere all’altezza del dono ricevuto, per quanto ne può essere capace la miserevole creatura umana. La risposta dell’uomo, il suo “grazie”, cercherà allora di ricalcare il sacrificio di Dio, quel suo ritrarsi che ha permesso la creazione del mondo: la Weil darà a questo progetto il nome di decreazione. La combinazione delle influenze filosofiche e religiose più diverse la porta poi al convincimento che la rinuncia all’azione e alle pretese del proprio ego, nonché il desiderio di ridursi a quasi niente, ecc., tutta questa privazione di sé permette di restituire l’essere a Dio. L’uomo che gli dona se stesso si sottrae: si rende trasparente e immobile, pronto ad agire solo mediante Cristo, semplice intermediario tra il Creatore e la sua Creazione.
Il 3° capitolo sottolinea infine come questo amore, inteso come rinuncia, richieda anche che si abbandoni una volta per tutte la prospettiva di una retribuzione, che si accetti il vuoto. In questo modo la gratuità, che non guarda ai possibili benefici, che non cerca compensazioni per i torti subiti, si rivela essere la virtù più desiderabile per l’animo umano, perché è proprio nel vuoto da lei creato che passa, riempiendolo, la grazia divina. Occorre dunque un particolare addestramento: rimanere in un atteggiamento di attenzione assolutamente pura, orientata “a “vuoto” verso l’ignoto, in attesa che discenda lo Spirito e ci sollevi verso l’Altissimo.
Nella tensione tra darsi e non darsi, o tra vuoto e pienezza, penetra a fondo la metafisica weiliana, guidata da un’eccezionale intelligenza, e da un amore ancor più grande: è precisamente attraverso l’amore che SW legge e contempla i legami nascosti tra gratitudine (per la misericordia divina), gratuità (nell’agire caritatevole) e grazia (come ulteriore dono di Dio).
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Informazioni tesi
Autore: | Maria Livia Brauzzi |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2006-07 |
Università: | Università degli Studi Roma Tre |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filosofia teoretica, morale, politica ed estetica |
Relatore: | Francesca Brezzi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 83 |
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