6amata da diversi papi
5
; «un miracolo dell’anima e della coscienza umana»,
secondo Carlo Bo.
6
In cosa consiste la sua unicità, quel suo essere per alcuni
versi “sovrumana”
7
, tanto che i discorsi su di lei non risparmiano quasi mai la
parola “santità”?
E’ alla luce del concetto di dono, e delle sue tante implicazioni, che tenteremo
di leggere e capire l’itinerario filosofico e mistico della giovane Simone,
tenendo presente che esso è profondamente segnato dalla scoperta del mistero
cristiano, di quell’“ineffabile dono di Dio” che è Cristo.
8
Ora, tra gli “obblighi” che, per l’antropologo Mauss, costituiscono la dinamica
del dono, troviamo l’atto stesso di donare (spontaneamente o meno, nelle
modalità a cui si accennava), ma anche il ricevere (accettando il peso della
gratitudine), e il ricambiare (che apre alla condivisione, alla reciprocità dei
sentimenti). Anche la “vita donata” di Simone Weil attraversa a suo modo le
suddette fasi, ma sperimenta allo stesso tempo, paradossalmente, il loro
“rovescio”: talvolta il rifiuto di attuarle, talaltra il tormento per la loro stessa
inattuabilità.
Bisognerà perciò partire da alcuni accenni biografici—se non addirittura
agiografici—sulle circostanze e i contesti nei quali si è sviluppata la vocazione
personale della filosofa. Così scopriremo una donna capace di straordinari
slanci d’amore verso gli altri, resa quasi invisibile dall’umiltà, ma al contempo
vicina ai più diversi strati sociali, desiderosa di caricarsi di tutta la sofferenza
del mondo, quale un agnello sacrificale; ma anche un essere in qualche modo
timoroso (per non dire “geloso”) di preservare la propria sovrana autonomia e
probità intellettuale al riparo da qualsiasi legame (attachement), che sia
l’affetto o l’appartenenza a un gruppo.
Dalla riconoscenza infinita per tutte le realtà terrene volute da Dio, ivi
compresa la sventura (malheur), emergerà in Simone Weil la preoccupazione
costante di essere all’altezza del dono ricevuto, per quanto ne può essere
capace la miserevole creatura umana. La sua risposta, il suo “grazie”, cercherà
allora di ricalcare il “sacrificio” di Dio, quel suo ritrarsi che ha permesso la
creazione del mondo: la Weil darà a questo progetto il nome di decreazione. La
combinazione delle influenze filosofiche e religiose più diverse (dalla passione
per l’antica Grecia alla scoperta della spiritualità orientale) la porta al
convincimento che la rinuncia all’azione e alle pretese del proprio ego, nonché
il desiderio di ridursi a quasi niente e l’obbedienza consenziente all’ordine
della necessità, ecc., tutta questa privazione di sé permette, in qualche modo,
di restituire l’essere a Dio. L’uomo che gli dona se stesso si sottrae: s i rende
infatti trasparente e immobile (Simone Weil dice “impersonale”), pronto ad agire
solo mediante Cristo, puro e semplice intermediario tra il Creatore e la sua
Creazione. Come dichiara Giovanni Battista, “bisogna che Egli cresca e che io
diminuisca.”
9
5
Maurice Schumann racconta che Angelo Giuseppe Roncalli, allora nunzio apostolico a Parigi, conosceva tutte le
maggiori opere spirituali di Simone Weil; un giorno, dopo aver letto il Prologue, esclamò all’amico della defunta
pensatrice: “Come amo quest’anima!” (FIORI, p. 459). D’altro canto, sembra che il futuro Paolo VI abbia rivelato una
volta a Gustave Thibon, altro conoscente della Weil, il suo dispiacere per il mancato battesimo della giovane donna,
ebrea cristianizzata, perché “meritava di essere fatta santa.” (Intervento di G.THIBON in AA.VV., Simone Weil. La
passione della verità, Morcelliana, Brescia 1985, p. 126) Infine, il filosofo Sergio Givone pensa che, per la sua
Enciclica Deus Caritas Est, Benedetto XVI sia stato influenzato, in alcuni aspetti, proprio da Simone Weil.
(S.GIVONE, “Il riscatto dell’eros” intervista di P. Rossi, Avvenire, 1° febbraio 2006)
6
C.BO, Prefazione a FIORI, p. 3.
7
F. DE LUSSY, Introduction à S.W., Œuvres, édition établie sous la direction de Florence de Lussy, Quarto
Gallimard, Paris 1999, p. 788.
8
2 Corinzi 9, 15.
9
Giovanni 3, 30.
7Vedremo infine che questa generosità, questo amore, intesi come rinuncia,
richiedono anche che si abbandoni una volta per tutte la prospettiva di una
retribuzione, di un premio “in cambio” del proprio buon operato: in definitiva,
che si accetti il vuoto. In questo modo la gratuità, colonna fondante del dono di
sé, che non guarda ai possibili benefici, che non cerca compensazioni per i torti
subiti, che non tiene neanche conto di quello che le spetterebbe “di diritto”,
ecc., questa gratuità si rivela essere la virtù più desiderabile per l’animo
umano, perché è proprio nel vuoto da lei creato che passa, riempiendolo, la
grazia divina. Occorre dunque un particolare addestramento: si tratta di
rimanere in un atteggiamento di attenzione assolutamente pura, orientata “a
vuoto” verso l’ignoto, in attesa che discenda lo Spirito e ci sollevi verso le verità
eterne, verso l’Altissimo.
Nella tensione tra darsi e non darsi, tra azione e non-azione, tra vuoto e
pienezza, tra rinuncia alla ricompensa e attesa del dono, in tutte queste
contraddizioni penetra a fondo la metafisica weiliana, guidata da una
eccezionale intelligenza, e da un amore ancor più grande: è precisamente
attraverso questo sentimento che Simone Weil legge e contempla i legami
nascosti tra gratitudine (per la misericordia divina), gratuità (nell’agire
caritatevole) e grazia (come ulteriore dono di Dio). La filosofa vi ritrova sempre
il medesimo amore, in una parentela che è anche etimologica
10
, quell’Amore
che l’ha chiamata personalmente a donarsi,
quell’Amore infinitamente tenero che mi ha fatto il dono della sventura.
11
10
La radice latina gratu-us è parallela al greco charis, che ha dato caritas, eucharestia, ecc.: l’origine comune di
Grazia e carità sembra così voler suffragare la definizione giovannea di Dio come Amore (1 Giovanni 4, 16).
11
S.W., « Dernières pensées », in Œuvres, p. 788.
8Capitolo 1
IL DONO DI SÉ: NASCITA E SVILUPPO DI UNA VOCAZIONE
Essere spinti da Dio verso il prossimo
come la penna è appoggiata da me sulla carta.
Simone Weil, La Connaissance Surnaturelle
12
1. Un milieu favorevole
1.1. La famiglia e il rapporto con il denaro
«Era una famiglia che brillava d’intelligenza, di luce e di gioia»
13
: così un amico
d’infanzia dei Weil descrive l’ambiente familiare nel quale nacque e si sviluppò
quella virtù di generosità profonda che divenne un punto saldo della breve
eppur intensa vita di Simone Weil. Tanto il padre Bernard, medico ateo con
grande fama di persona altruista, quanto la madre Selma, ebrea di origine
alsaziana, si prodigarono per trasmettere ai figli le basi di una solida moralità:
in casa Weil regnavano la benevolenza, il rispetto del prossimo e l’accoglienza,
l’assenza di materialismo e soprattutto uno spiccato amore per l’intelligenza e
la cultura.
14
Valori che non rimasero lettera morta né in Simone né nel fratello
maggiore André, paragonato a Pascal per il suo genio precoce e divenuto negli
anni un affermato matematico.
Sebbene la situazione economica dei genitori permettesse alla figlia uno stile di
vita più che dignitoso, Simone Weil non si lasciò mai sedurre dalle comodità; al
contrario, respingeva le pur piccole e semplici occasioni di godere di un
qualche benessere in un momento alquanto delicato per il suo paese: a soli tre
anni rifiutò un anello regalatole, sostenendo che non amava il lusso
15
; verso i
sei conservava le zollette di zucchero per offrirle ai soldati francesi impegnati
nella Grande Guerra… Diversi episodi della sua giovinezza mostrano questa
profonda avversione per il comfort; non devono però far pensare a una Simone
Weil solo austera: sapeva anche burlarsi allegramente del suo stesso status,
come quando andava in giro per le case del quartiere a chiedere caramelle, o
quando faceva vergognare sua madre tremando di freddo davanti a tutti sul
tram
16
. Senza esagerare la portata di queste esaltazioni infantili («tutti i
bambini—o quasi—hanno avuto per un quarto d’ora delle crisi di saggezza o di
santità»
17
), tuttavia esse dipingono in nuce quella che sarà una costante
dell’atteggiamento di Simone Weil: il suo rapporto negligente con l’avere, come
punta dell’iceberg di una ben più profonda predisposizione ascetica. Portata
com’era, fin da piccolissima, ad avvicinarsi agli altri meno fortunati di lei, si
rese conto di essere privilegiata e imparò ben presto che si può disdegnare
veramente il denaro solo quando si è sicuri di non mancarne, o finché non si è
fatta l’esperienza della miseria estrema; perciò la sua situazione sociale le
12
S.W., La Connaissance Surnaturelle, Gallimard, Paris 1950, p. 16.
13
M.-P. DUCROCQ, L’appel universel de Simone Weil. Une voie de sainteté. Ed. Saint-Augustin, Saint-Maurice
2005, p. 14.
14
FIORI, p. 50.
15
S.PÉTREMENT, La vie de Simone Weil, vol. I (109-1934), Fayard, Paris 1973, p. 22.
16
Queste e altre “birbonate anarchiche” sono raccontate dalla FIORI, pp. 38-39.
17
M.-M. DAVY, Simone Weil, préface de G. Marcel, Ed. univ., Paris 1956, p. 45.
9imponeva innanzitutto una responsabilità, un dovere prima che un diritto.
18
Il
fatto di possedere qualcosa generava in lei un senso di colpa, come uno
squilibrio dell’ordine del mondo al quale poteva rimediare solo donando
continuamente, per non sentirsi una ladra.
19
Tutta la sua vita fu così costellata da gesti significativi e di grande generosità,
spinta com’era dal desiderio di condividere la miseria altrui: come quel periodo
in cui, trattenendo del suo misero salario da professoressa di filosofia solo il
minimo indispensabile, distribuiva il resto agli operai in sciopero del Puy
20
; o
quando, nel ’41, si prese a cuore la sorte di un giovane spagnolo internato in
un campo nei Pirenei, che le faceva pena perché non riceveva né lettere né
visite da nessuno. Avviò così una bella corrispondenza, in cui le somme di
denaro inviate non valevano ai suoi occhi quanto le dolci parole con le quali
cercava di incoraggiarlo.
Quando ho un po’ di denaro tra le mani non ho mai l’impressione che sia
di mia proprietà. Si trova semplicemente lì. Se ne spedisco un po’, non ho
il sentimento di averlo donato. Passa semplicemente dalle mie mani a
quelle di qualcun altro che ne ha bisogno, e mi sembra che non c’entro
niente. Quanto vorrei che il denaro fosse come l’acqua, e colasse da solo
laddove ce n’è troppo poco.
21
Quasi si vergognava a parlare della vil moneta, e preferiva pensare a quello
scambio epistolare come a una condivisione “di pensieri e di sentimenti sotto
forma di lettere.”
22
Le attenzioni dei genitori benestanti generarono in Simone Weil il lusso della
disattenzione nei confronti del denaro: in effetti Simone non vi badava, ne
perdeva spesso o rimaneva facilmente a secco per averlo distribuito in giro.
Questa spensieratezza consentiva alla madre premurosa di nascondere, qua e
là nel suo appartamento, qualche spicciolo che l’ingenua figlia trovava nei
momenti opportuni, quando si accorgeva di avere le tasche vuote.
23
Che fosse consapevole o meno, certo è che se mai chiese dei soldi ai suoi non
fu certo per se stessa. Da Saint-Etienne li invitò una volta a sostenere la stampa
sindacale: «Vi segnalo, nel caso in cui non sapeste che fare del vostro denaro,
che La Révolution prolétarienne e Le Cri du peuple sono in una miseria nera.»
24
Arrancavano per la verità, questi poveri genitori, a starle dietro, a seguirla nei
suoi continui spostamenti (persino in Spagna durante la guerra civile), a
convincerla a riguardarsi. Diversi amici rimproverano a Simone, nella sua
ostinata volontà di accollarsi i pesi degli sventurati, di non essersi curata di
quanto questo potesse costare agli altri, soprattutto ai suoi familiari
25
. Ma la
stessa Simone Weil riconosceva che l’esigenza di seguire la propria vocazione
veniva prima persino del grande affetto per il padre e la madre, come quando,
18
Cfr. l’incipit de L’Enracinement (« La nozione di obbligo sovrasta quella di diritto… ») in S.W., Œuvres, pp.
1027-1218 (prima edizione, L’Enracinement, Gallimard, Paris 1949)
19
…come se avesse fatta sua la lezione di San Basilio: «Chi toglie a un altro le sue vesti è un ladro, e di qual altro
nome è degno colui che, potendolo fare, non riveste chi è nudo? Il pane che tu metti da parte appartiene a chi ha fame;
il mantello che tu riponi nel tuo guardaroba appartiene a chi è nudo. Tu commetti tante ingiustizie quante sono le
persone alle quali potresti dare» (Basilio, Omelia VII, «In divites»).
20
G. HOURDIN, Introduzione a S.W., L’ombra e la grazia, trad. it. di F.Fortini, Bompiani, Milano 2002, p. VI (prima
edizione, La pesanteur et la grâce, Librairie Plon, Paris 1947).
21
S.W., « Lettres à Antonio Atarès », in Œuvres, p. 685.
22
Ibid.
23
DUCROCQ, pp. 121-122.
24
S.W., Œuvres, p. 49.
25
Cfr. FIORI, pp. 290-291 ; « La sua personale ricerca del disagio nelle piccole cose e dell’infelicità nelle grandi le
faceva trascurare le ripercussioni di disagio e infelicità che poteva provocare nelle persone che la circondavano.»
G.THIBON, in S.W., Œuvres, p. 1256.
10
imbarcandosi da New York per Londra, disse loro: «Se avessi più vite, ve ne
consacrerei una, ma ho una vita sola.»
26
1.2. L’influenza di Alain
Alla radice della sua passione intellettuale troviamo, oltre che la famiglia, il suo
amato professore di filosofia del liceo Henri IV di Parigi, Émile Chartier
(1868-1951), meglio noto come Alain. Egli «fu l’unico modello polarizzante
della sua formazione, il Socrate del suo pensiero e del suo stile.»
27
Ben presto
si accorse di avere a che fare con un’allieva brillante, tanto speciale che la
soprannominò la Marziana perché, ricorda una compagna, “ella non aveva
niente di noi e ci giudicava tutti in modo sovrano”
28
.
La filosofia di Alain riponeva una grandissima fiducia—“un culto quasi
religioso”
29
—nell’uomo, essere libero capace, con la sua intelligenza e volontà,
di creare se stesso. Per preservare questa libertà intellettuale, bisognava perciò
tenersi alla larga da qualsiasi attaccamento a gruppi o istituzioni che
esponevano al rischio di un offuscamento della mente e a un indebolimento
della capacità di giudizio. L’esperienza di Simone Weil dimostra che, seppur
con molti tentennamenti dovuti alla sua dichiarata “tendenza a essere
gregaria”
30
, assimilò la lezione: non aderì mai al Partito Comunista
31
, né mai
accettò di farsi battezzare... Questa comune esigenza teorica, tra maestro e
allieva, di un’indipendenza dello spirito dalle costrizioni e dalle ideologie non si
traduceva però nella pratica nello stesso atteggiamento nei confronti
dell’azione. In Simone Weil, significava assimilazione con le masse senza nome,
vocazione concreta al servizio di bisogni prettamente umanitari: l’anonimato
doveva permetterle di scomparire tra gli uomini, “per far sì che si mostrino
quali sono senza mutare volto per me”, e assorbire il loro dolore.
Alain assumeva invece il distacco tipico del filosofo, tutto preso dal lavoro del
pensiero ma svincolato dall’esigenza di un impegno concreto nel mondo; la sua
allieva eccellente gli rimproverava questa “troppa prudenza politica.”
32
Sul
fondo dimorava altresì un’opposta concezione dell’uomo: l’attivissima Simone,
quasi violenta in questa sua frenesia dell’agire, non nascondeva un certo
pessimismo, mentre il moderato Alain, soprannominato l’Uomo dai suoi
studenti, credeva molto nelle possibilità di ognuno.
26
FIORI, p. 378.
27
FIORI, p. 55. Simone fu l’allieva di Alain dal 1925 al 1928; ma anche dopo, quando entrò all’Ecole Normale
Supérieure, continuò a seguire alcuni suoi corsi e a sottoporgli diversi scritti.
28
Ibid.
29
G. DI NICOLA - A. DANESE, Simone Weil. Abitare la contraddizione, Ed. Dehoniane, Roma 1991, p. 291.
30
«Sono per disposizione naturale molto influenzabile, soprattutto dai fenomeni collettivi. Se in questo momento
avessi davanti a me una ventina di giovani tedeschi che cantano in coro inni nazisti, so che una parte della mia anima
diverrebbe immediatamente nazista. È una grandissima debolezza, ma sono fatta così.» S.W., «Esitazioni davanti al
battesimo [II] », in Attesa di Dio, Obbedire al tempo, prefazione di L.Boella, Rusconi, Milano 1996 (prima edizione
S.W., Attente de Dieu, La Colombe, Paris 1949) p. 28.
31
Simone Pétrement, la sua amica, biografa, nonché anche lei allieva di Chartier, ipotizza che la nostra autrice, senza
Alain, “avrebbe forse sprecato la sua dedizione al servizio di qualche partito.” S.PÉTREMENT, vol. I, p. 164.
32
E invano aspettò una risposta dal suo maestro quando, in una lettera, gli chiese esplicitamente di prendere posizione
sul collaborazionismo. (S. PÉTREMENT, vol. II, p. 360)