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Agricoltura e potenzialità turistiche nella Costiera dei Cèch (Valtellina, Sondrio): criticità e prospettive

Percorrendo la superstrada che collega Milano alla Valtellina, dopo aver lasciato alle proprie spalle il lago di Como ed i suoi giardini lussureggianti, si giunge in una valle caratterizzata, a prima vista, da un susseguirsi di paesi attaccati l’uno all’altro senza soluzione di continuità. Numerosi cartelli ed insegne pubblicizzano mobilifici, industrie, strutture alberghiere, negozi, e molto altro, mentre centri commerciali e benzinai si alternano nel tragitto. L’impressione è quasi quella di aver lasciato una città, una metropoli come Milano, e di ritrovarsi in un’altra identica ad essa che scorre e si ramifica dalla sua principale arteria: la strada statale. Tuttavia basterebbe alzare gli occhi anche solo per un attimo e ci accorgeremmo di essere circondati da montagne e che alla nostra sinistra scorre un fiume, l’Adda, il quale - nonostante abbia argini per la gran parte cementificati – sembra aver misteriosamente resistito – o almeno all’apparenza - ad uno dei peggiori effetti dell’industrializzazione: l’inquinamento. Osservando un po’ più attentamente il panorama ci renderemmo anche immediatamente conto del fatto che la montagna sembra essere stata intarsiata da un abile cesellatore, il quale ha scavato su di essa tanti minuscoli gradini coltivati e che dalla statale si diramano piccole strade secondarie che conducono a borghi situati sulle montagne, di cui possiamo intravedere le case con i tipici tetti in pietra.
Come possono coesistere due mondi all’apparenza così diversi tra loro in un unico paesaggio?
Che evoluzioni può avere questa situazione? Il “mondo della modernità” si comporterà da vorace predatore ed inghiottirà il “mondo delle tradizioni” sputandone fuori solo alcuni brandelli ormai modificati dall’impatto ed irriconoscibili nelle loro caratteristiche essenziali oppure essi riusciranno a coesistere?
Rispondere a queste domande non è semplice e richiede una buona conoscenza del territorio, della storia , delle persone e dell’economia di questa zona, oltre che di una buona dose di immaginazione utile a prevedere possibili scenari futuri. Non è indispensabile tuttavia essere dei veggenti per poter aver chiaro almeno un quadro di fondo da cui poter partire per un’analisi sulla possibilità o meno che si verifichi in questa zona della bassa Valtellina uno sviluppo sostenibile, in grado di rispettare e proteggere l’ambiente da cui viene generato e di preservarlo per le generazioni future. Uno sviluppo che sia anche in grado di consentire alle popolazioni un giusto livello di benessere materiale ed intellettuale.
Questa tesi vorrebbe essere uno strumento utile a questo tipo di analisi e si propone di indagare, anche attraverso le esperienze dirette di alcune persone che vivono o lavorano in questa valle, quali siano le forme di sviluppo e le attività economiche che dovrebbero essere incentivate ed incoraggiate per evitare gli squilibri tipici di una terziarizzazione troppo rapida.

Scrive Pasolini, nel 1975:
“Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua […] sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: ed un uomo anziano che abbia tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta.)”
Le lucciole rappresentano gli antichi valori, le consuetudini, i miti, le credenze, i costumi del mondo agricolo tradizionale, in contrapposizione ai nuovi valori dettati dal consumismo.
Nonostante questa frase sia chiaramente riferita agli anni del boom economico ed alle intense trasformazioni che esso ha comportato, mi sembra che possa essere usata utilmente anche in riferimento al fenomeno, ormai consolidato, dell’abbandono delle tradizionali attività agricole e silvo-pastorali che hanno caratterizzato per secoli queste valli e ne hanno conformato il territorio.
Pasolini assisterà, impotente, a quello che lui riterrà una modernizzazione senza sviluppo. Saremo in grado, dopo più di trent’anni, di ascoltare la sua ed altre voci ed avviarci verso processi di sviluppo che non comportino la cancellazione delle culture di appartenenza?



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Introduzione Percorrendo la superstrada che collega Milano alla Valtellina, dopo aver lasciato alle proprie spalle il lago di Como ed i suoi giardini lussureggianti, si giunge in una valle caratterizzata, a prima vista, da un susseguirsi di paesi attaccati l’uno all’altro senza soluzione di continuità. Numerosi cartelli ed insegne pubblicizzano mobilifici, industrie, strutture alberghiere, negozi, e molto altro, mentre centri commerciali e benzinai si alternano nel tragitto. L’impressione è quasi quella di aver lasciato una città, una metropoli come Milano, e di ritrovarsi in un’altra identica ad essa che scorre e si ramifica dalla sua principale arteria: la strada statale. Tuttavia basterebbe alzare gli occhi anche solo per un attimo e ci accorgeremmo di essere circondati da montagne e che alla nostra sinistra scorre un fiume, l’Adda, il quale - nonostante abbia argini per la gran parte cementificati – sembra aver misteriosamente resistito – o almeno all’apparenza - ad uno dei peggiori effetti dell’industrializzazione: l’inquinamento. Osservando un po’ più attentamente il panorama ci renderemmo anche immediatamente conto del fatto che la montagna sembra essere stata intarsiata da un abile cesellatore, il quale ha scavato su di essa tanti minuscoli gradini coltivati e che dalla statale si diramano piccole strade secondarie che conducono a borghi situati sulle montagne, di cui possiamo intravedere le case con i tipici tetti in pietra. Come possono coesistere due mondi all’apparenza così diversi tra loro in un unico paesaggio? Che evoluzioni può avere questa situazione? Il “mondo della modernità” si comporterà da vorace predatore ed inghiottirà il “mondo delle tradizioni” sputandone fuori solo alcuni brandelli ormai modificati dall’impatto ed irriconoscibili nelle loro caratteristiche essenziali oppure essi riusciranno a coesistere? Rispondere a queste domande non è semplice e richiede una buona conoscenza del territorio, della storia , delle persone e dell’economia di questa zona, oltre che di una buona dose di immaginazione utile a prevedere possibili scenari futuri. Non è indispensabile tuttavia essere dei veggenti per poter aver chiaro almeno un quadro di fondo da cui poter partire per un’analisi sulla possibilità o meno che si verifichi in questa zona della bassa Valtellina uno sviluppo sostenibile, in grado di rispettare e proteggere l’ambiente da cui viene generato e di preservarlo per le generazioni future. Uno sviluppo che sia anche in grado di consentire alle popolazioni un giusto livello di benessere materiale ed intellettuale. Questa tesi vorrebbe essere uno strumento utile a questo tipo di analisi e si propone di indagare, anche attraverso le esperienze dirette di alcune persone che vivono o lavorano in questa valle, quali siano le forme di sviluppo e le attività economiche che dovrebbero essere incentivate ed incoraggiate per evitare gli squilibri tipici di una terziarizzazione troppo rapida. 5

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