Le Organizzazioni Internazionali nella lotta al terrorismo
Questo lavoro è incentrato sul tema della lotta al terrorismo condotta dalle organizzazioni internazionali nel tentativo di illustrare le dinamiche interne a tali organismi quando questi sono alle prese con un problema concreto e di far emergere le differenze fra la cooperazione internazionale a carattere universale da un lato e quella a carattere regionale e segnatamente europeo dall’altro, sia sul piano giuridico-normativo che sul piano della cooperazione di polizia. A questo scopo sono state esaminate le esperienze di quattro importanti organizzazioni intergovernative: le Nazioni Unite, l’Unione Europea, l’Interpol e l’Europol.
Il problema del terrorismo internazionale è sentito con pari intensità sia nel sistema delle Nazioni Unite che in quello dell’Unione Europea, soprattutto dopo i fatti dell’11 settembre 2001, ma tra i due sistemi differiscono in modo significativo le premesse e dunque le manifestazioni della cooperazione internazionale.
Le UN infatti hanno assunto il ruolo di guida della comunità internazionale nel contrasto al terrorismo e costruito un sistema anti-terrorismo fondato su quattro risoluzioni del CdS - 1276, 1373, 1540, 1566 - che prevedono obblighi vincolanti nei confronti degli Stati membri quali, ad esempio, l’adozione di apposite normative nazionali anti-terrorismo, con particolare enfasi sulle normative contro il finanziamento del terrorismo, ma quello che sembra più importante rilevare è che dette risoluzioni sembrano essere formulate in modo tale da consentire la loro interpretazione estensiva, a vantaggio degli Stati membri più potenti e in particolare degli Stati Uniti, che rappresentano il bersaglio diretto del terrorismo internazionale jihadista. In particolare, la risoluzione 1373 del 2001, che rappresenta il cardine del sistema onusiano anti-terrorismo, contiene affermazioni di principio contro il terrorismo suscettibili di essere estese a situazioni di fatto, il che ha consentito agli U.S.A. e ai suoi alleati di intervenire militarmente in Afghanistan a titolo di legittima difesa con l’operazione “Enduring Freedom” subito dopo gli attacchi dell’11 settembre, senza alcuna autorizzazione espressa da parte del CdS come previsto invece dalla lettera del Capitolo VII della carta delle Nazioni Unite.
Nella dimensione dell’Unione Europea, invece, l’attività normativa anti-terrorismo sembra riflettere il fatto che il terrorismo internazionale jihadista minacci solo marginalmente – e in maniera differenziata - gli Stati membri, e quindi si è tradotta in uno sforzo a carattere eminentemente intergovernativo ed esterno al meccanismo comunitario, consentendo a ciascuno Stato membro di porre in essere misure anti-terrorismo in proporzione alla minaccia percepita. Solo con il trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre del 2009, sono stati previsti strumenti comunitari per contrastare questo fenomeno criminale ed assicurare quello spazio di libertà, sicurezza e giustizia che rappresenta uno degli obiettivi fondamentali dell’unione europea fin dai tempi del trattato di Amsterdam.
Inoltre, quando, dopo l’11 settembre, l’unione europea ha cominciato a contemperare la propria attività anti-terrorismo con quella del resto della comunità internazionale raccolta intorno alle Nazioni Unite, è emersa la complessità del rapporto interordinamentale tra queste due sfere giuridiche, complessità che si è manifestata con forza nella questione del recepimento da parte dell’Unione e mediante apposito regolamento delle cd blacklists del CdS, cioè delle liste che contengono i nomi delle persone sospettate di terrorismo e sottoposte per questo a regimi sanzionatori. Tali regolamenti infatti risultano in aperto contrasto con i diritti umani fondamentali tutelati dall’ordinamento comunitario, quali ad esempio il diritto dell’interessato ad un giusto processo prima dell’inserimento del suo nominativo nelle liste, eppure sono stati ritenuti validi dal tribunale di primo grado in una famosa sentenza del 2005, la sentenza Kadi, in quanto adottati in esecuzione di una decisione del Consiglio di Sicurezza. Soltanto nel 2008 la corte di giustizia ha affermato che i principi fondamentali dell'Unione europea, in particolare quelli che garantiscono sfere soggettive individuali, costituiscono un limite a qualsiasi atto comunitario, sia pure adottato in attuazione di Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e quindi ha dichiarato l’invalidità di quei regolamenti.
Differenze sostanziali si possono cogliere anche confrontando i due tipi cooperazione – universale e regionale – nell’ambito più pragmatico della cooperazione di polizia. Da un lato infatti abbiamo la più importante organizzazione internazionale di polizia a carattere universale, l’Interpol, che con i suoi 188 membri partecipa alla Counter Terrorism Implementation Task Force (CTITF) istituita nel 2005 dal Segretario generale dell’ONU pur non essendo membro delle Nazioni Unite e svolge un ruolo di primo piano nella lotta al terrorismo per mezzo di una serie di iniziative, tra cui l’istituzione di una Fusion Task Force (FTF) con sede a Lione che ha il compito precipuo di promuovere la diffusione delle informazioni riguardanti il terrorismo tra gli Stati membri e di accrescere la loro capacità di affrontare le minacce che scaturiscono da questo fenomeno.
Dall’altro lato, vi è l’Europol, una rete internazionale di cooperazione che coordina le attività di polizia negli Stati membri dell’Unione europea per il tramite di un quartier generale centrale con sede a Den Haag, nei Paesi Bassi. Dopo i fatti dell’11 settembre, l’Europol si è dotata di una Counter terrorism task force, una unità specializzata anti-terrorismo formata da esperti e funzionari di collegamento provenienti dalle polizie e dai servizi segreti degli Stati membri. Ma mentre l’alto livello di burocratizzazione dell’Interpol, permette a detto organismo di operare con relativa efficacia anche all’interno della Task Force anti-terrorismo delle Nazioni unite, l’Europol risente ancor oggi, dopo decenni di attività, delle pressioni politiche esercitate dalle istituzioni europee e del carattere nazionalistico della partecipazione dei suoi Stati membri, continuando a far apparire fumosi i contorni della sua effettiva capacità operativa.
In conclusione, Il terrorismo internazionale è solo uno degli ambiti di quella cooperazione di cui le organizzazioni internazionali rappresentano i principali strumenti; ma da questa prospettiva si può forse intravedere come sia necessario uno sforzo maggiore in direzione di uno sviluppo più coerente dei mezzi operativi e giuridici a livello universale e regionale, perchè le attività delle diverse organizzazioni internazionali risultino più efficaci in tutti i settori della cooperazione internazionale, a cominciare da quello del contrasto al terrorismo, come si è cercato di dimostrare attraverso questa trattazione.
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Informazioni tesi
Autore: | Carla Pistone |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze politiche e delle relazioni internazionali |
Relatore: | Raffaele Cadin |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 117 |
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