5
Introduzione
Le Organizzazioni internazionali costituiscono i principali
strumenti atti a favorire il processo della cooperazione internazionale
in vari settori, tra cui quello oggi fondamentale del contrasto al
terrorismo internazionale.
Il presente lavoro si propone di tracciare un confronto tra le
dinamiche della cooperazione internazionale a carattere universale e
quelle della cooperazione a carattere regionale e segnatamente
europeo in relazione a tale problema, non soltanto sul piano giuridico-
normativo, ma anche sul piano poliziesco.
A tale scopo saranno esplorate le esperienze di quattro
importanti Organizzazioni intergovernative: le Nazioni Unite,
l’Unione Europea, l’Interpol e l’Europol.
Nel primo capitolo dell’elaborato saranno descritte le forme che
il terrorismo ha assunto dal suo esordio nella storia fino ai drammatici
scenari prefigurati dal terrorismo di matrice internazionale in seguito
agli eventi dell’11 settembre 2001, allo scopo di esaminare
l’evoluzione dell’atteggiamento della comunità internazionale in
relazione alla progressiva internazionalizzazione del fenomeno. Si
argomenteranno, pertanto, l’abbandono dell’approccio normativo
unitario al problema del terrorismo internazionale e la scelta di un
approccio settoriale, la difficoltà per la comunità internazionale di
pervenire ad una definizione unitaria di terrorismo ed infine i problemi
sollevati dall’esigenza di contrastare il terrorismo internazionale e di
salvaguardare, contemporaneamente, il rispetto dei diritti umani.
6
Il secondo capitolo sarà rivolto alla comprensione del nuovo
ruolo assunto dalle Nazioni Unite nella cooperazione internazionale
anti-terrorismo all’indomani degli eventi dell’11 settembre.
Sarà analizzata la prassi degli organi delle Nazioni Unite, in special
modo quella del Consiglio di Sicurezza, e saranno esaminate le
quattro Risoluzioni del Consiglio che costituiscono i pilastri della
strategia anti-terrorismo dell’ONU ed in linea con le quali agisce la
complessa struttura della Counter –Terrorism Implementation Task
Force, l’unità di crisi che dal 2005 raccoglie le forze dei Dipartimenti,
Programmi, Uffici ed Agenzie delle Nazioni Unite contro il
terrorismo.
La struttura normativa dell’azione anti-terrorismo nel contesto
dell’Unione Europea sarà il tema affrontato nel terzo capitolo.
Dopo una breve descrizione dei primordi della cooperazione europea
in tema di sicurezza e di terrorismo, il cui apice è rappresentato dalla
Convenzione europea per la repressione del terrorismo del 1977,
saranno discussi i parametri introdotti in materia dai trattati di
Maastricht e di Amsterdam e le decisioni assunte in attuazione delle
disposizioni di detti trattati, attraverso l’analisi delle conclusioni del
Consiglio di Tampere del 1999 e quelle del Consiglio straordinario di
Bruxelles del 2001, quando, in seguito agli attentati compiuti sul suolo
americano, l’Unione Europea raccolse gli impulsi dell’ONU a
moltiplicare gli sforzi volti ad impedire e a reprimere gli atti
terroristici e cominciò a contemperare i propri sforzi con quelli
dell’intera comunità internazionale raccolta intorno alle Nazioni
Unite. In questa parte del lavoro saranno ripresi e sviluppati in senso
europeo i temi della definizione comune di terrorismo e della tutela
dei diritti fondamentali, attraverso l’analisi del tentativo di definizione
7
rappresentato dalla Decisone quadro 2002/475/GAI del 2002 e delle
modalità di recepimento da parte dell’Unione Europea delle c.d. “liste
nere” del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, introducendo così
l’essenziale riflessione sul rapporto interordinamentale tra Unione
Europea e comunità internazionale in materia di terrorismo. Infine,
saranno descritti i progressi apportati dal trattato di Lisbona per
assicurare quello spazio di libertà, sicurezza e giustizia che
rappresenta uno dei fondamentali obiettivi dell’Unione Europea fin
dai tempi del trattato di Amsterdam.
Un ultimo capitolo sarà dedicato specificamente alla
cooperazione internazionale di polizia, con preciso riferimento alle
due organizzazioni internazionali di polizia operanti rispettivamente a
livello mondiale e a livello europeo: l’Interpol e l’Europol. L’analisi
generale delle possibili forme della cooperazione internazionale di
polizia sarà infatti seguita da un approfondimento sul ruolo di tali
organismi nella lotta al terrorismo internazionale e sulla loro reciproca
collaborazione, che rappresenta il trait d’union fra la cooperazione
universale e la cooperazione europea in tema di pubblica sicurezza.
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CAPITOLO PRIMO
IL TERRORISMO INTERNAZIONALE:
PROFILI GIURIDICI
SOMMARIO: 1. Il fenomeno del terrorismo e la sua evoluzione storica. – 2. Il pro-
blema della definizione. – 3. Il rispetto dei diritti umani nel contrasto al ter-
rorismo.
1. Il fenomeno del terrorismo e la sua evoluzione storica
Il termine terrorismo è stato coniato originariamente per designare un regime
politico o un governo fondato sul terrore. Esso compare per la prima volta, infatti, nel
1795, nello Oxford English Dictionary per indicare gli abusi del potere rivoluzionario
in Francia, e poco dopo, nel 1798, nel supplemento al Dictionarie de la Accadémie
Francaise, con riferimento all’abuso nella applicazione della legge.
In questo periodo storico, quindi, il terrorismo si configura come un metodo
per realizzare e consolidare un colpo di Stato ovvero per rafforzare lo status quo.
Tuttavia l’espressione ha assunto, nel linguaggio comune del XIX e XX secolo,
un diverso significato: quello di uso illegittimo della violenza riconducibile sia
all’azione degli Stati che di gruppi socio-politici organizzati e posti in essere
all’interno di un Paese ovvero in un contesto transnazionale o internazionale.
Sebbene quello che qui interessi sia il terrorismo nella sua dimensione
internazionale, l’aspetto del terrorismo interno non può essere trascurato, tanto più
che la linea di demarcazione fra di essi appare sempre più sottile nella percezione
della comunità internazionale; inoltre, per comprendere il fenomeno nella sua
complessità, occorre tener conto anche delle altre forme che esso ha assunto nel
tempo, come quella del “terrorismo indipendentista”, con riferimento ai movimenti di
liberazione nazionale che lottano per la autodeterminazione di un popolo, e quella di
“terrorismo di Stato”, espressione questa con cui si intende indicare sia il regime
fondato sul terrore, sia il coinvolgimento anche indiretto di uno Stato in atti
terroristici compiuti all’estero.
9
Quest’ultimo aspetto si può manifestare anche sotto forma di una mera
tolleranza, da parte di uno Stato, di attività svolte nel proprio territorio da persone o
gruppi volte alla pianificazione e all’esecuzione di atti terroristici all’estero. Ed è
soprattutto rispetto a queste fattispecie che la normativa internazionale convenzionale
si sta attualmente muovendo, allo scopo di instaurare e regolare la cooperazione
giuridica tra gli Stati in vista della prevenzione e soppressione delle attività
terroristiche imputabili a persone o ad organizzazioni private.
Dalla seconda metà del XIX secolo fino al termine della Grande Guerra gli atti
di terrorismo sono stati indirizzati prevalentemente nei confronti della leadership al
potere, quali i sovrani, i ministri o i funzionari dello Stato. Queste azioni erano
qualificate come atti di tradimento e pertanto erano ricomprese fra i crimini contro la
sovranità dello Stato. L’esempio forse più clamoroso di questa prassi è rappresentato
dall’attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914 contro l’Arciduca Francesco
Ferdinando d’Asburgo e sua moglie, episodio che fornì il casus belli per lo scoppio
della prima Guerra Mondiale.
Ma già negli anni ’20 il fenomeno si manifesta nelle sue forme di “terrorismo
indipendentista” e di “terrorismo di Stato”; anzi, proprio nel 1920, in Irlanda, le due
forme vengono a contrapporsi, quando undici ufficiali dei servizi segreti inglesi
vengono assassinati dall’IRA
1
, il movimento di liberazione nazionale dell’Irlanda del
Nord. Il governo inglese, infatti, reagisce a sua volta a questo atto di terrorismo
indipendentista con misure di terrore, ed invia i reparti speciali britannici ad aprire il
fuoco sugli innocenti spettatori di un incontro di calcio a Dublino, uccidendone
dodici. È il primo “bloody sunday” nella lunga storia del contrasto tra le forze
partigiane irlandesi ed il governo britannico.
Con l’avvento del nazionalsocialismo, poi, si apre una lunga stagione di
“terrore” per i dissidenti, le minoranze etniche e soprattutto per i cittadini di religione
ebraica. In Italia, in particolare, lo squadrismo fascista rivolge la propria azione
1
Irish Republican Army.
10
terroristica contro gli oppositori politici, giungendo al rapimento e all’assassinio del
deputato socialista Giacomo Matteotti, nel giugno del 1924.
Ma sarà un altro episodio a porre per la prima volta in evidenza un aspetto
cruciale per la futura cooperazione inter-statale nelle lotta al terrorismo: quello
dell’estradizione dei presunti terroristi. Il 9 ottobre 1934, a Marsiglia, il Re di
Jugoslavia Alessandro Karadjeordjevic e il Ministro degli Esteri francese Louis
Barthou cadono sotto i colpi dell’ORIM
2
, l’organizzazione panslavista macedone
affiliata al movimento croato degli Ustascia (insorti), guidato da Ante Pavelic.
Questi, poco prima dell’attentato, si era rifugiato a Torino, dove fu arrestato, ma non
fu estradato in Francia, disattendendo la richiesta del governo francese, perchè da
parte italiana si disse che il delitto di Marsiglia aveva carattere politico.
Effettivamente, dal secolo precedente, si era consolidata la prassi di non estradare i
responsabili di delitti politici; così, l’attentato di Marsiglia richiamò per la prima
volta l’attenzione della comunità internazionale sulla mancanza di strumenti giuridici
idonei a combattere un fenomeno criminale divenuto ormai di dimensioni
transnazionali. Nello stesso 1934, perciò, la Società delle Nazioni costituì una
Commissione incaricata di redigere il progetto della prima Convenzione
internazionale in materia di terrorismo. Il testo vide la luce il 16 novembre 1937,
contestualmente ad una Convenzione per la creazione di una Corte penale
internazionale. Dopo la loro adozione, tuttavia, le due Convenzioni non furono mai
ratificate e non entrarono mai in vigore, travolte dagli avvenimenti della Seconda
Guerra Mondiale che dimostrò definitivamente l’incapacità della Società delle
Nazioni di perseguire lo scopo per cui essa era nata: quello di dare “sviluppo al
sistema cooperativo delle Nazioni e garantire loro la pace e sicurezza
3
”.
Inoltre, a concorrere al fallimento della Convenzione di Ginevra per la
repressione e prevenzione del terrorismo era stata la riluttanza della comunità degli
2
Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone.
3
R. SPIAZZI, Lineamenti di etica politica, Edizioni Studio Domenicano, 1989,
p. 226.
4
A. GIOIA, Terrorismo internazionale, crimini di guerra e crimini contro
l’umanità, in Rivista di Diritto Internazionale, 2004, I, p. 5 ss., p.9.
11
Stati ad accettare la definizione di terrorismo in essa contenuta, perchè considerata
troppo generica e potenzialmente omnicomprensiva
4
, come si dirà più
approfonditamente nel terzo paragrafo di questo capitolo, dedicato appositamente al
problema della definizione di terrorismo internazionale.
In questa sede, basti dire che la Convenzione in oggetto, allo scopo di evitare
l’impunità e permettere l’estradizione degli autori di atti di terrorismo, che
tradizionalmente non è concessa per i delinquenti politici
5
, non riconosceva la natura
politica dei reati di terrorismo definiti all’articolo 1 e sommariamente elencati allo
articolo 2
6
.
Ratificando la Convenzione, le Parti si sarebbero impegnate a riconoscere tali
atti come reati nel loro ordinamento e a stabilirne la relativa giurisdizione, nonché ad
estradare gli autori di un crimine commesso all’estero, ma detenuti nel proprio
territorio, ovvero a farli giudicare dai propri tribunali nazionali in base al principio
aut dedere aut iudicare. Si tratta di un principio generale di diritto internazionale che
ha permesso di superare il limite della territorialità della legge penale e che
costituisce un vincolo per quel principio della giustizia universale che vuole che i
crimini internazionali possano essere perseguiti da Stati differenti, indipendentemente
dal luogo in cui vengono commessi e anche se nessun cittadino di quegli Stati sia
vittima di quei reati
7
. In alternativa all’estradizione e al processo, inoltre, gli Stati
avrebbero potuto deferire l’accusato alla istituenda Corte penale internazionale
8
, alla
quale la corrispondente Convenzione attribuiva la giurisdizione sui singoli individui.
5
con l’eccezione della c.d. clausola belga, sancita nel 1856 dal governo del Belgio a seguito del
fallito attentato a Napoleone III, che escludeva dal novero dei reali politici l’attentato alla vita di un
Capo di Stato o di un membro della sua famiglia.
6
attentati contro Capi di Stato o persone che rivestono pubbliche funzioni o contro i membri delle
rispettive famiglie, nonché contro beni pubblici o
destinati ad uso pubblico o ancora reati concernenti il traffico di armi e sostanze
nocive.
7
A. SERRANÒ, Le armi razionali contro il terrorismo contemporaneo.La sfida delle democrazie di
fronte alla violenza terroristica, Giuffrè, Milano, 2009, p. 101.
8
C. DI STASI, La lotta multilivello al terrorismo internazionale. Garanzia di sicurezza versus tutela
dei diritti fondamentali, Giuffrè, Milano, 2010, p. 37.
12
Malgrado la mancata ratifica, la Convenzione di Ginevra del 1937 rappresenta
un importante antecedente giuridico nella storia del contrasto multilaterale al
terrorismo, tanto è vero che i suoi principi ispiratori informeranno la prassi giuridica
della fase successiva al secondo conflitto mondiale, caratterizzata dal c.d. approccio
settoriale alla repressione del terrorismo internazionale, di cui ci si accinge a
descrivere i presupposti storici.
Dopo la seconda guerra mondiale, infatti, si manifestano nuove forme di
terrorismo, che in alcune regioni del mondo si legano indissolubilmente al processo
di decolonizzazione e quindi si declinano in maniera più evidente nella forma del
terrorismo indipendentista. È il caso, anzitutto, delle azioni terroristiche condotte dai
gruppi sionistici nei confronti di arabi e inglesi nel corso della costruzione dello Stato
di Israele. Rilevante in questo contesto la uccisione di due funzionari delle Nazioni
Unite, lo svedese Folke Bernadotte ed il francese André Sérot, avvenuta in territorio
israeliano nel 1948; infatti in quella occasione l’ONU, nata solo tre anni prima con la
Conferenza di S. Francisco, richiese il risarcimento del danno provocato da quel
delitto e la Corte internazionale di Giustizia, competente a risolvere conformemente
al diritto internazionale le controversie internazionali, fu chiamata a decidere se la
richiesta di risarcimento fosse a carico degli Stati di appartenenza dei due funzionari
o delle Nazioni Unite come organizzazione internazionale di invio. Con parere
dell’11 aprile 1949, la Corte affermava che le Nazioni Unite avevano legittima
titolarità a porre in essere reclami internazionali per tutelare i propri diritti in quanto
soggetto di diritto internazionale che persegue fini propri con organi propri, autonomi
ed indipendenti
9
. Dunque l’affare Bernadotte rappresenta il case law nel cui ambito è
avvenuto il riconoscimento della personalità giuridica internazionale della più grande
organizzazione internazionale a vocazione universale che tanta parte avrà, d’ora in
poi, nel contrasto al terrorismo internazionale.
9
A. ZANELLI, G. ROMEO, Profili di diritto dell’Unione Europea: storia, istituzioni, aspetti giuridici
dell’Unione Europea, Rubbettino, Catanzaro, 2002, p. 90, nota 8.
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Ma il terrorismo indipendentista, oltre che nella cornice israeliana, sarà
protagonista anche in Algeria, negli anni ’50, in India e in Indocina e ancora, negli
stessi anni, in Irlanda; negli anni ’60 e ’70, invece, riguarderà marcatamente i Paesi
dell’America latina, mentre in Europa si aprirà la stagione degli “anni di piombo”.
Alla ribalta della cronaca europea, infatti, salgono pressoché quotidianamente gli atti
terroristici compiuti ora dall’ETA
10
spagnola, ora dall’IRA irlandese, ora dal PKK
11
turco, ora dalle Brigate Rosse italiane e da altri gruppi rivoluzionari di stampo
marxista-leninista o fascista. Sono gli anni delle stragi di Piazza della Loggia, di
Piazza Fontana, dell’Italicus e della stazione di Bologna; stragi che si configurano
come “deviazioni istituzionali” e quindi come terrorismo di Stato.
Gli anni ’70, inoltre, sono quelli in cui fa la sua comparsa il terrorismo
“internazionale”, o meglio “transnazionale”, vale a dire quello che non soltanto
travalica i confini nazionali, ma che si caratterizza per la cooperazione tra gruppi
terroristici appartenenti a diversi Paesi, in quanto accomunati da una stessa ideologia
ovvero da semplici interessi di natura strategica. È il caso del terrorismo palestinese,
contraddistinto dalla confluenza di diversi gruppi terroristici nel seno di grandi
“multinazionali del terrore”, prima tra tutte Al-Fatah (Consiglio Rivoluzionario), che
contiene al suo interno numerosi gruppi terroristici e che a sua volta confluisce,
insieme ad altre organizzazioni, come il Fronte Popolare per la Liberazione della
Palestina (FPLP), nell’organizzazione politica paramilitare dell’OLP
(Organizzazione per la Liberazione della Palestina). Già in quegli anni il terrorismo
palestinese trova sostegno finanziario e logistico in quelli che saranno classificati
come “Stati canaglia” (alcuni Stati arabi, Libia, Siria, Yemen del Sud e Iran); lo
stesso sostegno riceveranno, pochi anni dopo, i gruppi terroristici a matrice islamico-
fondamentalista, come Hamas, Hezbollah e la Jihad Islamica Egiziana, quest’ultima
sostenuta finanziariamente dall’Iran di Khomeini e dall’Iraq di Saddam Hussein.
Queste nuove entità scalzeranno la leadership delle organizzazioni a carattere laico
10
Euskadi Ta Askatasuna, in spagnolo País Vasco y Libertad, letteralmente "paese basco e libertà".
11
Partîya Karkerén Kurdîstan, letteralmente “Partito dei Lavoratori del Kurdistan”.