I buoni e i cattivi. La Polizia nelle rappresentazioni fotografiche durante gli scontri di Genova: un'analisi semiotica
Il mio lavoro propone l’analisi semiotica delle fotografie della stampa nazionale italiana che raffigurano le forze di polizia in servizio durante il G8 di Genova.
L’obiettivo del lavoro era indagare se vi fosse una cornice interpretativa (frame) adottata dai giornali per i fatti di Genova e se vi fosse, all’interno di questa, un’iconografia delle forze dell’ordine che si presentasse in maniera prepotente o stereotipata. Nelle trattazioni giornalistiche del vertice il topic delle notizie si sposta dai temi sociali ed economici dell’antiglobalizzazione alla lotta tra manifestanti e forze dell’ordine: questo slittamento tematico è riscontrabile in tutte le testate. Vi è stata una uniformità degli stili narrativi delle varie testate, un canovaccio che intrattiene il lettore nella descrizione di un solo scenario: la “guerriglia urbana”.
La metafora bellica ha costruito una saga narrativa che ha dipinto nuovi scenari di conflitto caratterizzati dal loro essere “guerre narrative” e in cui gli attori (o meglio, inter-attori) costituiscono un attante collettivo: l’attante duale. Di volta in volta la figura dell’attore sfidante o sfidato è stato ricoperto dai manifestanti o dalle forze dell’ordine. Difatti il frame interpretativo della sicurezza viene declinato in modo diverso dalle testate con orientamento politico opposto. Da un’analisi complessiva dei termini più ricorrenti nei titoli dei quotidiani, si evidenzia come i giornali di destra abbiano usato parole come “danni”, “bomba”, “ordigno” e abbiano individuato i presunti responsabili in “Br”, “anarchico”, “Bertinotti”, anti-global”, “sinistra”; i giornali di sinistra abbiano insistito sul “diritto” e la “libertà” di manifestare negati dalla “polizia”. Queste scelte lessicali si accompagnano ad altrettante scelte redazionali, circa la pubblicazione del materiale fotografico, finalizzate al racconto politicamente orientato delle testate giornalistiche. Non a caso appaiono in misura maggiore fotografie di manifestazioni e dell’evento ufficiale sul Corriere della Sera, di devastazioni e violenze a opera dei manifestanti su Il Giornale, di manifestazioni e violenze da parte della polizia su Il Manifesto.
La lettura attenta delle immagini della polizia ha permesso di individuare, oltre il loro valore di documento storico, le citazioni di altre rappresentazioni iconiche. Le citazioni così individuate spaziano dalle produzioni pittoriche e cinematografiche (Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il gladiatore con Russell Crowe, scene di western), a quelle fotografiche (fotografie di stampa sul conflitto tra Iran e Iraq negli anni Ottanta, fotografie di John Filo, Eugene Smith, Don McCullin, Bill Brandt, Bull Clarence Sinclair), pubblicitarie (Benetton), giornalistiche (L’Espresso del maggio 1977).
Numerose fotografie raffigurano gli agenti di polizia allineati ordinatamente e composti, un “io collettivo” esteticamente ordinato. Non si può non considerare il fascino che emana da queste illustrazioni: un’idea di ordine, di compostezza, di severità, di unità che si traduce in una retorica dell’unione e dello spirito di corpo dove le singole personalità sono annullate a favore del gruppo. L’intento è quello di mostrare le forze dell’ordine come un reparto compatto: una moltitudine di individui che scarificano le loro individualità per rinsaldare l’affiatamento e lo spirito di corpo. Il fatto che molti quotidiani forniscano un’immagine delle forze di polizie come eserciti privi di immaginazione e iniziativa privata fa presupporre che questa sia un’idea che serpeggia nel tessuto sociale o addirittura che sia un’idea che la stessa polizia abbia voluto trasmettere nelle sue forme di comunicazione verso l’esterno. Questa iconografia rappresenta il poliziotto come soggetto dotato di una sola modalità preliminare alla costituzione del programma narrativo: il dover essere.
In altre immagini l’obiettivo fotografico punta sulle armi in dotazione ai poliziotti. Ciò non è privo di conseguenze: si producono scenari virtuali. Le armi abbozzano una “drammaturgia silenziosa”. Esse anticipano scenari di guerra, di violenza e presuppongono pratiche specifiche come lo scontro di corpi. Le immagini delle armi diventano le figure concrete del ruolo tematico del poliziotto, sottolineando quindi l’aspetto aggressivo-punitivo di tale ruolo.
In conclusione si può dire che si è venuto a costituire un habitus percettivo, cognitivo e simbolico che ha portato all’edificazione di una rappresentazione delle forze dell’ordine che ha subito processi di semplificazione e stereotipia.
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Informazioni tesi
Autore: | Anna De Dominicis |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2002-03 |
Università: | Università degli Studi di Siena |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze della Comunicazione |
Relatore: | Omar Calabrese |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 175 |
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