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Le politiche di riforma istituzionale: il caso della Camera dei Lord (1907-2003)

La Camera dei Lord è una delle istituzioni parlamentari più antiche attualmente esistenti: le sue origini come ramo distinto di un Parlamento bicamerale vanno rintracciate nel XIV secolo, ma il suo embrione risale ai tempi in cui l’Inghilterra venne conquistata dai Normanni, nell’XI secolo. Se si esclude la parentesi del Protettorato dei Cromwell (1648-1660), durante il quale venne completamente esautorata delle sue prerogative, la House of Lords ha attraversato, con una longevità ed una continuità che non ha eguali, più di 700 anni di storia britannica. In questo lunghissimo lasso di tempo la Camera aristocratica del Parlamento di Westminster si è trasformata, adattandosi ai mutevoli contesti istituzionali e all’evoluzione della forma di Governo, in ordine storico, dell’Inghilterra, della Gran Bretagna e del Regno Unito.
Oggi, per il ruolo e le funzioni che svolge e i poteri di cui dispone, la Camera dei Lord, se si fa eccezione per la sua veste di corte di giustizia di ultimo grado, può essere sostanzialmente assimilata alla maggior parte delle seconde Camere dei Paesi democratici e industrializzati che dispongono di un Parlamento bicamerale: le sue funzioni principali sono la revisione della legislazione nazionale, il controllo della legislazione europea, il controllo dell’attività del Governo e della Camera dei Comuni, la supervisione sulle questioni costituzionali e dei diritti civili e politici, la discussione delle principali questioni di interesse pubblico; la Camera dispone di poteri definiti dalla legge, principalmente un veto sospensivo sulla legislazione primaria e uno assoluto su quella secondaria, l’esercizio dei quali viene ulteriormente limitato dall’adesione spontanea a delle convenzioni.
L’eccezionalità della Camera dei Lord, che nel XX secolo l’ha fatta apparire sempre più in ritardo con la storia, scaturisce soprattutto dalle caratteristiche della sua composizione, alcune delle quali sono il retaggio di epoche assai remote, sopravvissute allo sviluppo dei principi democratici e delle istituzioni rappresentative: le dimensioni della Camera, la presenza di alcuni membri ereditari, l’investitura nominale di tutti gli altri membri, la presenza degli Arcivescovi e dei Vescovi della Chiesa d’Inghilterra, la presenza dei giudici supremi dell’Unione, la figura del Lord Cancelliere, il possesso vitalizio del seggio, l’assenza di un legame tra l’equilibrio politico e i mutamenti di opinione dell’elettorato, la presenza di un ampio gruppo di membri senza affiliazione politica.
La continuità con il passato di questa istituzione e l’inerzia di fronte all’incedere di nuovi scenari, sarebbero facilmente comprensibili se la sua evoluzione, come accaduto fino alla fine del XIX secolo, fosse stata lasciata esclusivamente all’adattamento spontaneo del comportamento dei suoi membri. Ma dall’inizio del XX secolo a questa dinamica endogena se n’è affiancata una esogena, alla trasformazione spontanea è stato aggiunto l’intervento deliberato e con strumenti anche coercitivi dell’autorità di Governo: nell’arco di tutto il secolo scorso e di quello attuale, con un andamento ciclico Governi di qualsiasi natura hanno cercato e cercano di correggere le anomalie che caratterizzano la Camera dei Lord. Tuttavia anche l’intervento dell’autorità pubblica non è stato sufficiente, almeno per ora, a “normalizzare” la upper chamber di Westminster. Infatti le politiche di riforma della Camera dei Lord si sono distinte per aver prodotto in ogni ciclo la sostanziale inerzia della stessa istituzione: un output omogeneo che può essere spiegato con le caratteristiche omogenee di ciascun ciclo di riforma. In tutte le fasi sono state rintracciate delle continuità, delle regolarità, tratti che indipendentemente dal contesto si ripropongono immancabilmente: la lunghezza dei cicli, la priorità assegnata alla riforma, le modalità di produzione delle politiche, la fonte delle politiche, il livello di conflittualità, l’ambito e l’estensione degli interventi.
La ragione di questa sorta di coazione a ripetere è dovuta al sommarsi, in ogni ciclo di riforma, di vari tipi di forze di intensità e direzioni differenti, alcune che spingono verso il cambiamento, altre che ancorano allo status quo. Queste forze, le variabili indipendenti che hanno determinato le politiche di riforma della Camera dei Lord, a seconda del periodo in cui il loro stato non muta, possono essere identificate come tre flussi che si articolano su orizzonti temporali differenti, uno di lungo, uno di medio e uno di breve periodo. Il flusso di lungo periodo è determinato da fattori storici e culturali; quello di medio periodo dalla “legacy” dei cicli di riforma precedenti; quello di breve periodo da fattori contingenti legati ai contesti politici e agli assetti istituzionali.

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1Introduzione Non è raro trovare delle pubblicazione dove le istituzioni del Regno Unito vengono variamente definite come “eccezionali”, “originali” o “anomale”. Definizioni che possono lasciare perplessi se di tali istituzioni si considerano il funzionamento e le interazioni, visto che la forma di Governo britannica è diventato il paradigma di quello che non a caso viene chiamato “modello Westminster”; sono qualificazioni più pertinenti se le stesse istituzioni vengono analizzate singolarmente per la loro struttura e la loro storia. Di tutte le istituzioni del Regno Unito la più eccezionale, originale ed anomala è senza dubbio la Camera dei Lord. Retaggio di epoche medioevali, per lunghi secoli si è adeguata all’incedere dei principi democratici solo attraverso una trasformazione spontanea guidata dalla volontà dei propri membri; dall’inizio del XX secolo a questa dinamica spontanea se ne è affiancata un’altra imposta “esogenamente” dalla volontà e dall’autorità del Governo. Questo, tuttavia, non è stato sufficiente ad evitare che la Camera dei Lord varcasse la soglia del terzo millennio ancora gravida di tratti anacronistici, a volte lesivi di principi ormai riconosciuti come qualificanti le istituzioni democratiche. La forma di Governo britannica è stata e probabilmente continuerà ad essere un modello al quale ispirarsi disegnare nuove costituzioni democratiche, ma sembra improbabile che qualche ingegnere costituzionale possa

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