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Comandare nel consenso. La rappresentanza degli interessi del personale nell'organizzazione militare.

La legge 382/78, “Legge di principio sulla disciplina militare”, fa divieto al personale militare in servizio di fondare sindacati o aderire ad essi. La stessa norma, per supplire alla negazione dei diritti sindacali, introduce uno strumento di tutela alternativo, la Rappresentanza Militare. Si tratta di un modello di rappresentanza degli interessi collettivi sui generis attraverso il quale il personale esprime pareri, formula richieste ed avanza proposte, prospettando istanze di carattere collettivo” e che si articola in organismi consultivi all’interno delle singole amministrazioni. Un modello di tutela che, nel contesto della crescente modernizzazione delle Forze armate e dei cambiamenti della società in cui esse sono collocate, si rivela oramai inadeguato alle esigenze dei militari, come testimoniano le opinioni provenienti dagli stessi consigli che compongono la R.M. che, di fatto, aspirano alla riforma o al superamento di questo istituto. Questo studio nasce dalla rilevazione di una carenza conoscitiva nel personale sul proprio sistema rappresentativo, e dalla mancanza nel dibattito di riforma dello stesso e nei pochi studi ad esso afferenti - in cui si contrappongono per lo più argomentazioni di carattere prettamente idealistico/giuridico - di ragionamenti fondati sull’interpretazione dei fenomeni sociali che attengono l’ambito militare. Con questo saggio, pur muovendoci necessariamente da considerazioni che dipartono dal contesto giuridico di riferimento, si tenterà di colmare almeno in parte questo vuoto teorico, proseguendo nell’analisi del caso da una prospettiva differente, attraverso gli strumenti teorici forniti dalla sociologia applicata allo studio delle organizzazioni e tramite gli apporti degli specifici studi di sociologia militare, nel tentativo di offrire un contributo inedito alla riflessione intorno alla scelta di un nuovo formato di tutela per il personale militare.

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Introduzione La legge 382/78, “Legge di principio sulla disciplina militare”, fa divieto al personale militare in servizio di fondare sindacati o aderire ad essi. La stessa norma, per supplire alla negazione dei diritti sindacali, introduce uno strumento di tutela alternativo, la Rappresentanza Militare. Si tratta di un modello di rappresentanza degli interessi collettivi sui generis, “attraverso il quale […] il personale militare esprime pareri, formula richieste ed avanza proposte, prospettando istanze di carattere collettivo” 1 che si articola in organismi consultivi all’interno delle singole amministrazioni. Questi organismi non hanno potere di contrattazione né autonomia rispetto alle singole amministrazioni, inoltre, presentano ristretti ambiti d’intervento. Un modello che, nel contesto della crescente modernizzazione delle Forze armate e dei cambiamenti della società in cui esse sono collocate, si rivela oramai inadeguato alle esigenze dei militari, come testimoniano le opinioni provenienti dagli stessi consigli che compongono la R.M. che, di fatto, aspirano alla riforma o al superamento di questo istituto rappresentativo. La politica, raccogliendo queste istanze, prova da anni a risolvere la delicata questione cercando la mediazione tra le richieste del personale e gli orientamenti degli stati maggiori. Chi scrive ha avuto il privilegio di aver fatto parte, come rappresentante, di uno di questi organismi, così da poter contribuire alla riflessione tramite ciò che in sociologia 1 1 Art. 1 del D.P.R. 4.11.79, n. 691, “Regolamento di attuazione della Rappresentanza Militare”.

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