qualitativa è chiamato uno sguardo partecipante. Questo studio
nasce dalla rilevazione di una carenza conoscitiva nel personale sul
proprio sistema rappresentativo e dalla mancanza nel dibattito di
riforma dello stesso - in cui si contrappongono per lo più
argomentazioni di carattere prettamente idealistico/giuridico - di
ragionamenti fondati sull’interpretazione dei fenomeni sociali che
attengono l’ambito militare. Negli stessi militari, il problema del
superamento dell’attuale sistema di rappresentanza è sicuramente
percepito, ma se si chiedono le ragioni di questo malcontento, i
motivi dell’insufficienza di questo modello di tutela, ci si rende
spesso conto che le idee che stanno alla base di queste percezioni
sono molto nebulose, basate più su singole esperienze personali o
su impostazioni ideologiche che su motivazioni sorrette da una
visione complessiva e organica. I pochi studi sull’argomento, seppur
dotati di una certa capacità euristica, denotano le stesse lacune
riscontrate nel dibattito, con il generale appiattimento della
trattazione sulla dimensione giuridica, con analisi che effettuano
comparazioni dell’istituto con il quadro normativo vigente, alla luce
delle posizioni dottrinali e giurisprudenziali. Con questo saggio, pur
muovendoci necessariamente da considerazioni che dipartono dal
contesto giuridico di riferimento, si tenterà di colmare almeno in
parte questo vuoto teorico, proseguendo nell’analisi del caso da una
prospettiva differente, attraverso gli strumenti teorici forniti dalla
sociologia applicata allo studio delle organizzazioni e tramite gli
apporti degli specifici studi di sociologia militare. Partendo da una
descrizione dell’attuale sistema rappresentativo, dall’individuazione
2
3dei suoi nodi critici e dal tentativo di scoprire le sue funzioni
implicite, ci soffermeremo sul dibattito politico che si occupa di
trovare una soluzione alle nuove esigenze di rappresentatività del
personale militare. In seguito si confronterà la situazione militare
italiana con le soluzioni rappresentative adottate dalla Polizia di Stato
e dalle Forze armate di altri paesi europei. Si cercherà infine di
offrire, partendo dall’esame di alcuni aspetti sociali
dell’organizzazione militare e del personale che la compone, un
contributo di tipo sociologico alla riflessione intorno alla scelta di un
nuovo formato di tutela per il personale militare.
3
CAPITOLO I
L’istituto della Rappresentanza Militare
SOMMARIO – 1. La nascita della Rappresentanza Militare – 2. La
Rappresentanza Militare – 3. I nodi critici – 4. Funzioni manifeste e
latenti della R.M..
1. La nascita della Rappresentanza Militare
Tutti i regolamenti di disciplina delle Forze armate, almeno fino al
secondo dopoguerra, imponevano, per i militari, forti limitazioni
delle libertà civili riconosciute agli altri cittadini dello Stato. La stessa
impostazione fu scelta nel 1964 dall’allora Ministro della Difesa,
Giulio Andreotti, per riscrivere il Regolamento di Disciplina Militare,
valido per tutte le Forze armate e corpi armati dello Stato. Tale
regolamento, che conteneva norme che si ponevano in contrasto con
i dettami della Costituzione repubblicana, comincia a essere messo
in discussione, insieme allo stesso ordinamento militare, dai soldati
di leva dei primi anni 70, attraverso le prime forme di protesta e
d'insubordinazione non violenta cui spesso corrispondevano le
reazioni punitive delle gerarchie che non esitavano a far uso di
sanzioni detentive. Le principali critiche al regolamento Andreotti
4
riguardavano, appunto, la sua anticostituzionalità che si manifestava
nella forte compressione delle libertà civili, nel divieto di avere una
vita politica e associativa, nelle limitazioni alla libertà di pensiero e
alla sua manifestazione. Il regolamento era ritenuto persino
illegittimo poiché emanato con decreto, senza un vero dibattito
parlamentare alle spalle e senza essere mai pubblicato sulla gazzetta
ufficiale. Particolarmente invise erano le punizioni che implicavano la
reclusione del militare, anche per mesi, senza alcuna garanzia di
difesa o reclamo e la generalizzata invadenza dell’ambito militare
nella vita privata. Queste domande di rinnovamento e di
riconoscimento di diritti di cittadinanza, cui si aggiungevano le
richieste di migliori condizioni economiche e lavorative, trovarono
una loro prima forma di organizzazione nei movimenti democratici
composti da militari. Già esistevano sindacati dei militari in congedo
d'ispirazione conservatrice, tollerati dalle gerarchie e ben accolti
dalle forze politiche ideologicamente affini, che cercarono di farsi
interpreti del crescente malcontento, ma il vero passo in avanti della
protesta si registra con la nascita dell’organizzazione dei Proletari in
divisa (P.I.D.) finalizzata a promuovere e coordinare le crescenti
proteste dei militari. La crisi esistente nella società di quegli anni si
riversava nelle caserme, le nuove generazioni di militari di leva,
dotate di un più elevato livello culturale e di maggiore coscienza dei
propri diritti, si scontravano con le posizioni della gerarchia di
orientamento opposto alle tendenze democratiche prevalenti nel
mondo civile. L’aspetto innovativo dei P.I.D. fu la messa in
discussione dell’ordinamento militare vigente attraverso la protesta
5
democratica ideologicamente “fondata su un’analisi di classe
dell’esercito e sulla denuncia del suo ruolo repressivo e
antipopolare”
2
.
Nel 1975 il movimento dei militari cresce, modifica la sua
composizione e incrementa al contempo le forme di lotta e protesta
pacifiche: diventa un movimento di massa e ai soldati di leva si
aggiungono i militari di carriera, sottufficiali delle Forze armate in
prevalenza appartenenti ai ruoli dei sergenti e dei marescialli
dell’Aeronautica, i quali più di altre categorie di militari “hanno
sentito immediata la contraddizione tra il loro lavoro di specializzati
e l’anacronismo di una disciplina che prescinde dalla loro
collocazione professionale”
3
. Il fatto che l’Aeronautica fosse la
componente più moderna e tecnologica delle forze armate, cosa che
comportava un possesso di maggiori competenze tecniche del
personale impiegato, fece sì che lo scarto esistente con il mondo
civile in termini di diritti e di retribuzione fosse più percepito che
nelle altre Forze armate italiane. Fu creato il Coordinamento dei
Sottufficiali Democratici dell’Aeronautica Militare (CSDAM) che portò
avanti le richieste di diritti civili, di revisione dei regolamenti e dei
codici penali militari, di maggiore democrazia, e di miglioramento
delle condizioni lavorative. L’azione di protesta del movimento, che
si concretizzerà in una lunga serie di manifestazioni e altre forme di
protesta pacifiche, seguite spesso dall’intervento repressivo degli
6
2
Antonio De Marchi, Giorgio Rochat, La battaglia per la democratizzazione delle forze
armate italiane, in I diritti del soldato, Giangiacomo Feltrinelli editore, Milano, 1978; pag. 25.
3
Antonio De Marchi, Giorgio Rochat, ib., pag. 29.
Stati Maggiori, raggiunse la sua acme il 27 marzo 1976, quando
tremila militari in divisa, in maggior parte sottufficiali
dell’Aeronautica, manifestarono per le strade di Milano. La
manifestazione ricevette il sostegno di CISL, UIL, del PSI, dei Radicali
e dei gruppi della sinistra extraparlamentare, ma non della CGIL e del
PCI che rifiutano il loro appoggio “giudicando pericolosa e
avventurista la marcia attraverso Milano”
4
.
È interessante evidenziare come questi fenomeni di protesta non
si collocavano all’interno di un quadro statico, di conservazione e
relativa stabilità dell’organizzazione militare, come si potrebbe
erroneamente desumere, ma muovevano, come si evince dal “Libro
bianco sulla difesa” del 1977, da una situazione in cui
l’organizzazione militare era alla presa con il tentativo di riformare la
sua struttura alla ricerca di una nuova legittimità attraverso
l’introduzione dei valori di tipo tecnocratico, quali l’efficienza, la
competenza tecnica, la managerialità e la meritocrazia in aggiunta ai
tradizionali valori dell’eroe, della patria e dell’autorità che l’avevano
sempre animata. Tuttavia, questa fase di cambiamento e di apertura
verso l’esterno dell’organizzazione rappresenterà un momento
critico e irto di pericoli per la sua stessa esistenza. Difatti, “le
aspettative aperte dalla mobilità intraistituzionale e dall'ideologia
meritocratica si scontrano con una realtà vischiosa ancora carica di
passato, e si mutano in risentimento diffuso. Finita la separatezza, le
contraddizioni della società civile entrano in caserma — ad es. il
7
4
Antonio De Marchi, Giorgio Rochat, ib., pag. 32.
movimento dei sottufficiali, — creano sorpresa e spavento, portano
all'arroccamento difensivo di vasti settori della casta”
5
.
Le agitazioni promosse dal movimento ebbero il merito di
sensibilizzare le forze politiche dell’epoca, che iniziarono a mostrare
il loro interesse per la questione e a prospettare qualche apertura nei
confronti delle richieste avanzate dai militari. Tuttavia, proprio
quando l’allora Ministro della Difesa Lattanzio presentò un disegno
di legge sulla disciplina militare, la compattezza del movimento,
cementata dalle lotte comuni, cominciò a presentare primi segni di
debolezza. Sorse una spaccatura tra un’ala più moderata, favorevole
all’impostazione generale del disegno di legge, e una più oltranzista,
che mirava all’ottenimento dei diritti sindacali, frattura che porterà in
seguito al dissolvimento del movimento. Il dibattito parlamentare,
d’altra parte, riproponeva la stessa divisione con il PCI, la DC e gli
altri partiti di centro contrari all’associazionismo sindacale per i
militari e il PSI e i Radicali favorevoli
6
. Per gli osservatori dell’epoca,
la diffusione nel mondo militare di ampi e generalizzati movimenti
sindacali, permeabili alle influenze dei sindacati operai, era
fortemente osteggiata dalle classi dominanti e dai loro
rappresentanti politici che la consideravano come una grave iattura
da evitare ad ogni costo. In questa cornice, mentre i settori moderati
8
5
Enrico Pozzi , La corporazione armata, , in AA. VV., Corporativismo e stabilità sociale in
Italia, Liguori, Napoli, 1980, pag. 234.
6
Giuseppe Caforio, Marina Nuciari, La rappresentanza militare in Italia, CEMISS, Roma, 1990,
pag. 56.