La nullità di protezione nel codice del consumo
Per una corretta comprensione delle motivazioni che hanno determinato la nascita e la diffusione delle cosiddette nullità protettive, attraverso il graduale superamento dell’archetipo anodino e piatto del sistema codicistico della nullità, punto di partenza imprescindibile è il codice civile del 1942. Salutato con grande entusiasmo dalla dottrina, il nuovo codice sembrava fondare la distinzione dicotomica della categoria dell'invalidità, su un criterio quantitativo. Muovendo da tali premesse si ritenne che la nullità, incidendo in maniera più radicale sull’efficacia del contratto, conseguiva quando il vizio che lo inficiava risultava più grave. Tale impostazione, tuttavia, presupponendo il riferimento ai vizi della fattispecie, imponeva di distinguere tra requisiti essenziali e non, distinzione di non agevole lettura. Si spiega, pertanto, come l’elaborazione dottrinale abbia iniziato ad individuare il criterio discretivo nella differente natura dell’interesse tutelato, ritenendo che la nullità ricorresse in presenza di quelle situazioni incidenti negativamente su un interesse generale, della collettività, mentre l’annullamento, risulterebbe come strumento posto a tutela di quelle situazioni incidenti negativamente su un interesse particolare, del singolo contraente. Da tali considerazioni derivano differenti regimi giuridici.
Sono dieci, difatti, le differenze che la dottrina ha individuato sul piano ontologico; esse, però, non riescono ad inquadrare bene nemmeno le figure esistenti all’interno dello stesso codice civile. Questa inadeguatezza iniziale è stata evidenziata dalla successiva, inflazionante produzione legislativa italiana che, accrescendo la complessità dei criteri interpretativi applicabili alla materia dell’invalidità contrattuali, ha evidenziato la necessità di affrontare lo studio delle tecniche ad esso afferenti all’interno di una prospettiva non più prigioniera della categorie logiche-giuridiche espresse dal codice. Ma è soprattutto alle continue infiltrazioni di una altrettanto fertile produzione normativa, quella comunitaria, che accentuando la relativizzazione dei concetti attraverso l’attenuazione delle rigidezze dei sistemi dogmatici e consacrando la vocazione ad una lettura della invalidità di carattere funzionale, piuttosto che strutturale, è dovuta la crisi in ordine all’uso delle stesse. Il codice del 1942, infatti, manifesta una logica “astraente e livellante” della nullità e contiene una disciplina incurante della differente situazione soggettiva dei contraenti o del contesto in cui questi operano. L’esigenza di proteggere la parte più debole del rapporto economico, ingenera la costruzione categoriale di invalidità che finisce col condizionare lo stesso tipo di tutela.
L’obiettivo del riequilibrio normativo del regolamento contrattuale è perseguito attraverso lo strumento della “nullità di protezione”. L’esigenza di attuare un sistema di “protezioni” di una parte contrattuale viene attuato, infatti, attraverso il meccanismo delle cosiddette “nullità a legittimazione relativa”, parziale e rilevabile d’ufficio.
Sono proprio questi i tratti che caratterizzano la disciplina dell’art. 36 del codice del consumo.
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Informazioni tesi
Autore: | Rosanna Di Francesco |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università degli Studi di Foggia |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Francesco Macario |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 106 |
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