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L'Italia torna al nucleare: elementi critici per la valutazione

Nel febbraio 2009, Edf ed Enel stipulano un Memorandum of understanding che implica un reinserimento progressivo in Italia della produzione elettronucleare. L’intento di questo lavoro è appunto quello di operare una valutazione critica in merito a tale scelta di politica energetica.
L’aspetto che si è voluto mettere in risalto nell’operare tale valutazione è essenzialmente di tipo metodologico: viene fornita una rassegna delle principali problematiche da affrontare nella valutazione dei costi, con specifico riferimento ai problemi dell’industria elettrica italiana. All’interno di tali problematiche, si è scelto di dare risalto ad alcuni aspetti, presentando i risultati ottenuti dalle varie agenzie internazionali.
L'analisi effettuata tiene conto anzitutto del contesto energetico e climatico globale, ma anche delle peculiarità del settore elettrico italiano.
Nel corso della trattazione viene operata una comparazione fra le catene di generazione elettrica in termini di competitività economica e costi ambientali e sociali. Anzitutto, è stato dimostrato come il solo sviluppo di tecnologie che sfruttano le risorse rinnovabili, di per sé, non è sufficiente a soddisfare la domanda energetica. Queste, infatti, essendo vincolate alle condizioni atmosferico- meteorologiche, devono essere affiancate da impianti di combustione fossile o nucleare. La comparazione è stata dunque circoscritta a questi due ultimi tipi di sistemi produttivi.
La tesi prosegue poi attraverso un’analisi comparativa degli effetti ambientali e sociali delle varie catene di generazione. Sotto il profilo ambientale, l’aspetto di maggiore interesse è forse dato dalle emissioni di gas serra e sostanza nocive in generale. La metodologia utilizzata a questo scopo è l’analisi del ciclo di vita, che tiene conto di tutte le fasi di produzione di ogni varia catena (comprese le fasi di estrazione e trasporto delle materie prime).
L’aspetto forse più controverso è dato dall’analisi dei costi sociali, ed in particolare degli effetti sulla salute umana dovuti all’attività di produzione elettronucleare. A tale proposito, è stata effettuata una distinzione tra: costi dovuti alle operazioni di routine, che possono essere valutati in termini di anni di vita persi; costi dovuti al verificarsi di eventi accidentali, che vanno valutati in termini di rischio.
Tali evidenze, affrontate nel corso dei cap. 3-4, sono state volutamente precedute, nel corso del cap. 2, da una breve ricostruzione della storia dell’industria nucleare italiana, dal dopoguerra fino alla sua conclusione nel 1987. L’aspetto istituzionale, che, come è noto, incide in modo significativo sull’efficacia di alcune scelte, è nel caso del nucleare particolarmente importante. Questo tipo di operazioni, infatti, richiedono uno sforzo di programmazione e di gestione centralizzata maggiore di quanto non accada con le altre catene produttive. La storia dell’industria nucleare italiana dimostra al contrario come le carenze istituzionali dell’Italia degli anni ‘60-’70 abbiano negativamente influito su tale sforzo di programmazione centralizzata: deficienze nella regolamentazione, mancanza di coordinamento nei progetti di ricerca, attriti fra l’Enel ed i maggiori istituti di ricerca, insufficienza di fondi, disinvoltura d’azione di alcuni dirigenti, e così via. Carenze istituzionali che non sono affatto scomparse nell’Italia di oggi, rendendo realistica la possibilità del verificarsi, nel nostro Paese, di una situazione di pollution heaven.

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7 1 Capitolo - Perché il nucleare: le problematiche energetiche ed ambientali del nuovo secolo Sono passati ormai quasi vent'anni da quando la prima Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici si riunì a Rio de Janeiro. Dopo iniziali controversie, l’esistenza del fenomeno noto come “cambiamento climatico” è ormai pressoché indiscussa. Tale critica evidenza ha portato a riconsiderare lo sviluppo economico in una nuova chiave, che tiene conto della salvaguardia delle risorse e dell’ecosistema del pianeta: in una parola, in una direzione di sostenibilità. Il concetto di sviluppo sostenibile è stato codificato nel rapporto “Our Common Future” della Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo; in tale sede la sostenibilità è stata definita come “la capacità di soddisfare le necessità del presente senza compromettere la possibilità, da parte delle future generazioni, di soddisfare le proprie”. In realtà si tratta di una formula alquanto generica, che si presta ad una serie di interpretazioni più o meno “elastiche”; essa inoltre apre una vasta gamma di interrogativi: come garantire l’equità nell’accesso alle risorse, sia fra Paesi che fra generazioni; come minimizzare gli effetti negativi sull’ambiente e sulla salute umana; come combinare questi obiettivi con lo sviluppo economico. Uno studio incentrato sul mercato energetico non può prescindere da un’analisi, se pur veloce, di tali questioni. L’energia è anzi una delle variabili fondamentali: anzitutto, perché è alla produzione energetica che si ricollegano gran parte dei fattori alla base del riscaldamento globale (in primis, le emissioni di gas serra); in secondo luogo perché proprio l’energia, in quanto input presente, se pur in diversa misura, in tutti i processi produttivi, risulta essere il motore dello sviluppo. Non a caso, la Rivoluzione industriale partì dall’invenzione di un macchinario che permetteva di utilizzare l’energia termica, trasformandola in energia meccanica. Variabili come la disponibilità di materie prime e l’accesso alle risorse costituiscono l’oggetto di questo primo capitolo.

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