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L'antipolitica come problema. Teorie e riferimenti empirici.

La parola antipolitica ricorre con un’intensità sempre più frequente nella stampa, nei mass media, nelle pubblicazioni scientifiche specializzate e anche nei discorsi di tutti i giorni. È un termine che esprime un generico sentimento di avversione alla politica, diffuso (sia pur in quantità diverse) nelle società più avanzate in Europa, ne-gli Stati Uniti, in Giappone. All’antipolitica sono ricondotti, con alcune forzature, una serie di fenomeni apparentemente differenti: l’astensionismo elettorale, la mancanza di fiducia nelle istituzioni politiche, la crisi dei partiti tradizionali, la delegittimazione della classe politica, il successo politico ed elettorale raccolto da movimenti eterogenei (ambientalisti, radicali, di estrema destra, neoliberali e antistatalisti, neopopulisti) ma alternativi agli altri partiti. Ma cosa s’intende veramente con antipolitica? Basterebbe pensare alla molteplicità di significati che assume la parola politica, per render-si conto di quanto sia difficoltosa una definizione del suo concetto opposto, l’antipolitica. La parola politica indica sia una realtà oggettiva (il fare politica) che la teoria che studia tale oggetto. Anche la parola antipolitica possiede un duplice significato: teorico (in relazione alle diverse concezioni di politica) ed empirico (un complesso di atteggiamenti e orientamenti rivolti al sistema politico).
Lo scopo di questa tesi di laurea è quello di definire il concetto di antipolitica sul piano teorico e di stimare la diffusione del fenomeno a livello empirico. Nella prima parte di questo studio il concetto di antipolitica è messo a confronto con altri concetti con i quali è (a nostro avviso, impropriamente) confusa: impolitica, apolitica, apatia politica, populismo, qualunquismo. Dopo avere ribadito la natura culturale dell’antipolitica (secondo la definizione di Almond), essa viene studiata sul piano empirico, utilizzando diversi sondaggi: fiducia nelle istituzioni statali e non statali, fiducia nella classe politica (trattando il problema corruzione), interesse per la politica e soddisfazione per il funzionamento della democrazia. Non mancano indicatori più concreti quali i dati sull’astensionismo elettorale, le iscrizioni ai partiti, i referendum.
La ricerca è condotta prevalentemente su base europea (paesi Ue) con un approfondimento sulla situazione italiana. Il periodo privilegiato è il ventennio 1980-1999, con qualche digressione negli anni precedenti.

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5 INTRODUZIONE “Effettivamente non faremmo errore di termini se volessimo chiamare il suo scritto un libello politico, anche se assume proprio una tendenza antipolitica, cioè conservatrice. (…) Ma l’antipolitica è anch’essa una politica, giacché la politica è una forza terribile: basta solo sapere che esiste, e già ci si è dentro, si è perduta per sempre la propria innocenza”. (Thomas Mann, Considerazioni di un impolitico, Milano, Adelphi, 1997, pp.417-418). L’antipolitica non è un fenomeno nuovo. Già in passato, molti movimenti populisti hanno posseduto una forte carica antipolitica, rivolta contro le élites politiche, economiche e finanziarie del proprio paese; l’antipolitica è stata, inoltre, la caratteristica distintiva di movimenti come il qualunquismo in Italia e il poujadisme in Francia. Lo storico Luigi Salvatorelli aveva scritto, a proposito del movimento di Guglielmo Giannini, che esso riproponeva “la vecchia scemenza dell’antipoliticità”. 1 È interessante, più del giudizio negativo, l’uso dell’aggettivo “vecchio”: nel 1946 si parlava di antipoliticità quasi come una reminiscenza del passato, destinata presto a scomparire, che il solo Giannini aveva avuto il coraggio di riproporre. In realtà, il fondatore dell’Uomo qualunque, aveva compreso uno stato d’animo 1 Luigi Salvatorelli, “Monarchia svelata”, Nuova Europa, 24 febbraio 1946. Il giudizio di Salvatorelli sul qualunquismo è riportato da Sandro Setta (1995b p.49).

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Parole chiave

antipolitica
astensionismo
demagogia
elezioni
politica
populismo

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