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diffuso in un particolare ceto sociale e in un particolare momento
storico (nel caso, il ceto medio impiegatizio dell’Italia centro
meridionale, che non si riconosceva nella nuova classe politica
antifascista) ed aveva cercato di sfruttarlo politicamente.
L’umore antipolitico è un sentimento che si manifesta con più
visibilità in periodi di crisi e di transizione (come l’immediato
secondo dopoguerra), ma è endemico in ogni società che abbia
sviluppato una qualsiasi forma di potere politico. Quest’affermazione
non può essere provata con certezza, ma è ragionevole ipotizzare che
quando una comunità si dà delle regole in qualche modo politiche (e
questo vale anche per le società primitive, dove non esiste uno stato o
un’istituzione), nasca spontaneamente un’avversione a quelle regole.
In estrema sintesi, l’antipolitica è proprio questo: un sentimento di
avversione spontaneo e generalizzato contro la politica. In termini più
appropriati, l’antipolitica può essere qualificata come un fenomeno
culturale, intendendo con cultura politica, secondo la definizione di
Almond, l’insieme di credenze e convinzioni, di atteggiamenti e
orientamenti (conoscitivi, affettivi e valutativi) nei confronti della
politica (o, meglio ancora, del sistema politico).
La cultura politica dell’antipolitica è sempre stata presente, con
sfumature diverse, in ogni comunità politica: nella polis greca come
nei comuni italiani del Medioevo, nello stato assoluto come in quello
moderno, nei regimi democratici come nelle dittature.
A partire dalla fine degli anni ’70, la parola antipolitica è stata
utilizzata, al pari di altri termini (apolitica, impolitica, populismo), per
descrivere un buon numero di fenomeni diversi, che vanno
dall’astensionismo elettorale alla delegittimazione della classe politica
e delle istituzioni, dalla crisi dei partiti tradizionali al contemporaneo
7
successo politico ed elettorale raccolto da movimenti neopopulisti o
dai cosiddetti “nuovi movimenti” (ambientalisti, antinucleari,
pacifisti).
Nonostante questo uso frequente, il termine antipolitica non è
chiaramente definito, forse perché il suo significato (opposizione alla
politica) sembra immediatamente evidente. In realtà, basterebbe
pensare alla molteplicità di significati che assume la parola politica
per comprendere quanto sia difficoltosa una definizione del suo
concetto opposto, l’antipolitica. La parola politica indica sia una
realtà oggettiva, una prassi (il fare politica) che la teoria che studia
tale oggetto. Anche la nozione di antipolitica possiede un significato
teorico (in relazione alle diverse concezioni di politica) ed uno
empirico (un complesso di orientamenti e di atteggiamenti rivolti al
sistema politico).
Nei primi due capitoli si è cercato di delineare i diversi
significati che il concetto di antipolitica assume sul piano teorico
mettendolo in relazione sia con i presupposti su cui si fonda la politica
sia con il linguaggio politico. In seguito, attraverso un’operazione di
pulizia concettuale, si è tentato di distinguere l’antipolitica da altri
concetti con i quali è confusa: apolitica (cui si può aggiungere
impolitica, termine con una marcata connotazione intellettuale e
filosofica) e populismo.
I capitoli successivi sono dedicati all’esame dell’humus
culturale nel quale si forma l’antipolitica (dopo aver definito i concetti
di cultura politica e di sistema politico), analizzando gli orientamenti
rivolti verso il regime (fiducia nelle istituzioni statali e non statali) e
l’autorità (fiducia nel governo e nella classe politica, trattando anche il
8
problema corruzione), l’interesse per la politica e la soddisfazione per
il funzionamento della democrazia.
La ricerca è condotta prevalentemente su base europea
(considerando soprattutto i quindici stati membri dell’Unione
Europea, anche se non manca qualche dato relativo a paesi
extraeuropei) con un approfondimento sulla situazione italiana: nei
casi in cui non è stato possibile reperire dati europei l’analisi è
focalizzata esclusivamente su dati italiani. Il periodo privilegiato è il
ventennio 1980-1999, con qualche digressione negli anni precedenti.
L’ultimo capitolo è riservato alla trattazione di indicatori “forti”
di comportamento come l’astensionismo elettorale, le iscrizioni ai
partiti politici e i risultati dei due referendum per l’abrogazione della
legge sul finanziamento pubblico ai partiti.
Infine, sia consentita un’osservazione sulla natura
dell’antipolitica. L’antipolitica è un complesso di atteggiamenti forti
ed attivi, i quali spesso si traducono in comportamenti che sono
altrettanto forti ed attivi. Ma questi atteggiamenti implicano una
precedente presa di posizione, un’opinione consapevole e motivata
che non può essere altro che politica. Ed anche i comportamenti che
ne derivano, come il sostegno ad un movimento di protesta contro la
politica, sono essenzialmente politici. Un movimento completamente
antipolitico non può esistere (o forse può esistere solo allo statu
nascenti): quando inizia ad operare nella sfera della politica,
svolgendo una qualche attività politica (da un sit-in di protesta alla
promozione di una raccolta di firme alla presentazione di una lista
elettorale) diventa inevitabilmente un movimento politico.
9
“L’antipolitica è anch’essa una politica, giacché la politica è
una forza terribile”. Viene così chiarito il significato della citazione di
Thomas Mann posta come epigrafe, che svela la natura quasi
paradossale dell’antipolitica: l’opposizione alla politica si esprime
fatalmente nelle forme della politica. Come dire che la politica è così
forte da neutralizzare i virus che essa stessa genera.
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CAPITOLO I
IL CONCETTO DI ANTIPOLITICA
1.1. L’antipolitica: teorie e movimenti.
Nel 1992 i giornalisti tedeschi hanno eletto la parola
Politikverdrossenheit “parola dell’anno”. È un termine che esprime un
sentimento di avversione alla politica, spesso presente a livello latente
ma che emerge periodicamente, il quale si accompagna alla
disaffezione verso i partiti politici (Parteienverdrossenheit, un altro
neologismo tedesco) (Koole – Mair 1993 p.221 – Scarrow 1996
p.309).
Naturalmente, non si tratta di un fenomeno prettamente tedesco.
L’insofferenza verso la politica è uno stato d’animo, un mood, un
humus culturale diffuso, in quantità diverse, nelle società più avanzate
in Europa, negli Stati Uniti, nel Giappone. La parola antipolitica (o
antipolitics, il termine equivalente anglosassone) ricorre sempre più
frequentemente nella stampa e nei mass-media (i quali, pur con una
certa approssimazione, rispecchiano la realtà sociale) e nelle
pubblicazioni scientifiche specializzate. Ad essa vengono ricondotti
una serie di fenomeni apparentemente differenti: l’astensionismo
elettorale, la mancanza di fiducia nelle istituzioni politiche, la crisi dei
partiti tradizionali, la delegittimazione della classe politica, il successo
politico ed elettorale raccolto da movimenti eterogenei (ambientalisti,
11
radicali, di estrema destra, neoliberali e antistatalisti, neopopulisti), ma
alternativi agli altri partiti. Gli stessi fenomeni sono definiti ricorrendo
ad altri termini: apolitica (o apatia politica), impolitica, populismo,
qualunquismo (riferito non più alla vicenda storica dell’Uomo
qualunque, ma ad un disprezzo molto generico nei confronti di tutto
ciò che è politico).
C’è indubbiamente un problema lessicale: la parola antipolitica
non è chiaramente definita, spesso è confusa con i termini appena
citati, utilizzata come se fosse un loro sinonimo; anzi risulta essere
una parola onnicomprensiva (catch-all word) nel cui campo semantico
e concettuale rientrano teorie e dottrine, orientamenti e
comportamenti, movimenti e partiti, che hanno in realtà pochi punti in
comune.
Il concetto di antipolitica potrebbe essere circoscritto ad “una
nozione che intenderebbe designare, in modo ancora piuttosto
sommario, un grado di avversione e rifiuto nei confronti della politica
analiticamente distinto dalla semplice apatia o indifferenza verso la
partecipazione democratica all’esercizio del potere” (Portinaro 1988a
p.122). L’antipolitica si configura come sentimento forte, che implica
una presa di posizione contro la politica superando l’indifferenza e il
disinteresse: se un atteggiamento apolitico rivela distacco dalle
vicende politiche, al contrario un atteggiamento antipolitico esprime
consapevolmente una netta ostilità verso la politica.
L’uso fin qui ripetuto di termini quali atteggiamenti e
sentimenti non è affatto casuale, in quanto serve a riferire
l’antipolitica alla dimensione culturale della politica, intendendo con
il termine cultura politica “un insieme di orientamenti conoscitivi,
affettivi e valutativi verso i fenomeni politici” (Almond 1977 p.424)
12
ed anche “la dimensione soggettiva del sistema politico” (Almond
1992 p.667).
La cultura politica dell’antipolitica si presenta come un
complesso di atteggiamenti e orientamenti, credenze e convinzioni, in
qualche modo sfavorevoli alla politica. Questa definizione appare
ancora incompleta ed indeterminata, soprattutto in relazione
all’oggetto di tali orientamenti negativi, la politica: cosa s’intende con
politica?
È nota la difficoltà di formulare una nozione che colga l’essenza
della politica; esistono nella scienza politica vari approcci e varie
dottrine che, nel discutere i contenuti e i significati della categoria
“politica”, ne forniscono enunciazioni differenti e incompatibili. La
conseguenza è che “a ogni concetto di politica corrisponderà infatti
una nozione simmetricamente opposta di antipolitica” (Portinaro
1988a pp.132-133).
Nel pensiero politico novecentesco si possono individuare –
seguendo il ragionamento di Portinaro – due concezioni opposte
dell’agire politico. La prima definita come polemica o conflittuale può
essere riferita a Carl Schmitt; la seconda, volta alla composizione dei
conflitti, è riconducibile a Hannah Arendt e alla sua critica del
fenomeno del totalitarismo. Secondo Schmitt la politica è lotta fra due
schieramenti, un amico contro un nemico, un noi contro un loro: “La
specifica distinzione politica alla quale è possibile ricondurre le azioni
e i motivi politici, è la distinzione di amico (Freund) e nemico
(Feind). Essa offre una definizione concettuale, cioè un criterio, non
una definizione esaustiva o una spiegazione del contenuto” (Schmitt
1972 p.108). Ben diversa è la posizione espressa da Arendt, la quale
afferma che la politica è essenzialmente comunicazione: “Ogni volta
13
che è in gioco il linguaggio, la situazione diviene politica per
definizione, perché è il linguaggio ciò che fa dell’uomo un essere
politico” (Arendt 1964 p.126).
L’enunciazione di una nozione di antipolitica risulta così
influenzata dalla concezione attraverso la quale s’interpreta la politica.
Infatti “dove per politica schmittianamente s’intende la disposizione
ad orientare l’agire sul riconoscimento di raggruppamenti amico-
nemico, antipolitica diverrà un atteggiamento consapevole di rifiuto di
quell’orientamento (e in questo senso il liberalismo è in effetti,
secondo Schmitt, un’ideologia sostanzialmente antipolitica). Dove per
politica più tradizionalmente s’intenda la capacità e la funzione di
mediazione e composizione di conflitti, antipolitico verrà considerato
un atteggiamento che mira alla radicalizzazione dell’ostilità e
all’assolutizzazione del nemico” (Portinaro 1988a p.133).
Non è solo la concezione della politica, ma anche il giudizio che
si formula su di essa a determinare il significato dell’antipolitica. Il
termine antipolitica possiede solitamente un’accezione negativa; ma si
potrebbe ribattere che, quando in un determinato ambito la politica
(intesa come attività politica) è una pratica corrotta, è giusto allora
essere antipolitici. L’antipolitica assumerebbe pertanto una
connotazione etica che la giustifica e la nobilita. Scrive ad esempio
Giovanni Sartori: “Lasciatemi ripetere – perché non voglio essere
frainteso – che la ramazza dell’anti-politica è una ramazza necessaria.
A conti fatti, i suoi eccessi sono preferibili al lasciar correre.
Nondimeno, nel buttar via l’acqua sporca della corruzione il bambino
deve essere salvato. Il disgusto dei partiti e il discredito dei politici si
riflettono inevitabilmente sulle istituzioni nelle quali abitano”. (Sartori
1995 p.161). L’antipolitica svolgerebbe una funzione positiva, quasi
14
di rigenerazione della politica; una funzione che, par di capire, non
deve però oltrepassare certi limiti per non diventare nociva.
Si può aggiungere che anche l’esercizio non democratico di un
potere politico legittima un atteggiamento antipolitico. A questo
proposito Portinaro cita due testi di autori tedeschi
2
in cui,
presupponendo una diversa nozione di politica, si arriva a due
definizioni opposte di antipolitica: nel primo, che contrappone la
politica delle società militari all’antipolitica delle società civili,
quest’ultima è definita come “l’ethos della società civile” (Konràd
1985 p.89); nel secondo, dove il riferimento è alle democrazie
occidentali, l’antipolitica acquista invece una valenza negativa, e
viene frettolosamente spiegata con “il rifiuto di principio, il disprezzo,
anzi l’ostilità nei confronti della politica” (Mandt 1987 p.385). La
conclusione è che “laddove politica è diventato sinonimo di forme non
democratiche di dominio, alla nozione di antipolitica viene dato un
significato positivo; laddove invece come nel caso della Mandt, la
nozione di politica è assunta nell’accezione corrente, e
assiologicamente positiva, delle democrazie liberali dell’Occidente,
antipolitica diventa quanto può turbare l’ordine costituzionale:
movimenti anarchici e rivoluzionari d’ogni colore vengono così
sommariamente ricondotti, con mossa argomentativa che non
possiamo certo definire originale, al denominatore comune
dell’ostilità nei confronti della politica” (Portinaro 1988a p.123).
È una puntualizzazione importante, quella di Portinaro, in
quanto pone l’accento su un importante aspetto definitorio del
concetto di antipolitica, cioè la distinzione tra antipolitica e politica
2
Gyorgy Konràd, Antipolitik. Mitteleuropaische Meditationem, Frankfurt/Main, Surkamp, 1985;
Hella Mandt “Antipolitik”, Zeitschrift fur Politik, vol.XXXIV, 1987, pp.383-95.
15
alternativa. La politica alternativa è quella che praticano i cosiddetti
nuovi movimenti: i movimenti ambientalisti, ecologisti, pacifisti; i vari
gruppi dell’estrema sinistra anarchica, libertaria, extraparlamentare; i
radicali e i referendari; le liste civiche locali che si presentano alle
elezioni amministrative, a volte sostituendo i partiti e ottenendo un
buon successo politico; i movimenti di tipo neopopulista. Possono tutti
questi movimenti essere considerati egualmente antipolitici?
3
Prima di affrontare la questione, è necessario completare la
definizione di antipolitica in relazione alla concezione della politica.
In un recentissimo studio Andreas Schedler distingue
“metaforicamente parlando, due forme di pensiero antipolitico – le
pretese a detronizzare e a bandire la politica in opposizione alle
pretese a conquistare e colonizzare la politica” (Schedler 1997 p.2).
Nel primo caso si può parlare di antipolitica “abolizionista”, nel
secondo di antipolitica “colonizzatrice”.
Anche Schedler si rende perfettamente conto che “prima di
capire che cosa la nozione negativa di antipolitica possa
significativamente designare, dobbiamo spiegare in che modo
concepiamo la sua immagine positiva allo specchio. Cominciamo così
con una concisa (funzionale) definizione di politica. Secondo il nostro
punto di vista la politica comprende tre cose: la definizione dei
problemi e dei conflitti sociali, l’elaborazione di decisioni vincolanti e
lo stabilimento di regole appropriate”. E poi aggiunge: “La politica
come sopra definita presuppone l’esistenza di una comunità i cui
membri sono a conoscenza della loro interdipendenza reciproca così
3
Cfr. Suzanne Berger, “Politics and Antipolitics in Europe in the Seventies”, Daedalus, 1, 1979,
pp.27-59.
16
come delle loro differenze interne, che possono agire in concerto e che
sono preparati ad accettare decisioni autoritative” (Schedler 1997 p.3).
Qualunque teoria che rifiuti uno solo di questi quattro
presupposti su cui si fonda la politica sarà quindi considerata
antipolitica; inoltre, per ogni punto che viene contraddetto è possibile
individuare un’antinomia politica/antipolitica.
ι Azione pubblica / Autoregolazione. È la classica
distinzione fra pubblico e privato, secondo la quale solo ciò che è
pubblico compete alla sfera politica. Esistono due situazioni teoriche
estreme: nella prima, l’isola deserta di Robinson Crusoe (prima
dell’arrivo di Venerdì) tutto è personale; nella seconda, la società
totalitaria, tutto è pubblico e quindi politico. Negli altri casi invece è
più difficile tracciare un confine che separi nettamente le due sfere. Le
ideologie antipolitiche sarebbero pertanto quelle che negano il quarto
punto sopra citato, cioè che alla base della politica ci sia una comunità
i cui membri siano consapevoli della loro reciproca interdipendenza;
al contrario, i membri antipolitici di una comunità rifiutano la
partecipazione in progetti comuni e vivono in completa autarchia
secondo la massima “non ho bisogno di nessuno, che nessuno mi
disturbi”. La metafora (spesso abusata) di Adam Smith del mercato
come “mano invisibile”, il liberalismo classico, contengono dunque un
elemento antipolitico, così come le teorie che vogliono ridurre la
presenza dello stato nella società.
ι Pluralità / Uniformità. La politica ha il compito di
comporre i vari conflitti che emergono dalla società a causa delle
diversità presenti in essa. Ma alcune teorie negano questa pluralità e
considerano la società (o quantomeno una parte consistente di essa)
come un corpus unitario: si pensi alla centralità delle idea di popolo
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nel populismo, di nazione nel nazionalismo, di classe rivoluzionaria
nel marxismo o di “gregge di fedeli” nel fondamentalismo religioso.
Un esempio di concezione omogeneizzante è fornito dagli appelli,
puntualmente ripetuti prima di ogni elezione, con cui la Chiesa
cattolica invitava gli italiani a mantenere “l’unità politica dei
cattolici”.
ι Contingenza / Necessità. Un’altra caratteristica della
politica è la possibilità di scelta fra opzioni diverse, in modo da avere
a disposizione margini di libertà, oltre ad un certo grado di sovranità
su un territorio. In un regime di necessità, in cui tutto è già stabilito
all’esterno, la politica muore. “Fin dalle origini, la politica ha sempre
dovuto confrontarsi con costrizioni esterne. Dovette prima difendere
la sua nascente indipendenza contro la forza irresistibile della natura,
l’arbitrarietà autoritaria di Dio e le immutabili leggi della tradizione.
Nei tempi moderni ha dovuto imporsi, soprattutto contro la dinamica
quasi soverchiante dell’economia di mercato” (Schedler 1997 p.7). Il
nuovo nemico della politica sarebbe dunque l’economia, o meglio
l’economia all’epoca della globalizzazione, che avrebbe svuotato lo
stato nazionale delle sue competenze e di buona parte della sua
sovranità. L’enorme sviluppo delle tecnologie informatiche ha reso
possibile il trasferimento di capitali da un paese all’altro in tempi
rapidissimi, rendendo questo flusso difficilmente controllabile ai fini
fiscali. A ciò si aggiunga l’importanza crescente assunta da alcune
organizzazioni internazionali. Un esempio lampante è offerto dal
Fondo Monetario Internazionale, che spesso impone ai paesi in via di
sviluppo ricette di risanamento draconiane, senza considerare la realtà
sociale del luogo.