La finanza islamica
Il lavoro svolto tratta il funzionamento delle operazioni finanziarie islamiche. La rilevanza del fenomeno deriva da due circostanze fondamentali: il 20% della popolazione mondiale risiede in territori di cultura islamica ed il mercato internazionale delle materie prime vede come protagonisti i paesi del golfo in particolare per quanto riguarda le materie energetiche.
L’aggettivo islamica riferito alla finanza è tuttavia da ritenersi improprio così come qualsiasi altro aggettivo che le venga attribuito: creativa, aziendale, etica e via dicendo. È infatti un corpus scientifico e come tale si basa su alcuni principi fondamentali che sono sempre validi ed inscindibili l’uno dall’altro benché spesso vengano intesi sotto differenti accezioni: la creazione di valore, il valore finanziario del tempo, la relazione rischio-rendimento ed il costo opportunità del capitale.
Di particolare rilievo nel mondo islamico è il divieto di Riba, parola che letteralmente significa “aumento”. Le interpretazioni più restrittive la fanno ricadere nella proibizione assoluta di applicare tassi di interesse su prestiti e depositi, mentre il vero significato è quello di divieto di usura.
L’obiettivo è quello di fare in modo che non sia remunerata la ricchezza che non derivi da attività commerciali. Il prestito di denaro, infatti, dovrebbe essere effettuato come gesto di solidarietà, e non per ottenere un compenso. Il concetto di valore finanziario del tempo, seppure presente anche nella finanza islamica, si discosta in tal modo da quello tradizionale. Ciò che merita di essere remunerato è il mancato guadagno futuro che si avrebbe investendo la somma, e non il sacrificio in termini di consumi immediati rispetto a quelli futuri.
Per dare una maggiore idea della rilevanza del fenomeno, basti pensare che la stima dei capitali che saranno movimentati in operazioni finanziarie islamiche nel 2010 è di 1400 miliardi di dollari, cifra non tanto impressionante quanto il trend di crescita a due cifre, tra il 10 ed il 15% annuo, stabile ormai da alcuni anni.
Tra le operazioni finanziarie islamiche che stanno avendo un forte sviluppo vi sono le obbligazioni islamiche, dette sukuk. Sono strutturate su differenti scadenze: si va dai bond islamici che hanno una durata di tre mesi e funzionano secondo uno schema simile a quello dei bot italiani, fino ai 5 o 10 anni. Il rendimento dell’obbligazionista non è dato da tassi di interesse ma dal rendimento delle attività reali sottostanti così come la loro negoziabilità è vincolata dalla natura delle attività stesse.
Le imprese di assicurazione, chiamate Takaful, stipulano contratti che si basano sulla copertura del rischio attraverso strumenti di cooperazione e mutuo soccorso. I fondi vengono impiegati in investimenti leciti e gli assicurati si comportano come partecipanti ad un fondo comune, coprendo i sinistri assicurati con indennizzi derivanti dagli utili del fondo o dalla liquidazione di parte delle quote investite. Una debolezza delle compagnie di assicurazione islamiche riguarda la mancanza di uno sviluppato settore delle imprese di riassicurazione che consentono di coprirsi dai rischi maggiori.
Le banche islamiche sono quelle che operano seguendo i precetti coranici, secondo politiche di investimento partecipativo e di condivisione del rischio finanziario. In primo luogo la raccolta del risparmio avviene tramite conti correnti non remunerativi ma partecipativi, trasformando il depositante da creditore a vero e proprio azionista della banca: la conseguenza è che la banca trasferisce il rischio della gestione sui depositanti e questi ultimi sono esposti al rischio di moral hazard, mitigato però dalla presenza del Consiglio della Shari’ah. È un organo composto dagli esperti di legge islamica, che ha anche la funzione di certificare che tutto avvenga nel rispetto del Corano condizionando l’operatività e la competitività della banca, poiché la disomogeneità nell’emissione delle sentenze sui prodotti ammissibili, comporta che un medesimo prodotto possa essere accettato dal consiglio di una società ma non da quello di un’altra; inoltre il rischio di conflitto di interessi è molto alto a causa della appartenenza di molti membri a più consigli spesso in competizione tra loro, creando problemi di trasparenza.
A mio avviso, la finanza islamica non presenta poi tante differenze da quella occidentale. Ciò che cambia è la forma e non la sostanza e ritengo che uno sviluppo del settore non possa che favorire una più ampia gamma di operazioni e prodotti a disposizione degli investitori, poiché l’una non esclude l’altra. Inoltre l’auspicio è che si diffonda una sua più completa conoscenza, che permetta l’offerta di prodotti islamici in Europa, garantendo una maggiore integrazione economica degli immigrati, e permettendo loro di raggiungere una maggiore autonomia e di conseguenza partecipare allo sviluppo economico dell’Unione Europea.
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Informazioni tesi
Autore: | Karole Coghe |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi di Cagliari |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Scienze economiche |
Relatore: | Luca Piras |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 33 |
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