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L’architettura cimiteriale, rappresentazione e progetto. Il Cimitero dell’Ulivo di Fano

Questa tesi ha avuto come primo approccio l’approfondimento dell’architettura cimiteriale nella sua evoluzione storica. Partendo da un contesto generale ci si è poi focalizzati sul progetto del Cimitero dell’Ulivo, in prima battuta avvicinandosi alla conoscenza del processo formativo e lavorativo di uno dei progettisti principali Giovanni Lamedica. Il rapporto diretto e la guida da parte dell’architetto hanno permesso di analizzare uno dei punti di vista principali.
Per una maggiore completezza del contesto è stato molto importante il contatto diretto con la committenza, nella persona dell’assessore ai Servizi cimiteriali del Comune di Fano, con i fruitori e con coloro che si occupano della custodia e del funzionamento del cimitero. Ultimo per elenco ma non per importanza, è stato il confronto diretto con il luogo reale, battuto e vissuto palmo a palmo per respirare il senso profondo dello spazio e per vedere dal vivo le necessità di questa “città”.
La fase di ricerca e di analisi è stata necessaria per raccogliere e per capire le problematiche del cimitero da più punti di vista possibile.
Cultura, struttura, architettura, spazio tutti concetti che si fondono in un solo luogo.
Alla luce delle emergenze nate dalle richieste concrete dell’Amministrazione e della necessità di un doveroso rispetto per il genio creatore del progettista e per i principi basilari espressi da questa spazialità, l’obiettivo finale che questo studio vuole raggiungere è lo sviluppo di un progetto di recupero-espansione, un lavoro volto a rispondere alle esigenze della comunità ma anche a quelle dello spazio stesso, tenendo sempre ben presente il cammino disegnato dell’Architetto e i suoi principi ispiratori.

Il rituale funebre dice molte cose; fa cioè notare come gli atteggiamenti di fronte al defunto siano anche il prodotto di una mentalità che rispecchia il modo di vivere delle persone.
La parola morte ha un “significante” ben preciso per ogni civiltà. Ogni epoca storica ha avuto il suo modo di vedere la morte e ogni pratica per la conservazione dei defunti è valsa a perpetuare nel ricordo la loro presenza.

“Più è ricco il nostro vissuto, il nostro passato, più la nostra capacità di vedere è ampia e pregnante di segni: la città è ricca di potenzialità, è ricca di indicazioni, la città rende desti”.

Il Cimitero dell’Ulivo evoca, i segni, i valori, i simboli della vita; la fiamma perenne, l’acqua, il movimento, i fiori e le piante. L’acqua così come la terra e l’aria, sono segni universali, sono gli elementi che ci contraddistinguono e sono segni di purificazione per un discorso laico e cristiano.

Il progetto è ancora in fase di sviluppo: infatti è stata realizzata solo la parte più settentrionale poiché l’amministrazione ha dato la precedenza alla costruzione della parte di servizio, necessaria all’apertura del cimitero, e ha ignorato le motivazioni forti della progettazione che andavano oltre le necessità specifiche del luogo.
L’attuale realizzazione del cimitero dell’Ulivo ha bisogno di alcuni interventi di “sostegno”.
Quali possono essere?
Per rispondere a questa domanda si è deciso di seguire un percorso di analisi delle problematiche prima, già parzialmente sviscerate, poi si è cercato di raccogliere le nuove necessità del cimitero e dei suoi fruitori attraverso l’opinione di tre figure: l’assessore ai servizi cimiteriali Michele Silvestri, che rappresenta i bisogni dei cittadini, il parroco della parrocchia Santa Famiglia, nonché responsabile per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, della diocesi di Fano, Don Vincenzo Solazzi, come rappresentante del mondo cattolico e naturalmente l’architetto progettista Giovanni Lamedica.

L’idea guida che dovrebbe suggerire il necessario ampliamento e completamento dell’attuale realizzazione dovrebbe essere infatti quella di un cimitero-parco vissuto come vero e proprio giardino, in cui i cittadini passeggiano lungo i viali alberati, chiacchierano sulle panchine, allontanando definitivamente l’idea di una città dei morti separata da quella dei vivi. Progettare quindi un “paesaggio silenzioso” per la riflessione e il ricordo, in cui l’architettura si lascia timidamente attraversare e incorporare dalla filosofia, dalla religione e dalla poesia.

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Evoluzione dell’architettura cimiteriale: cultura e forma 3 1.1 Introduzione Separare, dividere, prendere le distanze. Le separazioni ci accompagnano in diverse fasi della nostra vita, sino appunto alla separazione ultima che è la morte. Ma accanto a questa che forse è la più temuta dal genere umano, viviamo la separazione continuamente. Pensiamo alla donna che aspetta un bambino: durante i nove mesi della gravidanza c’è una simbiosi profonda tra madre e figlio, si nutrono assieme, si modificano, sino al momento del parto, che è una separazione; il figlio, ora è altro dalla madre, è un essere che pur continuando ad essere dipendente da lei, inizia una vita propria. Quando il bambino poi comincia a crescere, dimentica di come era al momento della nascita, e si separa ormai da quella idea, ed è una cosa naturale, positiva; noi stessi ci separiamo ―da noi‖ nel momento in cui pensiamo di essere sempre uguali, mentre col passare del tempo, cambiamo il nostro aspetto fisico, ma anche la struttura mentale, così guardando foto recenti, a volte ci stupiamo perché pensavamo di essere diversi. Globalmente non ti vedi e pensi di essere sempre quello, lo stesso di qualche tempo addietro. Tutto sommato però queste separazioni appartengono alle modalità della vita e possono considerarsi positive e necessarie, tuttavia se pensiamo alla separazione ultima e cioè alla morte, le cose cambiano. Alla morte vengono attribuiti concetti estremi di separazione, ma la morte, o meglio il concetto di morte, è anche una presa di coscienza da parte dell’uomo dalla sua incompiutezza, della sua precarietà e lo sorprende così, quasi come essere incompiuto. ―Nel quadro delle società negro-africane tradizionali la morte si colloca in tutte le fasi dell’esistenza. La nascita è una morte rispetto alla vita degli antenati; la comparsa dei denti è una morte rispetto alla vita cosmica; il matrimonio, per la donna, è una morte rispetto ai suoi costumi e ai suoi Dei nel sistema patrilineare e lo stresso vale per l’uomo nel sistema patrilineare; l’iniziazione ―uccide‖ la creatura incompiuta grazie ai riti simbolici; la vecchiaia infine è una morte rispetto alla potenza della fecondità‖. 1 Il mondo Occidentale è diverso in questo dalla società negro-africana: da noi la nascita, l’iniziazione o il matrimonio espellono l’idea della morte anche se rappresentano comunque una separazione. Cerchiamo di vivere il più felicemente possibile le circostanze che la vita proprio nei suoi tanti passaggi che caratterizzano l’esistenza di ciascun uomo, fino all’ultimo, il morire. L’uomo ha le certezze di morire, ma non sa come e quando e questo lo pone in uno stato di profondo disagio; che il momento del trapasso è l’interrogativo senza risposta che tuttavia insieme al dolore, il mistero del dolore, appartiene alla vita. Si teme la morte per se stessi, la paura di soffrire e verso gli altri, verso chi ci sta vicino la certezza di non rivederli mai più almeno nella condizione mondana: il defunto nonostante il ricordo che può lasciare è colui che non ha più una funzione, che ha perso la coscienza di sé e si dimostra ormai incapace di relazioni con il mondo e con gli altri. Il rituale funebre dice molte cose; fa cioè notare come gli atteggiamenti di fronte al defunto siano anche il

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