Evoluzione dell’architettura cimiteriale: cultura e forma
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1.1 Introduzione
Separare, dividere, prendere le distanze. Le
separazioni ci accompagnano in diverse fasi della
nostra vita, sino appunto alla separazione ultima
che è la morte. Ma accanto a questa che forse è
la più temuta dal genere umano, viviamo la
separazione continuamente. Pensiamo alla donna
che aspetta un bambino: durante i nove mesi
della gravidanza c’è una simbiosi profonda tra
madre e figlio, si nutrono assieme, si modificano,
sino al momento del parto, che è una
separazione; il figlio, ora è altro dalla madre, è un
essere che pur continuando ad essere dipendente
da lei, inizia una vita propria. Quando il bambino
poi comincia a crescere, dimentica di come era al
momento della nascita, e si separa ormai da
quella idea, ed è una cosa naturale, positiva; noi
stessi ci separiamo ―da noi‖ nel momento in cui
pensiamo di essere sempre uguali, mentre col
passare del tempo, cambiamo il nostro aspetto
fisico, ma anche la struttura mentale, così
guardando foto recenti, a volte ci stupiamo
perché pensavamo di essere diversi.
Globalmente non ti vedi e pensi di essere sempre
quello, lo stesso di qualche tempo addietro.
Tutto sommato però queste separazioni
appartengono alle modalità della vita e possono
considerarsi positive e necessarie, tuttavia se
pensiamo alla separazione ultima e cioè alla
morte, le cose cambiano.
Alla morte vengono attribuiti concetti estremi
di separazione, ma la morte, o meglio il concetto
di morte, è anche una presa di coscienza da parte
dell’uomo dalla sua incompiutezza, della sua
precarietà e lo sorprende così, quasi come essere
incompiuto.
―Nel quadro delle società negro-africane tradizionali
la morte si colloca in tutte le fasi dell’esistenza. La
nascita è una morte rispetto alla vita degli antenati; la
comparsa dei denti è una morte rispetto alla vita cosmica;
il matrimonio, per la donna, è una morte rispetto ai suoi
costumi e ai suoi Dei nel sistema patrilineare e lo stresso
vale per l’uomo nel sistema patrilineare; l’iniziazione
―uccide‖ la creatura incompiuta grazie ai riti simbolici; la
vecchiaia infine è una morte rispetto alla potenza della
fecondità‖.
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Il mondo Occidentale è diverso in questo
dalla società negro-africana: da noi la nascita,
l’iniziazione o il matrimonio espellono l’idea
della morte anche se rappresentano comunque
una separazione. Cerchiamo di vivere il più
felicemente possibile le circostanze che la vita
proprio nei suoi tanti passaggi che caratterizzano
l’esistenza di ciascun uomo, fino all’ultimo, il
morire. L’uomo ha le certezze di morire, ma non
sa come e quando e questo lo pone in uno stato
di profondo disagio; che il momento del trapasso
è l’interrogativo senza risposta che tuttavia
insieme al dolore, il mistero del dolore,
appartiene alla vita. Si teme la morte per se stessi,
la paura di soffrire e verso gli altri, verso chi ci
sta vicino la certezza di non rivederli mai più
almeno nella condizione mondana: il defunto
nonostante il ricordo che può lasciare è colui che
non ha più una funzione, che ha perso la
coscienza di sé e si dimostra ormai incapace di
relazioni con il mondo e con gli altri. Il rituale
funebre dice molte cose; fa cioè notare come gli
atteggiamenti di fronte al defunto siano anche il
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prodotto di una mentalità che rispecchia il modo
di vivere delle persone.
La parola morte ha un ―significante‖ ben
preciso per ogni civiltà. Ogni epoca storica ha
avuto il suo modo di vedere la morte e ogni
pratica per la conservazione dei defunti è valsa a
perpetuare nel ricordo la loro presenza; sia che si
parli di Sarcofago etrusco o di Catacomba
cristiana, si sottolinea in ogni caso il significato di
eredità storica e umana, di testimonianza di
antiche civiltà, di luogo della memoria collettiva.
In tutto questo l’analisi del cimitero come
luogo della memoria collettiva dalle civiltà
arcaiche fino ai giorni nostri, porta alla luce
una serie di elementi che si dimostrano
fondamentali per ―capire‖ questi luoghi.
Evoluzione dell’architettura cimiteriale: cultura e forma
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1.2 Alle origini del rapporto con la
morte
L’architettura funeraria ebbe uno sviluppo
assai notevole sin dalle epoche più remote,
rimanendo in molti casi l’unica testimonianza
di antiche civiltà.
Trascurando gli affossamenti liberi e alla rinfusa,
solo in epoche relativamente recenti compaiono
organismi cimiteriali autentici, in quanto sorti
come tali e nettamente delimitati nel loro
impianto planimetrico.
I numerosissimi raggruppamenti di tombe che ci
sono pervenuti a testimonianza di antiche civiltà,
vengono comunemente denominati necropoli
anziché cimiteri e sono quasi sempre privi di
recinzione, senza regole o limitazioni precise.
Altrettanto numerose sono, sin dall’antichità, le
costruzioni funerarie isolate o raggruppate in
pochi esemplari, che pur costituiscono per noi
espressione architettonica del tutto particolari
delle civiltà che le hanno prodotte.
La forma assunta dalla sepoltura in una
determinata epoca, permette di stabilire il grado
di evoluzione di una civiltà e la capacità di una
comunità di tradurre in codici e in arte il proprio
patrimonio epico e spirituale; infatti l’atto di
seppellire intenzionalmente un cadavere
presuppone sempre la credenza nell’aldilà e
l’esistenza di un rapporto filosofico con il
mondo dei morti.
Le esigenze funebri sorsero fin dai tempi
preistorici, non appena l’uomo cominciò a
mutare la sua condizione e a prendere coscienza
di sé. Emerge anche una necessità rituale legata
al nascere del sentimento religioso e del culto dei
morti. Nessun gruppo arcaico, per quanto possa
essere primitivo, abbandona i suoi morti o li
lascia senza riti.
L’immagine che più di altre può rendere l’idea
dell’evoluzione della cultura funeraria è quella del
cono di terra, del cumulo primitivo delle
popolazioni nomadi, che si trasforma in struttura
architettonica complessa e testimonianza
durevole di pietra, come nelle piramidi egizie e
nelle forme analoghe delle civiltà orientali e
mesoamericane.
Le tombe megalitiche delle civiltà preistoriche,
spesso poste in prossimità delle abitazioni,
rappresentano la presenza e l’importanza
dell’uomo come abitante, cioè fruitore e
dominatore della terra.
La completa adesione dell’uomo alla natura porta
alla definizione, intimamente legata ai quattro
elementi allegorici, dei diversi sistemi di
sepoltura: così l’inumazione trarrebbe origine
dalla terra, la cremazione dal fuoco, l'essiccazione
dall’aria, l’immersione — pratica usata
soprattutto dalle primitive popolazioni nordiche
— dall’acqua.
L’aldilà è un mondo parallelo ma affine e la
tomba funebre è il luogo del raddoppio della
persona vivente, dove all’immobilità dello stato
fisico si contrappone il moto perenne della
memoria e del ricordo.
I primi documenti che testimoniano il
trattamento specialistico dei cadaveri risale al
paleolitico. Ne sono un esempio alcuni depositi
di crani di ominidi a Ciu-cu-tien, presso Pechino,
un certo numero di tombe di inumati dentro le
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grotte di Grimaldi in Liguria, e, soprattutto, per
la sua particolarità, l’uomo della Chapelle aux
Sints, scoperto dagli abati Bouyssonie e Bardon.
Questi è stato trovato deposto in una fossa
artificiale, con le gambe piegate per evitare il suo
ritorno tra i vivi.
Altri esempi importanti sono le tombe a fossa
terragna ritrovate a Lama dei Peligni, nella
Marsica, precisamente a Celano e a Scurcola
Marsicana, così pure nel sud-ovest della Francia
e nell’Europa centrale.
Nel periodo Neolitico le principali tipologie
tombali erano costituite da fosse di inumati
scavate nel terreno e si suddividevano in: tombe
semplici, scavate nella nuda terra; tombe a
ciottoli, nelle quali le pietre, disposte a cerchio in
superficie, ne evidenziano il contorno. Il cerchio
è l’elemento geometrico che racchiude, dando
sicurezza e riparo; tale forma è l’operazione
costruttiva più immediata. Ricordiamo poi le
tombe a lastroni, dove i lastroni di pietra
fungevano da sostegno alle pareti dello scavo e
da copertura.
Un altro tipo di sistemazione funebre, diverso da
questo appena descritto, è rappresentato dalla
costruzione di piccole grotte artificiali scavate
nella roccia. I primi esempi sono stati rinvenuti
nell’isola di Pianosa, nel sepolcreto sardo, a celle,
domus de Janas (casa delle streghe o delle fate) di
Anghelu Ruiu, ed in Sicilia, dove continuarono a
essere scavate fino all’età del bronzo.
Altre tombe megalitiche, la cui costruzione risale
sempre al Neolitico o all’inizio dell’età dei
metalli, sono i dolmen (dal bretone ―tavole di
pietra‖) di cui possiamo vedere un esempio in
figura.
Questi sono monumenti di culto funerario
costituiti da uno o più lastre di pietra poste
orizzontalmente, dette tavole, con funzione di
copertura, sorrette da sostegni verticali, detti
ortòstati. Tale tipologia è considerata una
sostituzione della grotta naturale.
In questi primi esempi la funzione cimiteriale
non sembra riservata ad una classe privilegiata,
ma a una sepoltura collettiva capace di ospitare
molte generazioni. I dolmen più antichi risalgono
al V millennio a.C. ed i primi ad adottarne la
tipologia furono gli abitanti della Penisola
Iberica.
Evoluzione dell’architettura cimiteriale: cultura e forma
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La loro evoluzione si riscontra principalmente
nella forma, da celle a camera singola, a sale
funerarie di grandi dimensioni sepolte in un
tumulo, servite da un lungo corridoio, allèe
couverte, e coperte da piccole lastre debordanti
l’una rispetto all’altra, fino a formare una falsa
cupola chiusa da una lastra più grande.
Verso la metà del IV millennio il dolmen si
diffonde ampiamente nell’Europa settentrionale
e occidentale.
Altre tipologie di sepoltura tumulare sempre
appartenente al periodo Neolitico, ma forse le
più antiche, sono i cairn irlandesi, cioè dei cumuli
di pietra posti sulla sepoltura.
In Irlanda la più misteriosa e leggendaria camera
funeraria preistorica è la Tomba di Newgrange,
una necropoli del 4000 a.C, rappresentata nella
figura sottostante.
E’ costituita da un grande tumulo circolare alto
13 metri, realizzato con grandi pietre. Uno
stretto cunicolo di 18 metri conduce all’area
sepolcrale, dove si vedono ancora dei simboli
isoterici. Un particolarità risiede nel fatto che la
camera funeraria veniva illuminata da un raggio
di sole, attraverso un’apertura sopra l’architrave
dell’ingresso, solo il 21 dicembre, giorno del
solstizio d’inverno, per appena 15 minuti.
Sempre all’Irlanda appartiene uno dei più grandi
cimiteri megalitici d’Europa, è a Carrowmore:
150 tombe, di cui una metà visitabile ancora
oggi.
Nel III millennio si determina poi una spiccata
diversificazione locale riguardante la forma e le
dimensioni della camera sepolcrale, i punti di
accesso ad essa e le decorazioni incise o dipinte
sulle pareti.
Il fenomeno non si limita all’Europa: numerose
tombe dolmeniche sono state ritrovate nel
Caucaso, in Siria, in India, in Palestina e in
Giordania; compaiono anche in Manciuria,
Corea e Giappone tra il III secolo a.C. e il VII
d.C.. Qui hanno però una funzione antitetica a
quella di matrice europea: la sepoltura di un solo
personaggio di rango aristocratico.
A riguardo possiamo citare i kurgan (IV secolo
a.C.) delle steppe euro-asiatiche, i quali, a
differenza dei cairn, sono monumenti sepolcrali
dedicati esclusivamente ai re. Facilmente
riconoscibili per le imponenti dimensioni, sono
delle vere e proprie collinette artificiali, con
tombe a camera sottostanti poste al centro del
tumulo, scavate a pozzo. Famosa per questo
tipo di architettura è l’antica necropoli Bin Tep
(cioè delle mille colline), nei pressi della città di
Sardim (Lidia), sul fiume Erm.
In Italia possiamo ricordare la Puglia, dove
rivestono una particolare importanza i menhir,
Capitolo 1
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imponenti obelischi quasi sempre associati ai
dolmen, che da semplici segnali funerari
diventano immagine dello stesso defunto ed
oggetto di venerazione e di culto; la Sardegna,
dove troviamo la Valle dei Nuraghi, con le
―tombe dei giganti‖, tombe monumentali,
collettive, capaci di ospitare fino a 200 sepolture.
Né rappresenta un esempio la necropoli neolitica
di Sant’Andrea Priu (3000-1800 a.C.) e la
necropoli di Sulci (Sant’Antioco), i cui corredi
funerari sono conservati al Museo Archeologico
Nazionale di Cagliari.
I corredi funerari rivelano sempre la preferenza
per tutto ciò che aveva attinenza con la vita reale
e rappresentano l’importanza e la ricchezza del
defunto: dal semplice ciotolame, al seppellimento
contemporaneo nella stessa fossa dell’uomo e del
cavallo, come nelle tombe di Vicenne nel Sannio,
che costituiscono l’esempio di un rituale proprio
dei cavalieri delle steppe eurasiatiche; alla
sepoltura con tutta l’armatura e le ricchezze
come nel caso di Alarico, principe dei Goti, nel
greto del Busento o la di una donna rannicchiata
sepolta con il cane ai suoi piedi, a Ripoli nella Val
Vibrata.
Evoluzione dell’architettura cimiteriale: cultura e forma
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1.3 La città dei morti come simulacro
di quella dei vivi per le grandi
civiltà del passato
Con la civiltà egizia l’arte funeraria raggiunge un
notevole livello di complessità. Se pensiamo che
nell’antico Egitto, per ogni persona, si
cominciavano a costruire le tombe già dalla
nascita e il possesso di una tomba era l’unica
garanzia di sopravvivenza, si capisce come la
società si fosse sviluppata attorno ad una
concezione teocentrica e relativa della vita.
Infatti, gli egiziani consideravano la vita come un
dono divino e come prova cui Iddio assoggettava
le anime in vista del proseguimento della vita
terrena in un’altra vita.
Gli Egizi non consideravano la morte come
estinzione completa dell’uomo, ma piuttosto la
negavano ritenendo che ci fosse una
continuazione della vita nell’oltretomba,
concepita come una vera e propria immortalità.
Per la concezione egizia, nell’uomo vi sono
elementi soprannaturali, comuni alla divinità, che
permettono una vita senza fine.
Perché il corpo del defunto possa continuare a
vivere nell'aldilà è necessario che esso sia
preservato integro. Tale fine veniva assicurato
tramite la tecnica della mummificazione.
Nella loro forma più primitiva, le tombe
comprendevano, generalmente, una camera
sepolcrale sotterranea (tomba a fossa) ed una
zona superiore di copertura, visibile e
architettonicamente rilevante, che fungeva da
luogo di culto per il morto.
Quest’ultima assume la forma di mastaba (termine
arcaico che significa ―panca‖), a tronco di
piramide rettangolare, diretta derivazione delle
tombe a cumulo dei nomadi.
L’ evoluzione di questa forma passa attraverso
una sovrapposizione di più elementi a mastaba
fino a formare le piramidi (dal greco, pane a
punta; in egiziano, mer) a gradoni, poi la
piramide romboidale, la piramide a parete liscia
fino ad arrivare alla piramide vera e propria, che
sarà perfetta solo con la triade di Giza (da
ricordare in particolare quella di Cheope).
La piramide è la forma finale dell’ evoluzione
della tomba nella cultura dell’Egitto Antico.
La prima piramide di forma classica è la Piramide
Rossa di Snefur, detta così per la colorazione del
suo materiale.
Da isolate costruzioni disposte nel terreno senza
una precisa logica, i luoghi funerari diventano
centri articolati di culto, in onore all’immagine
divina del faraone.
Troviamo un esempio a Saqqara, nel complesso
funerario di Doser, fondatore della terza dinastia,
dove è possibile vedere un elevato numero di
edifici che si dispongono intorno al fulcro,
rappresentato da un’imponente piramide a
Capitolo 1
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gradoni in pietra di grosso taglio, originata dalla
sovrapposizione di sei mastaba. Questa trasmette
immediatamente l’idea di una gigantesca scala
lanciata verso il cielo.
In questo complesso si può cogliere la sintesi fra
le diverse tradizioni funerarie dell’Alto e del
Basso Egitto: la grossa piramide è il prototipo
più eclatante delle sepolture a tumulo dell’Alto
Egitto, invece le altre strutture comprese nel
recinto funerario continuano la tradizione basso-
egiziana della tomba ad abitazione; esse
riproducono esattamente la città di Menfi con il
palazzo del re, gli edifici amministrativi, le
cappelle votive degli dei.
Se nelle prime piramidi la camera sepolcrale era
sotterranea, in seguito venne spostata nella
struttura muraria esterna; in quest’ultimo caso, la
porta d’accesso rimaneva celata.
Il luogo dei morti veniva collocato ad occidente,
cosicché tutto ciò che concerneva il culto dei
defunti era sistemato ad ovest.
In epoche successive, la morte del re assunse la
ritualità di un evento mitico, i cui misteri
confluivano sia nel rituale delle esequie del
sovrano, sia nelle pratiche culturali, e
rappresentavano il motivo principale della
modificazione della pianta del complesso
funerario.
Ne sono degli esempi i complessi di Giza, con le
piramidi di Cheope, Chephren e Micerino e quelli di
Abu Sir con la piramide di Sahure.
Tutti i sovrani dalla XVIII alla XX dinastia
trovarono sepoltura nella ―Valle dei Re‖, dove
nel 1922 venne scoperto il tesoro di Tutankhamon.
La forma piramidale è diventata l’immagine per
eccellenza del sepolcro, rintracciabile in quasi
tutti i cimiteri monumentali; essa è appartenuta a
tutte le civiltà più antiche, in particolare alle
civiltà che avevano organizzato intorno alla
morte e ai riti propiziatori tutta una scala di
valori e la stessa scala gerarchica della società.
Come la civiltà egiziana anche quelle
mesoamericane erano civiltà teocratiche, dove il
sovrano era l’immagine stessa della divinità e
massimo sacerdote della dottrina religiosa. Lo
spirito religioso era la grande forza spirituale
unificatrice strettamente connessa ad ogni atto
pubblico e privato. Il mondo mitologico, si
sovrapponeva, al mondo naturale e tutta
Evoluzione dell’architettura cimiteriale: cultura e forma
11
l’esistenza si giustificava alla luce di un
ordinamento dei codici morali, che coincidono
con le prescrizioni religiose e giustificano la
verticalizzazione sociale.
Dominati da questo profondo sentimento
mistico e religioso, gli uomini creavano opere
d’arte non solo per sé, ma per i loro dei. Anche
qui troviamo infatti, anche se in numero esiguo,
esempi di edificazioni piramidali, utilizzate a
differenza degli egizi con funzione diversa da
quella funeraria. Un esempio famoso è
rappresentato della piramide situata nell’antica
città maya di Palenque, nel Messico meridionale.
Formalmente simili alle piramidi mesoamericane
sono le ziggurat della Mesopotamia, anch’esse
però non con funzione di tomba, ma come luogo
d’incontro dell’uomo con la divinità.
Sono caratteristiche invece dell’Asia Minore
preromana (Frigia, Licia, Paflagonia, Cappadocia)
le tombe rupestri. Esse sono semplici caverne
difficilmente accessibili e rivestite di facciate
architettoniche in pietra, con le forme
caratteristiche delle costruzioni in legno. In
alcuni casi hanno dei veri e propri fronti
monumentali scavati nella roccia.
Per molte civiltà l’elemento che coniuga mondo
naturale e mondo mitologico è la montagna;
questa è madre e racchiude in sé gli umori della
terra, è segnale eterno e inamovibile della forza
vitale della terra, cumulo della memoria che ha
origine nella creazione. I tumuli, le piramidi e
tutte le costruzioni sepolcrali ad essi riferibili
ripetono il gesto della creazione e si pongono
come testimonianza della vita attraverso la
morte. Le tombe rupestri di Petra, quelle a croce
degli imperatori persiani Dario I, Dario II, Serse I e
Antaserse I a Persepoli, quelle egizie affiancate alle
piramidi e il tesoro di Atreo a Micene, si qualificano
in quanto aperture, ingressi maestosi su di un
mondo oscuro e silenzioso.
Nel periodo storico arcaico, fra i primissimi
esempi, occorre ricordare la Tomba di Knosso, una
fossa scavata e rivestita di pietra con copertura
monolitica, ed un tipo abbastanza diffuso, a
forma di Tholos, che fa capo al notissimo già
citato Tesoro di Atreo in Micene.
La manifestazione dell’ architettura etrusca
tuttora più visibile e meglio databile è quella delle
grandi necropoli, collocate tra l’Alto Lazio, la
Toscana e l’Umbria, in cui pare riemergere la
memoria egizia di una città dei morti parallela a
quella dei viventi. Fra i siti più importanti è la
necropoli di Tarquinia, la cui area occupa una
larghezza di circa mille metri per una lunghezza
di cinquemila ed accoglie sepolture di forme assai
varie che vanno dal VII secolo a.C. fino all’età
romana. Altra necropoli importante è quella di
Cerveteri dove si seppellì dal IX secolo a.C. fino
all’età di Roma Imperiale.
Le tombe riproducevano le abitazioni dei vivi,
perché il trapassato potesse proseguire le sue
abitudini anche dopo la morte. Le donne, le
ragazze e le bambine, ad esempio, venivano
sepolte con orecchini, collane e gioielli.
Gli etruschi ritenevano, infatti, come in altre
culture delle aree mediterranee, che il defunto
sopravvivesse nel luogo dove veniva sepolto.
Ecco perché le tombe presentano molte scene
gaie nelle pitture, a colori vivaci, con lo scopo di
rendere confortevole la dimora dei morti.
Capitolo 1
12
Verso il V secolo pare che tra gli etruschi il culto
per i morti subisca una trasformazione: si
diffonde la convinzione che i defunti si fermino
nella tomba solo momentaneamente, prima del
viaggio verso il regno dei morti. Le tombe
diventano quindi più cupe, con dipinti di demoni
(come la dea Vanth dalle grandi ali) e scene di
violenza.
Scavate nella roccia o costruite con blocchi di
pietra, le necropoli etrusche vennero
periodicamente scoperte dai contadini, dai
pastori e dai boscaioli carbonai.
Le tombe etrusche sono state anche obiettivo
privilegiato di ―tombaroli‖ (che le devastavano
per sottrarre vasi, dipinti, bronzi, oggetti d’oro) e
falsari (alcuni collocavano i falsi nelle tombe, per
poi venderli come autentici). I primi tombaroli
furono in realtà gli antichi romani, che cercavano
oro e gettavano tutto il resto (in particolare i vasi,
le anfore e gli altri oggetti funerari) nel dromos,
l’entrata della tomba.
Il contenuto delle tombe che non è andato
perduto o depredato è oggi visibile nei musei,
comprese le statue in grandezza naturale che
venivano poste sui sarcofagi. Celeberrimo è il
Sarcofago degli sposi, conservato nel Museo
Etrusco di Villa Giulia a Roma: è un cinerario e
mostra due coniugi a banchetto, rivelando la
parità tra uomo e donna nella cultura etrusca.
L’architettura delle tombe etrusche ha un valore
particolare come introduzione all’architettura
romana. Dalle strutture a volta degli ambienti
sotterranei saldamente edificate o dagli ipogei a
pianta circolare e a falsa volta i romani
riceveranno stimoli notevoli e determinanti per la
elaborazione del loro concetto del costruire.
All’arte e all’architettura funeraria degli etruschi
si sono ispirati anche artisti e architetti moderni.
È il caso del ricorrente tema della porta, scolpita
o dipinta, verso l’aldilà, che ritroviamo nei
monumenti ottocenteschi. Così come al modello
etrusco alludono i colombari.
Gli etruschi hanno lasciato centinaia di loculi ad
alveare scalpellati sui dirupi di tufo. L’uso non è
certo, ma potrebbero essere sepolcri. Secondo
Giovanni Feo, è plausibile che siano nati come
cimiteri a loculi delle classi etrusche meno
abbienti.
Tra le antiche popolazioni, non solo gli etruschi
hanno lasciato tombe in Italia.
Vanno citati almeno i Sabini, che fino al III a.C.
abitavano tra Lazio, Umbria e Abruzzo, in
particolare nella zona vicina ai Monti Sabini,
attraversata dal Tevere e dal Velino. Le tombe
erano scavate nel tufo e talvolta costruite.
Evoluzione dell’architettura cimiteriale: cultura e forma
13
1.4 Le sepolture al di fuori della città
per le civiltà dei Greci e dei
Romani
I Greci introdussero nell’architettura funeraria il
Cippo e la Stele, e dettero vita ad un organismo
nuovo, il Mausoleo, che, con l’esempio illustre di
quello di Alicarnasso, considerato nell’antichità
come una delle sette meraviglie del mondo, fece
assurgere la tomba in elevazione a grande dignità
d’arte. Mirabile monumento sepolcrale in pietra,
completamente distrutto sul finire del XV secolo,
caratterizzato da un ritmo ascendente molto
forte che passa dal grande basamento al blocco
della camera sepolcrale, al peristilio ionico con
trentasei colonne e alla grandiosa copertura
gradonata fino alla grande quadriga scolpita da
Pyteos, eretto per celebrare Mausoleo, signore
della Caria dal 377 al 353 a.C., Vitruvio prima e
Plinio il Vecchio poi, lo descrivono quale opera
eccezionale per la mole e per il ricchissimo
apparato decorativo.
L’elevazione di un tempio da terra o di un
sepolcro è comune a molte civiltà: il monumento
in questione ha dei precedenti orientali nella
tomba di Ciro a Pasargarde e nel monumento alle
Nereidi.
Il termine mausoleo si estese in seguito a
designare monumenti funerari gentilizi in età
romana.
Proprio con i Romani la cultura funeraria
raggiunse il massimo livello di sintesi e di
contaminazione culturale: la tradizione
architettonica degli heroa ellenistici e dei tumuli
mediterranei, in particolare di quelli etruschi,
compiono il loro ciclo di trasformazione nei
mausolei romani. L’evoluzione culturale è alla
base di quella tipologica. Dalle tombe scavate
preromane si passa alle costruzioni sopraterra
isolate, poste su basamenti per giungere
all’elevazione dei grandi sepolcri monumentali
generalmente a pianta circolare: i Mausolei,
appunto, che presso i Romani raggiungono la
massima espressione.
Al riguardo degno di menzione è il Mausoleo di
Augusto.
È il monumento sepolcrale sulla riva del Tevere
voluto da Ottaviano Augusto per sé e la sua
famiglia. Ha pianta circolare con forma a
tamburo, di 87 metri di diametro, sormontata da
un tumulo di terra secondo i modelli asiatici ed
ellenistici, dove era consueto porre un giardino
sulla sommità dei monumenti di questo tipo. Il
mausoleo finì quasi distrutto nel XII secolo, poi
trasformato in fortezza nel Duecento. Nel corso
dei secoli subì vari saccheggi. Il non lontano
Castel Sant’Angelo, invece, originariamente era il
Mausoleo di Adriano (139 d.C.) e ne ospitava la
tomba.
Capitolo 1
14
I Romani svilupparono anche altre forme di
edilizia funeraria, quali le Edicole ed i Colombari,
veri e propri prototipi di tombe collettive.
Vengono definiti Colombari le tombe a volta
con sepolture multiple per le ceneri dei liberti,
costruite a spese dei loro padroni. Molti sono
nella zona del Celio, che fino al III secolo d.C.
era all’esterno delle mura cittadine. Da ricordare
in particolare le Tombe dei liberti di via Statilia. Si
tratta di una piccola sepoltura a forma di casa,
lungo l’Acquedotto di Nerone, del I secolo a.C.
Vi si scorgono i nomi e i ritratti a rilievo degli
Statilii che si erano consorziati per pagare
l’edificazione della tomba comune. Importanti,
inoltre, il Colombario dei liberti di Augusto, su via
Appia e il Colombario di Pomponio Hylas, dove
un’iscrizione a mosaico rivela che la tomba
apparteneva a Pomponio Hylas e a sua moglie
Pomponia Vitalinis, sopra il cui nome è decorata
una ―V‖ ad indicare che l’iscrizione era stata fatta
quando la donna era ancora in vita.
La legge romana imponeva di seppellire i morti
fuori dalle mura urbane, sulle vie consolari.
I romani, infatti, dimostravano ripugnanza per i
morti, considerati impuri e contaminanti.
Il costume di seppellire lungo le strade maestre
esterne alle città si diffuse in tutta l’Europa
sottoposta a dominio romano. Si creava così una
distribuzione delle tombe lungo le strade, senza
dar luogo ad un vero e proprio cimitero
delimitato e circoscritto. Oggi ci restano varie
tombe di famiglia destinate ai più abbienti, e
alcune tombe collettive per i poveri (e poi per i
cristiani), oltre ai mausolei delle famiglie potenti.
Poiché a Roma si tendeva a concentrare le
sepolture lungo le strade in uscita della città, la
zona dell’Appia Antica è il più vasto complesso
cimiteriale romano. Vi si trovano non solo i
grandi monumenti funerari, tra cipressi, olivi e
pini, ma anche tre catacombe. Si è calcolati che
nei primi sedici chilometri vi fossero ben
trentamila tombe.
Con il passare dei secoli i sepolcri di via Appia
caddero in rovina, lasciati in totale abbandono.
Solo nell’Ottocento si ebbe una ripresa di
interesse e gli archeologi effettuarono scavi,
rilevamenti, catalogazioni.
Il monumento più celebre resta comunque la
Tomba di Cecilia Metella (vedi figura successiva),
chiamata a lungo Capo di Bove, perché ha il
fregio costellato di buoi, tipici dei monumenti
funerari: risale alla fine del I secolo a.C. ed è nota
per la sua caratteristica forma a tamburo.
Per tali sepolture, fuori della città, allineate lungo
le vie suburbane e consolari, appare impropria la
denominazione di Cimitero, che verrà invece
usata la prima volta dai Cristiani, nelle loro
iniziazioni più antiche, talvolta anche ad indicare
una sola tomba con significato simbolico.
I Cristiani quindi presero atto di una
consuetudine ormai radicata nel costume
Evoluzione dell’architettura cimiteriale: cultura e forma
15
romano, che con loro acquistò una diversa e più
grande dimensione: nel sottosuolo romano si
contano più di mille chilometri di gallerie ed i
centri di sepoltura più importanti ed estesi
risalenti ai primi secoli dell’era cristiana, finora
rinvenuti sono all’ incirca settanta, non tutti
originariamente cristiani: poteva avvenire, infatti,
che un cimitero pagano si trasformasse,
spontaneamente o per l’offerta di un ricco
proprietario convertito, in una catacomba
cristiana. In alcuni casi le stratificazioni
portarono alla formazione di complessi
veramente notevoli, come le catacombe di S.
Sebastiano e di S. Callisto sulla Via Appia.
Possiamo ricordare anche le Catacombe di
Domitilla e di Santa Priscilla a Roma ed anche le
Catacombe dei Giordani, le più profonde di Roma,
ben cinque livelli sotterranei.
In era paleocristiana dunque, la sepoltura
avveniva o in cimiteri privati o in catacombe, i più
antichi raggruppamenti sepolcrali della
Cristianità.
Si tratta di freddi cunicoli sotterranei che si
estendono per chilometri, spesso a più livelli, alle
cui pareti si disponevano file di loculi per le
sepolture comuni. Venivano realizzati anche
sarcofagi e camere dette cubiculae, isolate o a
gruppi, che con un minimo di accorgimenti
statici e architettonici, assumevano l’aspetto di
cripte per la sepoltura di intere famiglie, le più
facoltose.
Per realizzare le catacombe si utilizzarono cave
di tufo (pietra porosa e morbida) e pozzolana
(una specie di malta) di origine vulcanica. Il
materiale estratto serviva per costruire edifici.
Lungo le gallerie strette e sinuose si
disponevano, per tutta l’altezza della parete, i
Loci, cioè delle semplici cavità capaci di
accogliere una o più salme: l’apertura
rettangolare veniva generalmente chiusa da una
lastra di marmo, ma molto frequente era anche il
tipo denominato Arcosolium, con apertura
arcuata e cofano (Solinum) nel quale racchiudere
la salma.
Inizialmente pagani e cristiani venivano sepolti
insieme. Poi, a partire dal II secolo, le necropoli
sotterranee sono quasi esclusivamente cristiane,
anche perché i cristiani rifiutavano la
cremazione. È quindi dalla seconda metà del II
secolo d.C. che si può parlare di vere e proprie
catacombe, dal greco Katà Kymbas (presso le cavità).
All’interno si trovano monumenti funerari
(Arcosolii) e molte pitture murali.
La ritrosia nei confronti dei cimiteri
ottocenteschi e moderni sembra assente di fronte
alle catacombe, forse perché resiste la
convinzione che non si tratti di veri e propri
cimiteri, ma di un luogo di rifugio dei cristiani
per sfuggire alle persecuzioni. In realtà le
catacombe fino al VI secolo non erano luoghi di
culto o rifugi, ma cimiteri. Solo a partire dal IV
Capitolo 1
16
secolo vennero utilizzate anche come luoghi di
venerazione, perché ospitavano i resti di alcuni
santi e martiri (sono state ritenute luoghi di
sepoltura degli apostoli). Quando si trasferirono
i corpi dei martiri nelle chiese, le catacombe
vennero abbandonate e caddero nell’oblio per
tutto il Medioevo. Gallerie e cubicoli diventano
impraticabili, e, in molti casi vengono bloccati e
riempiti di terre di riporto. Restano accessibili
solo gli ambienti che custodiscono i corpi santi,
ambienti trasformati, dove possibile, in cappelle
o in basiliche. Intorno a Roma, immediatamente
fuori le mura, viene a formarsi, così, una cerchia
di santuari, i quali dalla metà del V secolo, salvo
rarissime eccezioni, non hanno più alcuna
funzione cimiteriale: sono vere e proprie chiese.
Solo alcune catacombe servirono da cimitero
fino a pochi secoli fa, come quelle di S. Gaudioso
a Napoli.
Evoluzione dell’architettura cimiteriale: cultura e forma
17
1.5 Medioevo: le sepolture all’interno
della città
L’uso di seppellire nelle Catacombe cedeva il
posto al seppellimento in aree a queste
sovrastanti, a cielo scoperto e si generalizzò il
vocabolo Coemeterium, che venne talvolta usato
anche ad indicare le Basiliche ed i luoghi di culto
costruiti sopra le Catacombe. Un noto esempio
di questa nascente abitudine è dato dal vasto
Cimitero di Salona.
Durante il regno di Costantino si ha un notevole
sviluppo di edifici adibiti al culto dei morti, molti
dei quali eretti in prossimità di martyria. Questi
coemeteria subteglata erano grosse sale funerarie
coperte a tetto, a impianto basilicale, con i
pavimenti costituiti da tombe, con una mensa
per il banchetto funerario e una per il martire che
doveva servire anche come altare, costituenti una
delle numerose tipologie presenti in quel periodo
di fermento neofita. Un esempio coevo è
rappresentato proprio da S. Lorenzo fuori le mura.
Da S. Lorenzo fuori le mura viene la
testimonianza di come sia sempre esistita
l’associazione luogo di culto – luogo cimiteriale.
Infatti le basiliche sono fra i primi luoghi
cimiteriali.
L’età medievale segna un fondamentale punto
di passaggio nella storia delle sepolture.
La morte, per secoli rigettata fuori dalle mura
urbane, entra all’interno delle città, dei villaggi, in
mezzo alle case degli uomini.
L’investigazione delle cause e degli effetti
indotti dal fenomeno dell’inurbamento dei
cadaveri, apparso nei suoi primi atti già dal V
secolo dopo Cristo e perdurato sino ai primi
decenni del XIX secolo, ci conduce naturalmente
in una sorta di zona di frontiera nella quale
confluiscono senza annullarsi tematiche
giuridiche, religiose, popolari e, non ultime,
questioni proprie di storia urbana.
Per chiarezza di esposizione tenteremo di
sciogliere questa complessità analizzando
separatamente le singole argomentazioni,
muovendo dalla lettura delle disposizioni
legislative, allargando il campo di indagine alle
epoche che precedono quella medievale, poiché
riteniamo che i principali lemmi della condizione
giuridica delle sepolture nel diritto medievale
debbano essere rintracciati nel diritto funerario
romano.
Sviluppiamo allora alcuni concetti che ci
permetteranno di mettere più facilmente in
chiaro la questione del diritto d’asilo e delle
sepolture urbane in epoca medievale.
Il diritto romano definiva come locus religiosus
il luogo fisico in cui erano deposte le ceneri o i
resti di un individuo.