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2001/2006: L'opinione pubblica di fronte alla crisi economica.

Il quadro complessivo che emerge dal seguente percorso è quello di un Paese caratterizzato dalla cosiddetta società dei tre terzi: in cui un terzo vive all’interno di una zona di disagio sociale, un terzo appare sicuramente garantito, e la restante parte, costituita dal ceto medio, vive in una condizione instabile e precaria.
Sebbene il dato non sia determinato esclusivamente dalla crisi che ha attraversato l’Italia in questi ultimi anni è interessante notare come solo il 32,9%, calcolato su un campione di 1000 cittadini, si dichiari pienamente fiducioso nel Governo. Tuttavia gli accadimenti che si sono succeduti a partire dal 2001 e l’incapacità dimostrata dalla politica nel soddisfare le reali esigenze dei cittadini non possono non essere tenute in considerazione alla luce di un tale risultato.
Il tendenziale grado di disinformazione registrato nell’opinione pubblica a pochi mesi dall’introduzione dell’euro, unitamente ad un periodo esageratamente breve di doppi prezzi, certamente non hanno favorito il processo di adattamento alla nuova realtà monetaria.
Tale situazione fungerà da volano per un indiscriminato aumento del costo dei beni.
Se nel 2002 si registra un aumento del costo della vita per le famiglie pari a 1.505 euro, solo per ciò che concerne i prodotti alimentari, gli anni seguenti sono animati da un forte dibattito volto a quantificare i termini d’incremento dell’inflazione.
La famiglia si trova in grave difficoltà, minacciata da un aumento sconsiderato dei prezzi a fronte di redditi sempre uguali a se stessi.
Il serrato dibattito condotto tra Istat ed Eurispes tra il 2003 ed il 2005 trova una grande eco non solo negli ambienti economici e statistici, ma anche presso la più vasta opinione pubblica. L’ampia copertura che i media garantiscono alla tematica, è però spesso contraddistinta dalla mera polemica politica fine a se stessa, più che da un serio confronto sui contenuti: ciò lascerà almeno parte dei cittadini sprovvisti degli strumenti necessari per poter entrare nel merito della
vicenda.
A fine 2004 l’esiguità delle retribuzioni risulta non essere ricompensata da un costo della vita altrettanto moderato. Per alcune tipologie di prodotti le grandi città fanno registrare prezzi elevati, persino superiori a quelli di altre capitali del Nord-Europa. Altri paesi mediterranei, come la Spagna, ad esempio, sembrano avere un miglior rapporto tra i salari e costi, mantenendo un maggiore potere d’acquisto. Ciò non fa altro che evidenziare la criticità della situazione italiana.
Tali elementi, uniti ad una sostanziale inefficienza dei provvedimenti adottati dal Governo ed alla conseguente stagnazione degli indici di crescita del Pil, segnano la strada verso il declino.
Decrescono consumi e contemporaneamente si assottiglia la capacità di risparmio, generando negli italiani sentimenti di timore e frustrazione.
La crisi non riguarda solo le fasce socialmente ed economicamente più deboli, ma investe quella fetta della società finora estranea a certe problematiche.
Si è di fronte al declino progressivo del ceto medio, alla nascita di nuove sacche di povertà ed al sorgere di una figura sociale figlia anch’essa delle classi intermedie: il “Povero in giacca e cravatta”.
A conferma di questa situazione, basta citare un dato:
sia le statistiche Istat che quelle Eurispes confermano come la povertà, in Italia, si vada progressivamente estendendo fino ad investire persone che un tempo godevano di un discreto tenore di vita. Oltre all’incremento delle famiglie povere (300mila), le stime che riguardano l’ultimo anno rendono noto che circa 2.500mila famiglie sono a rischio di povertà .

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2 INTRODUZIONE Per tutto il XX secolo, soprattutto negli Stati Uniti, il tema dell’opinione pubblica, sebbene trattato da una pluralità di discipline, è fatto oggetto di indagine primariamente nell’ambito della scienza della politica. Nel contesto nordamericano, l’elaborazione di una teoria dell’opinione pubblica, è stata inizialmente portata avanti, tra gli altri, dallo psicologo Floyd H.Allport. Occorre precisare, però, come nel contesto statunitense si vada subito diffondendo una dicotomia interpretativa riguardo il termine “opinione pubblica”. Secondo autori come Splichal, sarebbe giusto distinguere tra l’opinione pubblica intesa come l’opinione pubblicamente formata di un gruppo di persone, con chiaro riferimento sia all’attività di discussione ‘tra’il pubblico stesso, sia all’azione dei mass media; e un accezione del termine molto più tecnica. Questa seconda interpretazione, frutto della nascita dell’industria degli studi demoscopici, intende il concetto come aggregato di opinioni individuali, e la public opinion sarebbe quindi “il risultato della ricerca sull’opinione pubblica”, in altri termini sarebbe da considerarsi ‘opinione pubblica’a tutti gli effetti, solo quella “certificata” da metodi empirici di rilevazione. Jurgen habermas, teorico di tradizione prettamente politologia in materia, parla invece di dissoluzione socio-psicologica del concetto di opinione pubblica: da un lato “la finzione giuridico statuale dell’opinione pubblica non può essere più identificata nel reale comportamento del pubblico 1 ”, dall’altro l’attribuzione dell’opinione pubblica a determinate istituzioni politiche, non tenendo quindi in considerazione il piano del comportamento del pubblico, non la priva del suo carattere fittizio. “ Perciò la ricerca sociale empirica ritorna con pathos positivistico su questo piano per sancire immediatamente un’opinione pubblica. Essa astrae, viceversa, dagli aspetti istituzionali, e arriva ben presto alla dissoluzione socio- psicologica del concetto di opinione pubblica in quanto tale 2 ”. 1 J.Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica , Laterza, Bari,1984, p. 283 2 Ibidem, p. 283

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