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Sulla “Terza Via” problemi di identificazione e definizione

Sono passati più di dieci anni da quando Tony Blair, divenuto il leader del partito laburista, diede il via al rinnovamento del partito volto a riportarlo al potere dopo sedici anni di governo conservatore. Da questo rinnovamento, realizzato da Tony Blair e teorizzato da alcuni intellettuali inglesi, tra cui Anthony Giddens, nascerà la Terza Via.
La Terza Via si definisce come l'unica via possibile per governare la globalizzazione. Essa, hanno sempre sostenuto i suoi esponenti, è una necessità perché nè la vecchia politica socialdemocratica, nè le politiche neoliberiste sono in grado di governare i processi in corso.
Per far questo occorrono una nuova politica e nuovi valori di riferimento, valori che la Terza Via individua nella responsabilità individuale, nell'uguaglianza delle opportunità e nella comunità. Questi valori diventano le fondamenta di una nuova concezione dello Stato e di una nuova politica volta a dare risposte ai problemi posti dalla nuova era della globalizzazione. Una globalizzazione considerata dalla Terza Via, che pur ne riconosce alcuni limiti, come un fenomeno sostanzialmente positivo. Una globalizzazione che però va saputa governare in modo da renderla più equa e più umana di quanto potrebbe fare una politica neoliberista e in maniera più efficiente di quanto potrebbe fare una politica socialdemocratica.
Nel governo della globalizzazione, la Terza Via si propone di coinvolgere lo Stato, le istituzioni internazionali, le imprese multinazionali e la società civile. Lo Stato viene considerato ancora il più potente attore sulla scena in grado di bilanciare i poteri persi, proprio a causa della globalizzazione, mediante le istituzioni internazionali. Le multinazionali, d'altro canto, avrebbero nel tempo sviluppato una sensibilità che le ha rese “socialmente responsabili” e in grado di agire in equilibrio tra l'interesse generale e gli interessi dei propri azionisti. Alla società civile, a sua volta, toccherebbe un ruolo fondamentale nell'esercitare pressioni sulle imprese affinché osservino le regole di comportamento stabilite di concerto dalle stesse con gli stati e le istituzioni internazionali.
La misura della riuscita di questo ambizioso programma dovrebbe essere data, in base alle stesse dichiarazioni degli esponenti della Terza Via, dal raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio fissati dalle Nazioni Unite.
Nella prima parte del lavoro si è cercata una definizione il più possibile completa della Terza Via e si sono analizzate e riassunte le sue più autorevoli posizioni teoriche, in opposizione sia al liberismo che alla socialdemocrazia; successivamente la ricerca si è soffermata sui valori, sulla concezione dello Stato, sulla concezione della globalizzazione e sul modo di governarla proposti della terza Via. La prima parte si è chiusa con l'esplicitazione degli obiettivi. Il lavoro si è poi orientato ad esaminare in primo luogo i risultati ottenuti dalle politiche della Terza Via e, per questo, fonte principale sono stati i rapporti di organismi internazionali, come le Nazioni Unite e varie ONG; la parte finale si è concentrata sulla riconsiderazione dei rapporti tra Stato, organizzazioni internazionali, imprese multinazionali e società civile, per verificare se gli assunti sui quali si sono mosse le politiche della Terza Via, relativi al peso degli attori presenti sulla scena (Stato, organizzazioni internazionali, imprese multinazionali e società civile) e alle loro reciproche relazioni, corrispondano alla realtà effettiva:
Si è preferito, nel corpo del lavoro, dare il più direttamente possibile, la parola ai protagonisti, cioè a Giddens, a Blair, agli altri teorici della Terza Via, nonchè ai dissidenti e ai critici come pure alle figure più rappresentative della politica, dell’economia e della società civile, affinchè risultasse, per così dire, oggettivamente, quale fosse il contesto nel quale si era mossa la ricerca.
Nelle Conclusioni si sono tirate le fila spiegando i motivi delle scelte operate, ricostruendo lo scheletro argomentativo seguito e mostrando i risultati a cui si è giunti.

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3 Introduzione L‘espressione "Terza Via‖ è stato usata per la prima volta alla fine del diciannovesimo secolo con riferimento alla dottrina sociale della chiesa proposta nell‘enciclica Rerum Novarum emanata dal papa Leone XIII nel 1891 che si poneva come alternativa tanto al socialismo quanto al liberismo. Lo stato, ispirandosi ai principi cristiani, infatti doveva tutelare la proprietà ma allo stesso tempo garantire per legge il benessere degli operai e provvedere ai più deboli (le donne e i minori). Dopo la prima guerra mondiale, che segnò uno spartiacque in quanto la rivoluzione sovietica si poneva come modello di un socialismo realizzabile a breve termine e suscitò accese speranze ma anche violentissime reazioni, si posero come ―Terza Via‖ anche il socialfascismo e il nazionalsocialismo in quanto proponevano il superamento dell‘internazionalismo proletario a favore di un socialismo fortemente nazionalista. Un‘altra occasione in cui si usò l‘espressione fu agli inizi degli anni Trenta quando, dopo la crisi del ‘29, si capì che il mercato non poteva essere lasciato a se stesso e Roosevelt, sostenuto in qualche modo dall‘economista inglese Keynes, attuò il New Deal ponendo i presupposti per il welfare state che, per almeno mezzo secolo, soprattutto nell‘Europa continentale dove aveva assorbito molte delle idee portate avanti dai partiti socialdemocratici e comunisti, sembrò la terza via tra comunismo e libero mercato. Ma anche all‘interno della sinistra, è stata usata l‘espressione ―Terza Via‖ che ha assunto nel tempo significati diversi. Dapprima, verso la fine dell‘800, è stato il socialismo democratico o evoluzionista ad essere considerato la terza via in quanto, a differenza di Marx, non faceva più dipendere l‘avvento del socialismo dalle lotte rivoluzionarie del partito della classe operaia, ma da un automatismo storico futuro che avrebbe fatto diventare classe operaia la quasi totalità della società permettendo l‘avvento del socialismo pacificamente, attraverso la conquista della maggioranza parlamentare. Su questa base i partiti socialisti europei, sul modello del Partito Socialdemocratico Tedesco, facevano il loro ingresso nell‘agone politico rivendicando il suffragio universale e ponendosi anche la questione dell‘eventuale partecipazione a governi borghesi al fine di cominciare fin da subito a migliorare nel concreto la qualità della vita delle classi lavoratrici e a preparare le condizioni dell‘avvento della società socialista.

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