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Il principio di laicità nella giurisprudenza costituzionale

La laicità dello Stato è un tema molto discusso, che anima i cuori, soprattutto a seguito dell’intensificarsi dei flussi immigratori. Il multiculturalismo impone difatti un confronto in termini di uguaglianza e di uguale libertà tra valori, modelli culturali, stili di vita non solo diversi, ma persino contrastanti con quelli seguiti dalla maggioranza di un popolo.

Come introduzione alla mia tesi riporto anzitutto il significato del concetto della “laicità” - troppo spesso confuso con concetti diametralmente opposti, quali l’anticlericalismo, l’agnosticismo, il relativismo – richiamando un articolo di Claudio Magris, tratto dal Corriere della Sera : “Laicità significa tolleranza, dubbio rivolto pure alle proprie certezze, autoironia, demistificazione di tutti gli idoli, anche dei propri; capacità di credere fortemente in alcuni valori, sapendo che ne esistono altri, pur rispettabili … la laicità non è un contenuto filosofico, bensì un abito mentale, la capacità di distinguere ciò che è dimostrabile razionalmente da ciò che invece è oggetto di fede – a prescindere dall’adesione o meno a tale fede – e di distinguere le sfere di ambiti delle diverse competenze, per esempio quelle della Chiesa e quelle dello Stato, ciò che – secondo il detto evangelico – bisogna dare a Dio e ciò che bisogna dare a Cesare. …”.
Sono pertanto laici non coloro che negano l’esistenza di Dio (gli atei), non coloro che sono indifferenti rispetto al problema di Dio (agnostici), ma coloro che – anche se credenti – rifiutano di fondare la politica, le istituzioni, la convivenza civile su basi teologiche, fideistiche. Laicità è un metodo, che appartiene sia ai credenti sia ai non credenti: laicità significa che lo Stato “aconfessionale”, non offre una sanzione giuridica alle norme etico-religiose proprie di una particolare confessione, ma che al tempo stesso riconosce la libertà di coscienza, l’esistenza delle istituzioni religiose e l’importanza fondamentale del fattore religioso per la vita della comunità politica. Il metodo laico è, pertanto, il presupposto per la coesistenza di verità parziali, è dialogo continuo fra posizioni etiche diverse. In questo quadro nessuno deve pretendere di possedere le chiavi per una verità certa e assoluta.

La mia tesi è volta essenzialmente alla constatazione di come, nonostante le numerose pronunce della Corte costituzionale italiana – che, in una prima fase, ha giustificato il diverso trattamento penale delle varie confessioni religiose, la cattolica e i “culti ammessi”, sulla base del maggior numero di aderenti alla confessione cattolica e dell’ampiezza delle reazioni sociali che si sarebbero quindi determinate per effetto delle offese intervenute (sentenze nn. 125/1957, 79/1958, 39/1965, 14/1973) e, successivamente, ha abolito le norme di più stridente contrasto con il principio della laicità, giungendo a sancire che la libertà di coscienza è attribuita anche all’ateo, rintracciando in Costituzione “oltre al riconoscimento di una libertà nella religione, anche il riconoscimento di una libertà dalla religione” - lo Stato italiano non è uno Stato laico, ma uno Stato confessionale, in quanto attribuisce un’ingiustificata posizione di privilegio alla Chiesa cattolica, depositaria di uno ius singulare, di poteri e competenze che non trovano riscontro in nessun altra istituzione pubblica o privata, né tantomeno in alcun altra confessione religiosa.

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CAPITOLO I 1 – Principio di laicità come principio supremo In Italia il principio della laicità dello Stato si afferma notoriamente per via giurisprudenziale. Infatti, a differenza di quanto è previsto in altre Costituzioni - nella Costituzione francese, in quella russa e in quella turca - non è espressamente sancito nella Carta costituzionale. Il principio della laicità viene definito, nelle pronunce della Corte costituzionale, come “principio supremo”. In quanto tale, rientra nella parte assolutamente inderogabile, ad opera dello stesso legislatore costituzionale, dei valori costituzionali (c.d. nucleo duro). Il “nucleo duro” - o patrimonio indisponibile (quel complesso assiologico che la Corte costituzionale italiana chiama “principi fondamentali e diritti inviolabili”: sentenza n. 1146 del 1988) - del modello dello Stato costituzionale europeo è costituito essenzialmente da cinque pilastri: democrazia, decentramento, separazione fra i poteri, diritti fondamentali e controllo di costituzionalità, cui si aggiungono una serie di connessi corollari, compreso il principio di laicità. L’irrevisionabilità del c.d. nucleo duro della Costituzione non significa che la Costituzione è “mummificata”: essa è, sì, un atto (puntuale nel tempo), ma anche e necessariamente un processo (storico). Tutti i valori costituzionali, e dunque anche gli stessi diritti fondamentali in astratto indisponibili, in concreto vanno bilanciati, secondo il canone della ragionevolezza. Quindi il principio della laicità, gerarchicamente superiore alle rimanenti norme costituzionali, incontra il solo limite degli altri principi supremi/fondamentali 1 . Il principio di laicità attinge ad un nucleo di valori comuni efficacemente sintetizzati nella “garanzia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale”, ed implica………………. 5 – La laicità come “distinzione tra ordini distinti”: “l’ordine delle questioni civili e l’ordine delle questioni religiose”. Le formule giuratorie 1 A. SPADARO, La crisi delle costituzioni di “compromesso” e il ruolo dei cattolici in Europa, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; A. SPADARO, Laicità e confessioni religiose: dalle etiche collettive (laiche e religiose) alla “meta-etica” pubblica (costituzionale), Relazione al Convegno annuale dell’AIC “Problemi pratici della laicità agli inizi del secolo XXI”, Napoli 26-27 ottobre 2007, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.

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art. 8 costituzione
ateo
chiesa cattolica
concordato del 1984
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patti lateranensi
r.d. 289/30
sentenza n. 168 del 2005
sentenza n. 203 del 1989
sentenza n. 327 del 2002
sentenza n. 329 del 1997
sentenza n. 334 del 1996
sentenza n. 440 del 1995
sentenza n. 508 del 2000
tutela penale dei culti

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