Un ulteriore riflesso del principio di laicità si rinviene in diverse decisioni
della Corte costituzionale (sentenze nn. 117/1979; 234/1984; 149/1995; 334/1996)
che hanno dichiarato illegittime norme dei vari codici che prevedevano formule di
giuramento basate sull’invocazione alla Divinità. Oggi, le formule giuratorie sono
pervenute ad un dettato normativo che non abolisce l’istituto in se stesso, ma lo
dota di una formula lessicale onnicomprensiva, tale da salvaguardare la possibilità
di un vincolo secondo coscienza - qualunque cosa essa significhi poi diversamente
per l’ateo, per l’agnostico, per l’adepto di una fede non cattolica, per il cristiano
obiettore attento a “non nominare il nome di Dio invano” e infine per la persona di
fede cattolica rispettosa senza riserve della legislazione civile esistente – ed, allo
stesso tempo, anche il diritto di non esternare le proprie convinzioni
2
.
La Corte, già con la sentenza n. 117 del 1979, aveva riconosciuto che
l’imposizione a tutti indiscriminatamente di una formula di giuramento
comportante l’assunzione di responsabilità davanti a Dio, poteva provocare nei non
credenti “turbamenti, casi di coscienza, conflitti di lealtà tra doveri del cittadino e
fedeltà alle proprie convinzioni”, così da rappresentare un ingiustificato ostacolo
alla piena garanzia del valore costituzionale della libertà di coscienza
3
. In
conseguenza di questa decisione, che operò l’addizione dell’inciso “se credente” in
riferimento al giuramento di fronte a Dio, la formula del giuramento del testimone
nel processo civile aveva assunto un duplice e distinto significato: per i
credenti………………..
Successivamente, il legislatore, adottando il nuovo codice di procedura
penale, era intervenuto sul problema escludendo l’opzione, pur non incompatibile
con i principi costituzionali, implicante la predeterminazione legislativa di formule
di impegno o di promessa accanto a quella di giuramento, al fine di lasciare alla
libertà dei singoli testimoni la scelta dell’una o dell’altra formula, in armonia con le
proprie convinzioni morali o religiose, cosicché, il comma 2 dell’art. 497 del c.p.p.,
dispone che il giudice istruttore invita il testimone a rendere la dichiarazione:
“Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia
deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è
a mia conoscenza”.
2
S. PRISCO, Il principio di laicità nella recente giurisprudenza, in www.costituzionalismo.it
3
S. ROSSI, Il nodo del crocefisso nello Stato laico, in www.forumcostituzionale.it
Si era determinata così un’asimmetria nell’ordinamento, quanto alla
differente tutela accordata alla libertà di coscienza del testimone nel processo
penale e in quello civile, manifestando un’irragionevole disparità di trattamento in
relazione alla protezione di un diritto inviolabile dell’uomo, la libertà di coscienza,
che, come tale, esige una garanzia uniforme o, almeno, omogenea nei vari ambiti in
cui si esplica
4
.
Con la sentenza n. 149 del 1995
5
, la Corte costituzionale ha analizzato la
questione del giuramento, sottolineando appunto la preminente rilevanza che
veniva ad assumere la libertà di coscienza dell’individuo, e concludendo che la
soluzione prescelta dal legislatore per il processo penale “rappresenta
un’attuazione, tra quelle possibili, del principio supremo di laicità dello Stato”. Ne
segue la modifica dell’art. 251, secondo comma, c.p.c. - nella parte in cui
prevedeva che il giudice istruttore ammonisce il testimone sull’importanza
religiosa, se credente, e morale del giuramento e gli leggeva la formula
“Consapevole della responsabilità che con il giuramento assumete davanti a Dio, se
credente, e agli uomini, giurate di dire la verità, null’altro che la verità” nonché
nella parte in cui prevedeva che il testimone prestava il giuramento pronunciando
le parole “lo giuro” -, formulandolo nel seguente modo: “Il giudice istruttore
avverte il testimone dell’obbligo di dire la verità e delle conseguenze penali delle
dichiarazioni false e reticenti e lo invita a rendere la seguente dichiarazione:
consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia
deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è
a mia conoscenza”. ……………………..
Nella stessa direzione si è posta la sentenza n. 334 del 1996
…………………
Dalla sentenza n. 334 del 1996 emerge, dunque, in modo esplicito il profilo
della “distinzione tra ordini distinti” che “caratterizza nell’essenziale il
fondamentale o supremo principio di laicità o non confessionalità dello Stato” e
“significa che la religione e gli obblighi morali che ne derivano non possono
essere imposti come mezzo al fine dello Stato”……….
4
S. ROSSI, Il nodo del crocefisso nello Stato laico, in www.forumcostituzionale.it
5
S. SICARDI, Il principio di laicità nella giurisprudenza della Corte costituzionale (e rispetto alle
posizioni dei giudici comuni), in www.associazionedeicostituzionalisti.it; S. ROSSI, Il nodo del
crocefisso nello Stato laico, in www.forumcostituzionale.it
8 – Osservazioni conclusive
……….Ma, per evitare discriminazioni, il principio della laicità dello Stato,
non dovrebbe portare ad ignorare la tutela del sentimento religioso, oppure (cosa
alquanto impossibile) a tutelare anche il sentimento non fideistico, quello ateo od
agnostico? Che la Costituzione protegga l’interesse religioso è affermazione
condivisibile, ma non può essere condiviso l’assunto che la Costituzione esiga una
specifica tutela penale di questo interesse. Le ragioni di segno contrario sono
molteplici. Anzitutto, la Costituzione non sembra esigere la tutela penale di beni
che pure essa protegge. Inoltre, l’evoluzione del diritto penale moderno indica che
una siffatta tutela rappresenta l’ultima ratio dell’ordinamento, che opera per fatti
criminosi di particolare allarme sociale, la cui determinazione è rimessa solo al
legislatore che, tra l’altro, si muove da tempo nella prospettiva di un’ampia
depenalizzazione. Va, altresì, evidenziato che i progetti di riforma in materia
prevedono una disciplina radicalmente diversa, che mira alla tutela dei
comportamenti lesivi della libertà religiosa degli individui, e non a quella del
patrimonio “ideologico” delle confessioni.
Non bisogna poi tralasciare di rilevare che alcune confessioni con intesa
hanno dichiarato espressamente di volere rinunciare ad ogni protezione penale
speciale del sentimento religioso
6
. Dall’intesa con la Tavola valdese (L. n. 449 del
1984) si legge che “la Tavola valdese, nella convinzione che la fede religiosa non
necessita di tutela penale diretta, riafferma il principio che la tutela penale in
materia religiosa deve essere attuata solamente attraverso la protezione
dell’esercizio dei diritti di libertà riconosciuti e garantiti dalla Costituzione, e non
mediante la tutela specifica del sentimento religioso. La Repubblica italiana prende
atto di tale affermazione”
7
. Dall’intesa con l’Unione delle Comunità ebraiche del
1987 (L. n. 101 del 1989) si legge, invece, che “è assicurata in sede penale la parità
di tutela del sentimento religioso e dei diritti di libertà religiosa, senza
discriminazioni tra i cittadini e tra i culti”
8
………………
6
G. CASUSCELLI, “L’evoluzione della giurisprudenza costituzionale” in materia di vilipendio
della religione, in www.olir.it
7
M. C. IVALDI, L’evoluzione della giurisprudenza costituzionale sulla tutela penale in materia
religiosa. Un excursus (1957-2005), in www.olir.it
8
A. G. CHIZZONITI, Il vento delle sentenze della Corte costituzionale e le foglie secche della
tutela penale della religione, in www.olir.it; M. C. IVALDI, L’evoluzione della giurisprudenza
costituzionale sulla tutela penale in materia religiosa. Un excursus (1957-2005), in www.olir.it
CAPITOLO II
1 – I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica: l’articolo 7 della Costituzione
……………Lo Stato italiano, infatti, mentre da un lato afferma la propria
sovranità sul piano dei rapporti giuspolitici, dall’altro è costretto a negarla,
accettando che nel proprio territorio esista un altro Stato, la Chiesa cattolico-
romana, avente pari sovranità, seppure “nel proprio ordine”, e con la quale si
obbliga a disciplinare i propri rapporti mediante lo strumento (assimilabile ad un
trattato internazionale con uno Stato estero) dei Patti Lateranensi. Con ciò, in
pratica, non solo si legittima l’esistenza di un ente che, per salvaguardare la propria
specificità, pretende di possedere una sovranità analoga a quella statale, ma si
impedisce anche ai governi parlamentari di tale Stato di far rispettare le leggi a tutti
gli enti che esistono nel territorio nazionale, nel senso che la Chiesa può sempre
esimersi, sotto il pretesto della propria sovranità, dall’applicazione effettiva di tali
leggi.
L’articolo 7 Cost., che al suo primo comma è il manifesto laico dello Stato
italiano, al suo capoverso, invece, stabilendo il principio pattizio fra lo Stato e la
Chiesa, fa eccezione al primo comma, oltre che alla regola dell’eguale libertà
delle confessioni religiose dell’articolo 8 Cost.
9
, introducendo un regime speciale
per la Chiesa cattolica, a dispetto del principio di laicità e di quello d’eguaglianza
religiosa. ……………………….
2 – I rapporti tra Stato e confessioni non cattoliche: l’articolo 8 della
Costituzione
La ragione della disciplina privilegiata a favore della Chiesa cattolica è da
rinvenire nel fatto che la Costituzione italiana del 1948 è il frutto di un
compromesso. L’art. 7 dava continuità alla linea di politica ecclesiastica del
fascismo. La principale obiezione delle forze anticoncordatarie era quella relativa
alla sorte delle minoranze religiose, e la soluzione fu individuata nella creazione di
9
M. AINIS, Laicità e confessioni religiose, Relazione al Convegno annuale dell’AIC “Problemi
pratici della laicità agli inizi del secolo XXI”, Napoli 26-27 ottobre 2007, in
www.associazionedeicostituzionalisti.it
uno strumento bilaterale anche per le altre confessioni. L’art. 8 assicura a tutte le
confessioni religiose eguale libertà davanti alla legge, prevedendo al secondo
comma una riserva di statuto (“le confessioni religiose diverse dalla cattolica
hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino
con l’ordinamento giuridico italiano”), ed una posizione di rilievo
nell’ordinamento attraverso la previsione di intese per regolare i loro rapporti con
lo Stato.
Ma, proprio dalla disposizione dell’art. 8, emerge un ulteriore elemento di
discriminazione, ravvisabile nel diverso trattamento accordato alle confessioni non
cattoliche presenti in Italia, a seconda che queste abbiano o meno proceduto alla
stipulazione di un’intesa con lo Stato.
Per le confessioni prive di intesa è tuttora applicata la legge n. 1159 del 1929
sui “culti ammessi”, ed il relativo regolamento di attuazione, il R.D. n. 289 del
1930. La legge 1159 si fonda sul principio della libera ammissione dei culti diversi
dalla religione cattolica “purché non professino principi e non seguano riti
contrari all’ordine pubblico o al buon costume”. Gli istituti dei culti non cattolici
possono essere eretti in ente morale dallo Stato italiano. Il riconoscimento
comporta una serie di vantaggi tra cui la possibilità dell’ente di culto di acquistare e
possedere beni in nome proprio e di avvalersi di agevolazioni tributarie. D’altra
parte, lo Stato, attraverso il Ministero dell’interno, esercita penetranti poteri di
controllo ……………………………
……………Per le confessioni che, invece, hanno stipulato un’intesa con lo
Stato italiano cessa di avere efficacia la legge sui culti ammessi, sostituita dalle
disposizioni contenute nelle singole intese, che concorrono a definire un regime più
indipendente rispetto a quello valido per le confessioni prive di intesa. Le
confessioni che hanno raggiunto un’intesa con lo Stato italiano sono sei: Tavola
Valdese, Assemblee di Dio in Italia, Unione delle Chiese Cristiane Avventiste,
Unione delle Comunità Ebraiche italiane, Unione Cristiana Evangelica Battista,
Chiesa Evangelica Luterana in Italia
10
. Dopo la stipulazione delle prime intese, si è
peraltro aperto un dibattito sull’opportunità di continuare a stipularne delle nuove.
Da una parte, si sostiene che la legislazione sulla base di intese è l’unico modo
costituzionalmente corretto di regolare i rapporti tra Stato e qualunque confessione
religiosa. Dall’altra, si rileva che non è possibile arrivare al paradosso di infinite
10
Libertà religiosa – La stipulazione delle intese, in www.camera.it
nuove intese (ciascuna con la relativa legge di approvazione), magari con gruppi
religiosi di ridotta consistenza e poco significativi. Il tema della rappresentanza
delle comunità religiose islamiche offre un esempio ……………….
…………L’attuale quadro legislativo italiano sembra, comunque, essere
destinato a mutare orientamento, assumendone uno meno confessionista. Lo si
rileva dal dibattito, tuttora in corso, alla prima Commissione permanente
(Commissione Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni), sul
progetto di legge atto a stabilire le “Norme sulla libertà religiosa e abrogazione
della legislazione sui culti ammessi”, il cui art. 1 afferma che “La presente legge si
fonda sul principio della laicità dello Stato al quale è data attuazione nelle leggi
della Repubblica”
11
. Sebbene, già la Corte costituzionale aveva provveduto a
stabilire che se “l’entità della presenza nel territorio dell’una o dell’altra
confessione religiosa è un criterio del tutto logico e legittimo”, tuttavia la
stipulazione di un’intesa con i culti acattolici non è un obbligo, sicché la presenza o
meno di quest’ultimo tipo di atto “non può costituire l’elemento di discriminazione
nell’applicazione di una disciplina che faciliti le attività di culto” (sentenza n. 195
del 1993)…………
3 – Il Concordato. Ancora un privilegio per la Chiesa dopo la revisione del
1984?
…………….La revisione intervenuta nel 1984, con gli accordi di Villa Madama
fra lo Stato italiano e la Santa Sede (ratificati e resi esecutivi con la legge n. 121 del
1985, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929
tra la Repubblica italiana e la Santa Sede), ha modificato il contenuto del
Concordato, evitando le norme di più stridente contrasto con i principi
costituzionali. In particolare è stata eliminata la disposizione più antidemocratica e
anticostituzionale della religione cattolica come sola religione dello Stato,
contemplata nell’articolo 1. Il nuovo Concordato dopo avere precisato che “La
Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica
sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani” li impegna “alla
reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e per il bene del Paese”
12
.
11
F. ALICINO, Esercizi di laicità ovvero definire (giuridicamente) lo Stato laico, in
www.statoechiese.it
12
S. LARICCIA, Individuo, gruppi, confessioni religiose nella repubblica italiana laica e
democratica, in www.associazionedeicostituzionalisti.it
A prenderlo alla lettera, se ne desumono la missione civile della Chiesa e la
missione religiosa dello Stato. Ma la salvezza delle anime, come diceva Locke, non
ricade fra i compiti dello Stato; in caso contrario, s’offenderebbe il nucleo stesso
dell’idea di laicità, che nasce per l’appunto da un atto di separazione tra fede e
politica, di demarcazione delle rispettive competenze
13
.
……………..Si può quindi concludere che molti dei problemi conseguenti
alla confessionalizzazione della società italiana, determinati dall’entrata in vigore
dei Patti Lateranensi del 1929 e dalla decisione dell’assemblea costituente di
richiamare tali patti nella Carta costituzionale del 1948, non sono venuti meno con
l’approvazione del nuovo concordato. Questo, rispondente all’esigenza dei regimi
autoritari di favorire la concessione di privilegi alla religione cattolica e di
agevolare l’esplicarsi di forti influenze del fattore clericale sulle istituzioni
pubbliche e private, non costituisce più, nell’attuale società italiana, uno strumento
idoneo a disciplinare i rapporti tra Stato e Chiesa
14
, ed è inconciliabile con un
sistema democratico liberale: comporta un accordo fra lo Stato e la Chiesa in base
al quale……………………………..
La revisione del 1984 ha, peraltro, intaccato solo in parte la sostanza dell’art. 7
della Costituzione. Formalmente lo Stato ha rinunciato alla confessionalità, ossia
alla religione di stato; di fatto……………..
4 – Quel che è di Dio, quel che è di Cesare. La violazione della “distinzione
degli ordini distinti”, corollario del principio di laicità
Il rispetto della “distinzione degli ordini distinti”, richiederebbe che le
religioni si astenessero dal cercare di ottenere leggi che li favoriscano oppure leggi
che impongano obblighi o divieti conformi alla loro visione. Nel primo caso, non
lo consente il principio di laicità inteso nel significato di equidistanza e imparzialità
della legislazione rispetto a tutte le confessioni religiose e, nel caso di obblighi o
divieti di matrice religiosa, inteso come necessaria neutralità rispetto alle varie
visioni della vita. Sembra, invece, ora prevalere una linea di diretto intervento della
Chiesa, e dei suoi stessi vertici, nel gioco politico per ottenere obiettivi che essa
13
M. AINIS, Laicità e confessioni religiose, Relazione al Convegno annuale dell’AIC “Problemi
pratici della laicità agli inizi del secolo XXI”, Napoli 26-27 ottobre 2007, in
www.associazionedeicostituzionalisti.it
14
S. LARICCIA, Individuo, gruppi, confessioni religiose nella repubblica italiana laica e
democratica, in www.associazionedeicostituzionalisti.it
ritenga di volta in volta rilevanti
15
. A far data dal pontificato di Giovanni Paolo II -
con il quale si pone in sostanziale continuità, per quest’aspetto, quello di Benedetto
XVI - si assiste, infatti, ad un arroccamento delle posizioni della Chiesa a difesa
dei fondamenti del cattolicesimo
16
. Il diritto canonico contamina il diritto dello
Stato italiano, come accade per le sentenze di nullità matrimoniale, o quando la
curia licenzia un’insegnante di religione perché è divorziata e perché va a scuola
in minigonna (è successo a Fano nel 2005)
17
, o perché in stato di gravidanza pur
essendo nubile; per l’insistenza con la quale, pur dopo la sottoscrizione della
costituzione europea, si continua a richiedere la menzione, nel preambolo della
costituzione stessa, delle radici cristiane e/o giudaico-cristiane. E, ci riguarda
maggiormente, quando da quel pulpito piovono ogni giorno indirizzi per
condizionare la vita pubblica italiana, in violazione non solo del generale canone di
laicità, bensì di precise regole costituzionali.
Tra gli esempi più significativi delle pressioni esercitate da organizzazioni
religiose sulle politiche pubbliche in Italia, possono ricordarsi alcuni episodi. Il 3
giugno 2003, la Congregazione per la dottrina della fede, pone ai parlamentari
cattolici l’obbligo di votare contro ogni progetto di legge favorevole al
riconoscimento delle coppie di fatto e delle unioni omosessuali
18
. Monito questo,
che ha trovato un’ulteriore autorevole espressione nel discorso di Benedetto XVI
del 12 febbraio 2007, in cui si affermava che la “legge naturale” contiene “norme
inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore e neppure
dal consenso che gli Stati possono ad esse prestare. Sono infatti norme che
precedono qualsiasi legge umana: come tali, non ammettono interventi in deroga
da parte di nessuno”. I vescovi – prosegue il Papa - indirizzano ai cattolici
impegnati in politica “ …una parola impegnativa …. i politici e i legislatori
cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi
particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare
e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana, tra i quali rientra la
15
G. DI COSIMO, Laicità e democrazia, in www.associazionedeicostituzionalisti.it
16
C. TRIPODINA, Dio o Cesare? Chiesa cattolica e Stato laico di fronte alla questione bioetica,
in www.costituzionalismo.it
17
M. AINIS, Laicità e confessioni religiose, Relazione al Convegno annuale dell’AIC “Problemi
pratici della laicità agli inizi del secolo XXI”, Napoli 26-27 ottobre 2007, in
www.associazionedeicostituzionalisti.it
18
M. AINIS, Laicità e confessioni religiose, Relazione al Convegno annuale dell’AIC “Problemi
pratici della laicità agli inizi del secolo XXI”, Napoli 26-27 ottobre 2007, in
www.associazionedeicostituzionalisti.it
famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna … Sarebbe quindi incoerente
quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto…Il fedele
cristiano è tenuto a formare la propria coscienza confrontandosi seriamente con
l’insegnamento del Magistero e pertanto non può appellarsi al principio del
pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che
compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali
per il bene comune della società”. La pretesa che il fedele cristiano non possa
appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica,
rappresenta non solo un’ingerenza molto pesante della Chiesa negli questioni
temporali di esclusiva competenza dello Stato, ma anche una pressione esercitata
innanzitutto verso lo stesso mondo cattolico, verso la parte che cosciente dei suoi
diritti e doveri nei confronti della più vasta comunità nazionale, rivendica la
propria libertà di scelta: l’art. 67 della Costituzione stabilisce che “Ogni membro
del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di
mandato”.
Il 12 giugno 2005………………………
…………….. E’ giusto, perciò, che le Chiese invitino i cristiani ad essere vigili
verso le leggi imperfette date da Cesare; ma le confessioni religiose devono anche
rendersi conto che una legislazione che autorizzi il divorzio, ammetta l’aborto o
accetti la fecondazione artificiale, non obbliga nessuno a divorziare, né ad abortire,
né a farsi fecondare
19
. Di fronte a leggi in contrasto con i fondamenti della dottrina
cristiana, l’autorità ecclesiastica ha il diritto di rivolgersi alla comunità cattolica,
affinché essa eserciti il diritto di obiezione di coscienza o, addirittura, il diritto di
resistenza. Che cosa poi il singolo cittadino cattolico decida concretamente di fare
è questione che attiene alla sua coscienza, tesa nella doppia fedeltà a Stato e
Chiesa, sebbene l’indicazione imperativa proveniente dalla Chiesa non lasci spazio
a oscillazioni dubitative
20
……………….
10 – Il crocifisso nelle aule giudiziarie
19
G. DI COSIMO, Laicità e democrazia, in www.associazionedeicostituzionalisti.it
20
C. TRIPODINA, Dio o Cesare? Chiesa cattolica e Stato laico di fronte alla questione bioetica,
in www.costituzionalismo.it
Anche la presenza del crocifisso nelle aule giudiziarie è stata oggetto di
recenti contestazioni e decisioni giurisprudenziali. Di un certo interesse
l’ordinanza della Corte di cassazione, Sezione III penale, n. 41571 del 18
novembre 2005, che ha dichiarato inammissibile l’istanza presentata da un
imputato in un processo penale, davanti al Tribunale monocratico di Verona, volta
ad ottenere la rimessione del processo ad altro giudice. Il ricorrente deduceva che
nell’aula di udienza in cui si celebrava il processo, come nelle altre aule della
sede giudiziaria veronese, si trovava affisso un crocifisso, e che questa esposizione,
imposta da una circolare del 29 maggio 1926 del Ministro di Grazia e Giustizia,
configurava “ai sensi dell’art. 45 c.p.p. una grave situazione locale, non altrimenti
eliminabile, tale da pregiudicare la libera determinazione delle persone che
partecipano al processo, o quanto meno da determinare un legittimo sospetto,
soprattutto in considerazione della specificità del reato contestato, che attiene al
vilipendio della religione cattolica”. L’inammissibilità del ricorso è stata
pronunciata dalla Corte perché l’esposizione del crocifisso “difetta
dell’imprescindibile carattere locale” richiesto dalla norma codicistica, non
essendo limitata “al Tribunale di Verona, e neppure agli uffici giudiziari di quella
città, ma si estende agli uffici di tutto il territorio nazionale”
21
……………..
…………….. Tuttavia, se è vero che la giurisdizione costituisce, sul
versante istituzionale, il momento in cui trovano applicazione le norme del dialogo
razionale, che la sentenza va giustificata in base a ragioni riconoscibili come
neutre, prescindenti cioè da specifiche appartenenze culturali, e che
nell’interazione processuale si tratta di mostrare la correttezza delle soluzioni
proposte e la loro accettabilità, fornendo argomenti valutabili entro una struttura
discorsiva caratterizzata dall’imparzialità e dall’assenza di pregiudizi, emerge una
ragione specifica di illegittimità dell’esposizione del crocifisso, legata ai caratteri
propri dell’attività che si svolge nelle aule giudiziarie
22
. Appare evidente come la
presenza del simbolo religioso (che attiene alla sfera del sacro, e quindi del “non
razionale”, ed esprime inoltre una precisa identità culturale), si pone in contrasto
con la natura stessa del processo, soprattutto di quello penale, potendo tra l’altro
21
G. BRUNELLI, Simboli collettivi e segni individuali di appartenenza religiosa: le regole della
neutralità, Relazione al Convegno annuale dell’AIC “Problemi pratici della laicità agli inizi del
secolo XXI”, Napoli 26-27 ottobre 2007, in www.associazionedeicostituzionalisti.it
22
G. BRUNELLI, Simboli collettivi e segni individuali di appartenenza religiosa: le regole della
neutralità, Relazione al Convegno annuale dell’AIC “Problemi pratici della laicità agli inizi del
secolo XXI”, Napoli 26-27 ottobre 2007, in www.associazionedeicostituzionalisti.it
rendere l’immagine di una amministrazione della giustizia ispirata a valori
religiosi, non alla legge “eguale per tutti”
23
.
CAPITOLO III
1 - La sovrapposizione tra diritto e sfere etico-religiose negli ordinamenti
islamici
L’idea di Stato-nazione (connotata dall’eguaglianza e universalità dei
diritti individuali e da un’unità politica assicurata anche attraverso
l’eliminazione dallo spazio pubblico delle differenti pretese di “valore” e di
“bene”, storicamente all’origine delle guerre di religione) è una costruzione
specificamente europea. Altrove lo Stato è una sovrastruttura di dominio su etnie,
tribù, clan, popoli diversi. Quel che per l’europeo è il denominatore nazionale,
per gli uomini di altre civiltà è l’appartenenza ad una cultura e soprattutto ad una
religione
24
.
La distinzione fra diritto e sfera religiosa è tuttora estranea a quegli
ordinamenti islamici più radicali che riconoscono nella Shari’a la legge dello Stato,
la fonte principale del diritto. In essa convergono i precetti contenuti nel Corano,
diretta espressione della volontà divina, e la Sunna, che raccoglie i detti del Profeta
Maometto. Il diritto è interpretato e studiato non dai giuristi laici, ma da religiosi
nelle scuole coraniche. L’Islam è la religione di Stato, mentre le altre confessioni
possono solo essere tollerate. Non essendo tutelata la libertà religiosa è reato per un
mussulmano, e non solo peccato, cambiare religione (nel corso del 2006 un
cittadino afgano Abdullah Racman è stato condannato a morte - poi graziato su
pressioni internazionali - perché apostata, essendosi convertito alla religione
cattolica). Chi bestemmia o si comporta da blasfemo deve essere punito dallo
Stato. I diritti del cittadino sono tutelati in quanto “credente”, mentre la ridotta
capacità giuridica degli “infedeli “ e delle donne (che tra l’altro non possono
sposare un non mussulmano a differenza di quanto consentito agli uomini) è
prescritta sia dalle leggi religiose che da quelle civili.
23
A. BARBERA, Il cammino della laicità, in www.forumcostituzionale.it
24
G. BRUNELLI, Simboli collettivi e segni individuali di appartenenza religiosa: le regole della
neutralità, Relazione al Convegno annuale dell’AIC “Problemi pratici della laicità agli inizi del
secolo XXI”, Napoli 26-27 ottobre 2007, in www.associazionedeicostituzionalisti.it
Così, nella Costituzione dell’Arabia Saudita del 1992 si legge che “il libro di Dio e
la Sunna del suo Profeta… sono la costituzione”. Anche per la Costituzione della
Libia, il “Corano sacro è la legge della società nella Jamahirya araba libica
popolare e socialista”. Analogamente anche in Egitto, Mauritania (che tuttavia
richiama anche i principi della democrazia),Yemen, Bahrein, Oman, Kuwait, e in
altri Paesi arabi che vedono nei precetti dell’Islam l’unica fonte della legge. La
Costituzione dell’Iran si affida alla “leadership di una persona santa, atta a
prevenire qualsiasi deviazione dei vari organi dello Stato rispetto ai doveri
islamici”, mentre tutti i poteri, compreso il potere giudiziario, sono impegnati a
combattere “i vizi e la corruzione” e la deviazione dai principi dell’Islam “nella sua
scuola sciita”. Nei paesi del Magreb la formulazione è meno drastica e più aperta.
La Costituzione della Tunisia, pur proclamando l’Islam…………………..
CAPITOLO IV
2 – Multiculturalismo e interculturalismo
L’ordinamento giuridico può darsi un obiettivo minimo di coesistenza
multiculturale, ma può anche ambire a raggiungere una dimensione interculturale,
cioè che, a partire dal pluralismo già esistente per la semplice presenza di soggetti
aventi diversa identità culturale, miri a sviluppare una nuova sintesi sociale che
permetta di superare la situazione di mera compresenza per dar luogo ad un
processo di reciproco scambio.
La risposta multiculturalista mette difatti in luce la debolezza con cui le
civiltà guardano se stesse. Quelle occidentali sembrano animate dal timore che
l’inserimento di elementi di diversità possa far esplodere principi e tradizioni
secolari già in crisi; riconoscono le differenze, ma le irrigidiscono e le collocano in
contenitori stagni posti gli uni accanto agli altri, che si toccano ma non
interferiscono.
La paura di attivare relazioni in grado di mettere a confronto tali diversità
coincide colla preoccupazione di dover ridiscutere i “nostri” principi e valori
identitari. Questa impostazione tradisce la consapevolezza di non essere in grado di
dare pienamente corpo ai valori che pure vengono proclamati come universali, e
che pretenderebbero innanzitutto di guardare agli altri come persone e gruppi
ugualmente liberi e portatori di eguale dignità. Ad esempio, con riguardo alle
questioni religiose, impedisce di guardare serenamente alle altre religioni come
possibili portatrici di altrettante verità che vanno guardate con rispetto.
L’applicazione dei principi costituzionali ed il rispetto della sovranità della
legge possono essere alla base di un atteggiamento giuridicamente interculturale
attraverso il quale escludere il riconoscimento di elementi di diversità che
contrastino con questi principi, ma anche ammettere quegli elementi di diversità
che potrebbero rivelarsi compatibili con le regole attuali, ovvero sufficientemente
ragionevoli da determinarne una modifica ove apparissero meno ragionevoli. Sarà
proprio una forma giuridica di democrazia partecipata a consentire “la costituzione
di un corpo di cittadini attivi, con gli stessi diritti e gli stessi doveri, che
condividano lo stesso spazio pubblico e un progetto democratico comune nel
rispetto dei diritti e delle procedure giuridiche e politiche”
219
.
4 - I reati culturalmente motivati
Da qualche decennio anche la dottrina penalistica ha cominciato a
confrontarsi con le tematiche connesse alla pluralità culturale delle società
contemporanee, elaborando a tal proposito nuovi ed appositi concetti, quali
“cultural defense (o difesa culturale)” e “reato culturale (o culturalmente
orientato, o culturalmente motivato)”. I nuovi concetti di “società multiculturale”,
“cultural defense” e “reato culturalmente motivato” rischiano, tuttavia, di risultare
vaghi ed indeterminati, fintantoché non si precisano i contenuti e le condizioni
d’uso del concetto-base, intorno al quale essi ruotano, vale a dire il concetto di
cultura
227
. L’accezione descrittiva del concetto di cultura è comune alle scienze
sociali, che vi si riferiscono per indicare un insieme di credenze e pratiche (sociali,
religiose, espressive, artistiche, fatte anche di musica, balli, riti, abitudini
alimentari, eccetera…) che identificano un gruppo differenziandolo da un altro. La
cultura costituisce, cioè, il substrato delle identità collettive, il loro modo di essere,
determinato dalla lingua parlata, dalla condivisione di un territorio o di una
219
P. CONSORTI, Pluralismo religioso: reazione giuridica multiculturalista e proposta
interculturale, in www.statoechiese.it
227
F. BASILE, Società multiculturali, immigrazione e reati culturalmente motivati (comprese le
mutilazioni genitali femminili), in www.statoechiese.it
credenza, di uno stile di vita, di un modo di pensare. L’elemento religioso è
percepito come uno dei fattori che identificano i gruppi sociali
228
.
Assai ricco è il campionario di reati culturalmente motivati commessi dagli
immigrati, tratti dalle cronache giudiziarie o descritti dalla dottrina: reati in materia
di lavoro, o contro la libertà sessuale, di cui sono vittime minori non considerati tali
dal gruppo di appartenenza; reati contro la famiglia (ad esempio, matrimoni
incestuosi, poligamici o combinati ed imposti) realizzati in contesti culturali
caratterizzati da una concezione dello ius corrigendi, dell’autorità maritale o della
potestà genitoriale ben diversa da quella europea; atti di vendetta dell’onore
maschile o familiare. In nessun ordinamento penale dei Paesi europei, recettori di
flussi immigratori, è stata tuttavia introdotta una qualche norma di parte generale
specificamente pensata per i reati culturalmente motivati commessi dagli
immigrati.
A livello giurisprudenziale in Italia – al pari della giurisprudenza francese e inglese
– sono rinvenibili sia sentenze che, in relazione al singolo caso di specie, valutano
pro reo la situazione di conflitto normativo/culturale che fa da sfondo alla
commissione di un reato culturalmente motivato da parte dell’immigrato, sia
sentenze che esprimono indifferenza rispetto a tale situazione. L’esempio più
evidente di una giurisprudenza orientata a valutare pro reo la suddetta situazione di
conflitto normativo/culturale è costituito da un provvedimento del 1997 del
Tribunale di Torino con cui, su richiesta dello stesso P.M., è stato archiviato un
procedimento avviato su impulso di alcuni medici della locale A.S.L. che avevano
denunciato per lesioni personali gravissime i genitori nigeriani di una bambina che
era stata sottoposta ad un intervento di asportazione parziale delle piccole labbra e
del clitoride nel Paese d’origine. L’archiviazione è stata motivata dalla “mancanza
di condizioni per legittimare l’esercizio dell’azione penale” in ordine alla
violazione degli artt. 110, 582 e 583 c.p., dal momento che i genitori nigeriani
avrebbero inteso “sottoporre la figlia a pratiche di mutilazione genitale,
pienamente accettate dalle tradizioni locali (e parrebbe, dalle leggi) del loro
Paese”. Un altro procedimento………………….
228
P. CONSORTI, Pluralismo religioso: reazione giuridica multiculturalista e proposta
interculturale, in www.statoechiese.it