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Il Presidente del Consiglio nell'evoluzione della forma di governo

La forma di governo italiana delineata dalla Costituzione del 1948 viene comunemente ricondotta al tipo parlamentare (in quanto centrata sull’esistenza di un «rapporto di fiducia» che lega le assemblee parlamentari al Governo), ma non «puro», bensì «razionalizzato» od «a debole razionalizzazione» (per l’introduzione di regole dirette a rafforzare il Governo ed a renderlo più stabile) e «corretto» (per il riconoscimento di un complesso molto consistente di poteri - sia di freno che di stimolo - tanto in capo al Presidente della Repubblica che alla Corte costituzionale, accompagnato a livello di comunità dalla previsione di una serie di istituti di democrazia diretta - referendum ed iniziativa legislativa popolare - e dalla costruzione di un ampio sistema di autonomie politiche e territoriali.
In seno alla compagine governativa spicca la figura del Presidente del Consiglio dei ministri, quale organo che – secondo l’orientamento dottrinale prevalente – non si configura più (a differenza di quanto avveniva ai sensi del vecchio Statuto albertino) come un mero primus inter pares rispetto al collegio dei ministri, ma assume un rilievo giuridico particolare, avendogli il dettato costituzionale attribuito: a) la direzione della politica generale del Governo, di cui è responsabile; b) il mantenimento dell’unità dell’indirizzo politico e amministrativo; c) il coordinamento dell’attività dei ministri.
Nella concreta esperienza italiana risulta, tuttavia, difficile (se non impossibile) ricostruire il ruolo del Presidente del Consiglio sulla base delle sole disposizioni costituzionali e legislative, ma è necessario procedere ad una visione d’insieme della complessiva forma di governo, ponendo altresì l'attenzione su quell’insieme di fattori ora giuridici ora extra-giuridici che, tanto nella prassi statutaria che in quella repubblicana (con l’ovvia eccezione della parentesi autoritaria fascista), hanno a lungo concorso a (e, in taluni casi, tuttora siano suscettibili di) depotenziare il ruolo stesso del Presidente del Consiglio (sovente chiamato a svolgere, nel corso dei decenni, più un’attività di mediazione fra i partiti della maggioranza che quella di direzione effettiva dell’attività di governo) a prescindere dai poteri formalmente conferitegli.
Si evidenzierà, dunque, come il sistema di governo italiano sia andato man mano allontanandosi dal modello inglese di riferimento, ovvero dal c.d. «modello Westminster» (o modello maggioritario di democrazia), pur registrandosi nell’ultimo quindicennio – ed in particolar modo a partire dalla XIII legislatura – una certa inversione di tendenza, in virtù: a) del progressivo orientamento del sistema politico verso un assetto bipolare e competitivo (seppur altamente «imperfetto ed incompiuto») in cui le maggioranze sono tendenzialmente scelte a livello di corpo elettorale; b) del surplus di legittimazione democratica di cui oggi beneficia il Presidente del Consiglio in virtù dell’espediente, escogitato dalle forze politiche, di includere nel simbolo elettorale di ciascuna coalizione – a partire dalle elezioni politiche nazionali del 2001 – il nome del leader candidato alla guida della futura compagine governativa.

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9 Introduzione La forma di governo italiana delineata dalla Costituzione del 1948 viene comunemente ricondotta al tipo parlamentare (in quanto centrata sull‟esistenza di un «rapporto di fiducia» che lega le assemblee parlamentari al Governo), ma non «puro», bensì: ξ «razionalizzato» (o «a debole razionalizzazione»), per l‟introduzione di regole dirette a rafforzare il Governo ed a renderlo più stabile; ξ «corretto», per il riconoscimento di un complesso molto consistente di poteri (sia di freno che di stimolo) tanto in capo al Presidente della Repubblica che alla Corte costituzionale, accompagnato a livello di comunità dalla previsione di una serie di istituti di democrazia diretta (referendum ed iniziativa legislativa popolare) e dalla costruzione di un ampio sistema di autonomie politiche e territoriali. In seno alla compagine governativa spicca la figura del Presidente del Consiglio dei ministri, quale organo che – secondo l‟orientamento dottrinale prevalente – non si configura più (a differenza di quanto avveniva ai sensi del vecchio Statuto albertino) come un mero primus inter pares rispetto al collegio dei ministri, ma assume un rilievo giuridico particolare, avendogli il dettato costituzionale attribuito: ξ la direzione della politica generale del Governo, di cui è responsabile; ξ il mantenimento dell‟unità dell‟indirizzo politico e amministrativo; ξ il coordinamento dell‟attività dei ministri. Il presente elaborato si propone, tuttavia, di dimostrare come nella concreta esperienza italiana risulti difficile (se non impossibile) ricostruire il ruolo del Presidente del Consiglio sulla base delle sole disposizioni costituzionali e legislative, ma sia necessario procedere ad una visione d‟insieme della complessiva forma di governo (tenendo, dunque, in considerazione «quei nessi e quei condizionamenti che si instaurano tra questa figura e quel reticolato di organi e di operatori costituzionali la cui complessa trama determina la particolare fisionomia del sistema di governo vigente in Italia»)1. 1 Così G. Pitruzzella, Il Presidente del Consiglio dei Ministri e l’organizzazione del Governo, Padova, 1986, pp. 2 s., 25.

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