9
Introduzione
La forma di governo italiana delineata dalla Costituzione del 1948 viene comunemente
ricondotta al tipo parlamentare (in quanto centrata sull‟esistenza di un «rapporto di fiducia» che
lega le assemblee parlamentari al Governo), ma non «puro», bensì:
ξ «razionalizzato» (o «a debole razionalizzazione»), per l‟introduzione di regole dirette a
rafforzare il Governo ed a renderlo più stabile;
ξ «corretto», per il riconoscimento di un complesso molto consistente di poteri (sia di
freno che di stimolo) tanto in capo al Presidente della Repubblica che alla Corte
costituzionale, accompagnato a livello di comunità dalla previsione di una serie di
istituti di democrazia diretta (referendum ed iniziativa legislativa popolare) e dalla
costruzione di un ampio sistema di autonomie politiche e territoriali.
In seno alla compagine governativa spicca la figura del Presidente del Consiglio dei ministri,
quale organo che – secondo l‟orientamento dottrinale prevalente – non si configura più (a
differenza di quanto avveniva ai sensi del vecchio Statuto albertino) come un mero primus inter
pares rispetto al collegio dei ministri, ma assume un rilievo giuridico particolare, avendogli il
dettato costituzionale attribuito:
ξ la direzione della politica generale del Governo, di cui è responsabile;
ξ il mantenimento dell‟unità dell‟indirizzo politico e amministrativo;
ξ il coordinamento dell‟attività dei ministri.
Il presente elaborato si propone, tuttavia, di dimostrare come nella concreta esperienza italiana
risulti difficile (se non impossibile) ricostruire il ruolo del Presidente del Consiglio sulla base
delle sole disposizioni costituzionali e legislative, ma sia necessario procedere ad una visione
d‟insieme della complessiva forma di governo (tenendo, dunque, in considerazione «quei nessi
e quei condizionamenti che si instaurano tra questa figura e quel reticolato di organi e di
operatori costituzionali la cui complessa trama determina la particolare fisionomia del sistema di
governo vigente in Italia»)1.
1
Così G. Pitruzzella, Il Presidente del Consiglio dei Ministri e l’organizzazione del Governo, Padova,
1986, pp. 2 s., 25.
10
Allo stesso tempo, si porrà l‟attenzione su quell‟insieme di fattori ora giuridici2, ora extra-
giuridici3 che, tanto nella prassi statutaria che in quella repubblicana (con l‟ovvia eccezione
della parentesi autoritaria fascista), hanno a lungo concorso a (e, in taluni casi, tuttora siano
suscettibili di) depotenziare il ruolo stesso del Presidente del Consiglio (sovente chiamato a
svolgere, nel corso dei decenni, più un‟attività di mediazione fra i partiti della maggioranza che
quella di direzione effettiva dell‟attività di governo) a prescindere dai poteri formalmente
conferitegli.
Si evidenzierà, dunque, come il sistema di governo italiano sia andato man mano allontanandosi
dal modello inglese di riferimento, ovvero dal c.d. «modello Westminster» (o modello
maggioritario di democrazia)4, pur registrandosi nell‟ultimo quindicennio – ed in particolar
modo a partire dalla XIII legislatura – una certa inversione di tendenza, in virtù:
ξ del progressivo orientamento del sistema politico verso un assetto bipolare e
competitivo (seppur altamente «imperfetto ed incompiuto») in cui le maggioranze sono
tendenzialmente scelte a livello di corpo elettorale;
ξ del surplus di legittimazione democratica di cui oggi beneficia il Presidente del
Consiglio in virtù dell‟espediente, escogitato dalle forze politiche, di includere nel
simbolo elettorale di ciascuna coalizione – a partire dalle elezioni politiche nazionali del
2001 – il nome del leader candidato alla guida della futura compagine governativa.
Il primo capitolo ripercorrerà le principali vicende storico-giuridiche che, a cavallo tra il 1848
(anno di promulgazione dello Statuto albertino) ed il 1948 (anno di promulgazione della vigente
Costituzione repubblicana), hanno visto: a) il graduale passaggio da una monarchia
costituzionale pura ad una monarchia tendenzialmente parlamentare; b) i tentativi di
2
… quali: a) l‟introduzione di un sistema elettorale fondato sulla rappresentanza proporzionale che
favorisce la frammentazione partitica; b) l‟assenza di un potere sostanziale di revoca dei ministri in capo
al Presidente del Consiglio; c) la proliferazione dei vertici interpartitici e del «sistema dei comitati», con
conseguente scadimento del Consiglio dei ministri ad organo di registrazione ed approvazione di scelte
adottate in altre sedi; d) la mancata approvazione – fino al 1988 – della legge sull‟ordinamento della
presidenza del Consiglio.
3
… quali: a) l‟avvento dei partiti di massa; b) la mancata affermazione di un sistema bipartitico, che
rende necessaria la formazione di governi di coalizione; c) la mancata coincidenza tra leadership di
partito e premiership governativa; d) l‟atteggiarsi del Ministro a «rappresentante» all‟interno del Governo
del rispettivo partito di appartenenza o della propria corrente di riferimento.
4
… nell‟ambito del quale il Primo Ministro – la figura più importante del Cabinet – si è sempre posto
come un primus sopra ineguali, tanto che una delle definizioni più pregnanti del governo inglese è quella
di «government by party leaders in Cabinet»: così G. Cox, The Efficient Secret. The Cabinet and the
Development of Political Parties, in Victorian England, 1987, p. 39, cit. da O. Massari, I poteri del Primo
Ministro inglese: verso la presidenzializzazione?, in <http://www.astrid-online.it/Dossier--R3/Studi-
rice/MASSARI-Poteri-primo-ministro-ingles.pdf>, p. 7 s.
11
«normativizzazione» della figura del Presidente del Consiglio5; c) l‟avvento al potere del
fascismo e la svolta autoritaria del regime, contraddistinta dalla creazione della figura del «Capo
del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato»6 e dalla tacita abrogazione del rapporto
fiduciario tra Governo e Parlamento7; d) la caduta del fascismo, l‟avvio del «regime
costituzionale provvisorio» e la proclamazione della Repubblica italiana (per via referendaria);
e) i lavori dell‟Assemblea costituente, cui si deve l‟elaborazione e la successiva approvazione
della Costituzione vigente8.
Il secondo capitolo tratterà la «materia» prettamente costituzionale, ponendo inizialmente
l‟accento sulla regolamentazione – in gran parte demandata ad un vasto complesso di regole non
scritte (ovvero alla «prassi», alle «consuetudini», alle «convenzioni» ed alle «norme di
correttezza costituzionale») – delle fasi del procedimento di formazione del Governo9 che
precedono la nomina ed il giuramento del Presidente del Consiglio e dei ministri nelle mani del
Capo dello Stato (artt. 92-93 Cost.).
L‟attenzione si sposterà, poi, sulla descrizione di quelli che possono essere considerati i pilastri
fondamentali del nostro sistema di governo parlamentare, vale a dire: a) la razionalizzazione del
rapporto fiduciario (art. 94 Cost.), attuata mediante l‟introduzione di regole dirette a rafforzare il
Governo ed a renderlo più stabile, ponendolo al riparo da maggioranze occasionali ad esso
contrarie10; b) il potere di scioglimento delle Camere, ossia il potere di porre anticipatamente
5
… evidentemente diretti ad assicurargli in seno al Consiglio dei ministri una preminenza che, nel
silenzio dello Statuto, il sistema politico (anche perché non impostato su chiari moduli bipartitici) non
sembrava altrimenti in grado di garantirgli.
6
… in luogo di quel primus inter pares che era il Presidente del Consiglio e, quindi, con l‟introduzione di
un vero e proprio vincolo di subordinazione gerarchica dei singoli ministri nei confronti del Capo del
Governo e l‟abrogazione – o svuotamento – dei principi della solidarietà e della collegialità ministeriale.
7
… con la conseguente estinzione del governo parlamentare a favore di un regime dalle caratteristiche
quanto mai autoritarie, qualificato dalla migliore dottrina come «regime del Capo del Governo».
8
… e, nello specifico, delle disposizioni concernenti tanto la composizione ed il procedimento di
formazione del Governo (attuale art. 92 Cost.), quanto le attribuzioni del Presidente del Consiglio, la sua
responsabilità e quella dei ministri nonché l‟ordinamento della presidenza del Consiglio dei ministri e dei
ministeri (attuale art. 95 Cost.).
9
… ossia: a) le consultazioni del Capo dello Stato; b) l‟eventuale conferimento di un «mandato
esplorativo» e/o di un «preincarico»; c) il conferimento dell‟incarico; d) l‟attività dell‟incaricato diretta ad
accertare le possibilità concrete di stipulare un «patto di coalizione» avente ad oggetto la scelta della
«formula politica» (cioè l‟identificazione delle forze politiche disponibili a partecipare al nuovo Governo
od alla nuova maggioranza) e la definizione della c.d. «piattaforma programmatica» (intesa come
predeterminazione delle «cose da fare» da parte del nuovo Governo), nonché la distribuzione dei
portafogli ministeriali tra i rispettivi partners della costituenda coalizione.
10
Si fa riferimento: a) alla concessione della fiducia d‟investitura al Governo da parte di ciascun ramo del
Parlamento; b) alle ipotesi di presentazione e discussione di una mozione di sfiducia al Governo e/o
individuale; c) all‟ipotesi di posizione di una questione di fiducia; d) alle ipotesi di crisi di governo (di
natura parlamentare o extra-parlamentare); e) alle ipotesi di rimpasto della compagine governativa; f) alle
ipotesi di assunzione ad interim della titolarità di un dicastero rimasto eventualmente vacante.
12
fine alla vita di ciascuna assemblea parlamentare e di disporre nuove elezioni prima della
scadenza del termine normale della legislatura11.
Un‟ampia sezione verrà, infine, dedicata all‟analisi di quell‟art. 95 Cost. (ai sensi del quale «Il
Presidente del Consiglio dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene
l‟unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l‟attività dei
ministri») che, in linea di principio, dovrebbe essere la norma fondamentale che regola le
relazioni fra gli organi essenziali del Governo (per non parlare delle rispettive funzioni e
responsabilità), ma che di fatto presenta – secondo opinione diffusa – una formulazione
ambivalente, controversa, oscura e di scarsa utilità interpretativa12.
Il terzo capitolo sarà incentrato sull‟analisi di quei fatti e di quegli atti formali che, nella
concreta esperienza repubblicana, hanno determinato il funzionamento della forma di governo
italiana dall‟entrata in vigore della Costituzione ad oggi, con evidenti riflessi sull‟effettivo
atteggiarsi delle competenze costituzionali del Presidente del Consiglio.
Si procederà, in particolare, alla distinzione di quattro diversi periodi succedutisi dall‟entrata in
vigore della Carta costituzionale (1° gennaio 1948) ad oggi, a cominciare dalla c.d. fase
«degasperiana» coincidente con la I legislatura repubblicana (1948-1953), nel corso della quale
il sistema non solo mostrò la tendenza ad un funzionamento bipolare13, ma registrò anche la
presenza di uno dei tratti caratteristici del regime bipartitico, ossia la coincidenza tra
premiership di governo e leadership di partito nella persona di De Gasperi14.
L‟attenzione si sposterà, poi, sulla lunga fase – a cavallo tra la II e l‟XI legislatura (1953-1992)
– rimasta scolpita nella definizione di Leopoldo Elia di governo «a multipartitismo estremo e
polarizzato», durante la quale non solo il modello parlamentare italiano funzionò in termini
11
… ricondotto dall‟art. 88 Cost. alla titolarità – quanto meno formale – del Presidente della Repubblica,
ma alternativamente qualificato dalla dottrina: a) come potere sostanzialmente «governativo» (secondo gli
schemi del sistema parlamentare classico); b) come potere non solo formalmente ma anche
sostanzialmente «presidenziale»; c) come potere sostanzialmente «complesso» o «duumvirale».
12
Non a caso la dottrina, chiamata a definire l‟assetto delle relazioni che intercorrono tra gli organi
componenti la compagine governativa, si è sostanzialmente divisa: a) tra chi ritiene di poter comunque
ravvisare, nel testo costituzionale, taluni importanti indici rilevatori di una preminenza del principio
«monocratico» o «presidenzialistico» rispetto a quello «collegiale»; b) tra chi, all‟estremo opposto, arriva
a dedurre l‟accoglimento nel nostro ordinamento del principio «collegiale» rispetto a quello
«monocratico»; c) tra chi (ed è l‟orientamento prevalente) ritiene, infine, che la Costituzione vigente
abbia sostanzialmente adottato un sistema misto o di compromesso tra il principio di «monocraticità»
(rappresentato dalle particolari competenze assegnate al Presidente del Consiglio) ed il principio di
«collegialità» (imperniato, invece, nella funzione deliberativa preminente riconosciuta all‟organo
consiliare).
13
… grazie ai risultati elettorali del 18 aprile 1948 che videro contrapporsi – da un lato – la Democrazia
cristiana con il 48,5% dei voti e – dall‟altro – il Fronte popolare (un‟alleanza tra Partito comunista
italiano e Partito socialista italiano) con il 31% dei voti.
14
… protrattasi senza soluzione di continuità (e senza neppure grossi contrasti) fino al termine della
legislatura stessa, così da garantire una buona – anche se non ottima – stabilità governativa ed una
rilevante capacità decisionale del circuito Governo-maggioranza.
13
senz‟altro anomali o, comunque, sconosciuti all‟esperienza classica dei governi parlamentari15,
ma anche il modello di organizzazione del Governo subì delle deviazioni rispetto al disegno
costituzionale originario, affermandosi nella prassi un modello diverso, né «monocratico» né
«collegiale» ma «a direzione plurima dissociata»: ossia, un modello in cui la funzione di
governo era esercitata – più che dal Presidente e dal Consiglio dei ministri – direttamente dai
singoli ministri (il c.d. «governo per ministeri»)16.
Successivamente, si porrà l‟accento sulla fase – coincidente con le due legislature «brevi» (la XI
e la XII) – a cavallo tra il 1992 ed il 1996, segnata: a) dal crollo dell‟intero sistema partitico nato
nel secondo dopoguerra; b) dalla formazione di governi «di transizione» a forte componente
«tecnica»17 ed a «geometria variabile»18; c) dall‟approvazione del Regolamento interno del
Consiglio dei ministri (adottato con d.p.c.m. 10 novembre 1993)19 e d) dall‟approvazione di una
nuova riforma elettorale introduttiva, tanto per l‟elezione dei membri della Camera che per
quelli del Senato, di un sistema misto (in luogo di un sistema proporzionale pressoché puro) con
una forte componente maggioritaria (75%) «corretta» da una quota proporzionale (25%)20.
15
… per la presenza sulla scena: a) di molteplici forze politiche (per tutto il periodo post-bellico si è
avuta, infatti, la presenza costante di sette-otto partiti) costrette ad allearsi fra loro per dar vita a governi
di coalizione; b) di partiti estremi (Pci, Msi e, almeno inizialmente, Psi) portatori di ideologie ritenute
«anti-sistema» e, dunque, permanentemente esclusi dall‟area di governo e dalla gestione dell‟indirizzo
politico governativo (la c.d. conventio ad excludendum); c) di un partito di maggioranza relativa (la Dc)
che, distanziandosi dagli altri per la sua forza elettorale, costituiva di fatto il perno ineliminabile di ogni
coalizione (da qui la presenza nel nostro sistema di governo, per oltre trent‟anni, di quell‟ulteriore regola
convenzionale che riservava la carica di Presidente del Consiglio ad un‟esponente del partito
democristiano).
16
In questo contesto: a) ciascun Ministro si atteggiava non solo a vertice di un ramo dell‟amministrazione
statale, ma anche a «rappresentante» all‟interno del Governo del rispettivo partito di appartenenza o,
come accadeva il più delle volte, della propria corrente di riferimento; b) il Presidente del Consiglio era
costretto ad agire, più che da Capo del Governo, da organo «mediatore» e garante del rispetto del patto di
coalizione, di fatto chiamato a comporre i diversi ed eterogenei indirizzi politici espressi dai vari gruppi di
ministri e ad evitare che i loro eventuali contrasti arrivassero al punto di determinare le dimissioni dei
dissenzienti rimasti in minoranza o, addirittura, la rottura della coalizione di governo; c) venne meno
(fatta salva la parentesi delle c.d. presidenze «laiche» nella prima metà degli anni Ottanta) la breve
consuetudine della coincidenza tra la leadership di partito e la premiership di governo, ovvero l‟unione
personale tra la carica di segretario politico del partito e quella di Presidente del Consiglio; d) nessuna
legge concernente la disciplina organizzativa della presidenza del Consiglio, potenzialmente in grado di
rafforzare (attraverso la razionalizzazione dell‟attività di promozione e di coordinamento) il ruolo del
Presidente del Consiglio, riuscì a completare il suo iter legislativo se non nel 1988, con l‟approvazione
della legge 23 agosto 1988, n. 400; e) il Consiglio dei ministri, sostanzialmente non più in grado di
esprimere iniziative o di elaborare indirizzi propri, scade ad organo di mera registrazione ed approvazione
di scelte adottate in altre sedi (vertici interpartitici e/o comitati di ministri).
17
… cioè formati da persone non strettamente legate ai partiti.
18
… in quanto destinati a ricercare, di volta in volta, una maggioranza parlamentare disposta ad
approvare i singoli punti del programma.
19
… che stabilendo – in combinato disposto con la legge 23 agosto 1988, n. 400 – un asse privilegiato tra
Presidente del Consiglio (posto al centro di tutti i processi decisionali) e Consiglio dei ministri ha, di
fatto, ridotto quei margini di manovra dei quali il Ministro uti singulus (quanto al disbrigo degli affari di
propria competenza) disponeva precedentemente in amplissima misura.
20
… che ha favorito l‟apparizione ed il consolidamento di un soggetto nuovo – la coalizione – che,
diversamente dall‟omonimo fenomeno noto agli osservatori del sistema politico italiano anteriore al 1994,
14
L‟analisi verterà, infine, sulla recente fase che va dalle elezioni politiche del 21 aprile 1996
(avvio della XIII legislatura) alle elezioni politiche del 13-14 aprile 2008 (avvio dell‟attuale
XVI legislatura), caratterizzatasi: a) per il progressivo orientamento del sistema politico verso
un assetto tendenzialmente bipolare21 (seppur altamente «imperfetto ed incompiuto»)22 e b) per
il contestuale rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio, allo stato attuale non più
qualificabile come un mero primus inter pares, né tantomeno come un primus solus (secondo i
moduli del governo «primoministeriale» o «presidenziale» britannico), bensì come un primus
supra pares sul modello di gran parte delle esperienze parlamentari straniere23.
ha smesso di essere un semplice accordo post-elettorale (tra partiti del tutto «sovrani») funzionale solo al
sostegno di singoli governi e si è trasformato in un vero e proprio soggetto che si forma prima della
campagna elettorale (per raccogliere il consenso) e che è distinto dai partiti, anche se risultante da essi.
21
… così consentendo agli elettori di dividersi – secondo schemi europei – in schieramenti politici
alternativi collocati sull‟asse destra-sinistra, ognuno dei quali con un leader candidato alla guida del
Governo.
22
… in primis, perché tanto il sistema elettorale (prevalentemente maggioritario) del 1993 quanto quello
(proporzionale con soglie di sbarramento e premi di maggioranza) introdotto nel 2005 hanno mancato
l‟obiettivo della riduzione del numero dei partiti rappresentati in Parlamento, sicché i nostri continuano ad
essere – di norma – governi di coalizione formati da un elevato numero di partiti e caratterizzati da un alto
grado di eterogeneità e di litigiosità, che va ad incidere sulla stabilità del Governo complicandone ed
indebolendone l‟attività complessiva. In secondo luogo, perché resta notevole la distanza ideale tra le due
coalizioni alternative e la conseguente mancanza di legittimazione reciproca a governare, che è il
presupposto indispensabile di tutte le democrazie maggioritarie fondate sull‟alternanza, in quanto
individua un corpo di principi e di valori comuni che non verranno messi in discussione, chiunque si trovi
a governare. Un drastico calo di quella frammentazione partitica che ha attraversato il bipolarismo
italiano del decennio 1996-2006 si è avuta, invero, nelle recenti elezioni politiche del 13-14 aprile 2008,
dalle quali è uscito il Parlamento più compatto della storia repubblicana con appena cinque partiti
rappresentati, una drastica riduzione del numero dei gruppi parlamentari ed il ritorno di partiti di grandi
dimensioni (Pdl e Pd) la cui presenza modifica profondamente il sistema partitico, riportandone alcune
dimensioni salienti ai valori di metà anni Settanta. Ora, è certamente presto per dire che il tendenziale
bipartitismo emerso dal voto di aprile 2008 possa reggere e che in futuro avremo, in ogni caso, un
bipolarismo meno «imperfetto»; qualora, tuttavia, una simile evoluzione divenisse un fattore consolidato,
bisognerà verificare se ed in quale misura la stessa andrà ad incidere sull‟organizzazione del sistema
politico a livello locale, che finora ha mantenuto intatti i caratteri delle aggregazioni «vaste» di coalizioni,
ma che potrebbe risentire della separazione a livello parlamentare tra le forze politiche che le
compongono.
23
… soprattutto per effetto del surplus di legittimazione democratica derivantegli dalla scelta,
liberamente compiuta dalle due principali coalizioni avversarie, di indicare in via preventiva nel proprio
simbolo elettorale – a partire dalle elezioni politiche nazionali del 2001 – il nome del soggetto ritenuto più
idoneo a ricoprire la futura carica presidenziale. L‟esponente della maggioranza che viene eletto tende,
infatti, ad assumere (almeno nella fase iniziale della legislatura) un ruolo effettivo di «Primo Ministro»
dal momento che: a) è stato uno degli artefici dell‟accordo di coalizione elettorale; b) contribuisce alla
stesura del programma di governo che la coalizione intende attuare; c) contribuisce alla selezione dei
soggetti che andranno a comporre la futura compagine governativa; d) è stato individuato dai partiti della
coalizione, già in via preventiva (attraverso elezioni primarie o per cooptazione), quale soggetto più
idoneo a ricoprire la carica di Presidente del Consiglio; e) è stato presentato agli elettori come capo della
coalizione; f) una sua eventuale sostituzione è resa più difficile e non priva di costi politici imprevedibili,
tra i quali non è da escludere la pratica impossibilità di formare un nuovo Governo con conseguente
scioglimento anticipato delle Camere. L‟effettivo funzionamento del Governo e della maggioranza
nell‟era del bipolarismo «imperfetto» sembra, dunque, costituire l‟inveramento storico di quella «terza
via» (tra il modello del regio decreto 14 novembre 1901, n. 466 – c.d. «decreto Zanardelli» – e quello
della legge 24 dicembre 1925, n. 2263) che il costituente – secondo l‟orientamento dottrinale prevalente –
avrebbe prefigurato redigendo l‟art. 95 Cost.
15
Il quarto capitolo affronterà il delicato tema delle riforme istituzionali, focalizzando in
particolare la propria attenzione: a) sull‟attività dei «comitati ristretti» istituiti presso Camera e
Senato nel settembre del 198224; b) sui lavori della prima Commissione Bicamerale per le
riforme istituzionali (nota come «Commissione Bozzi»)25; c) sulla corposa ricerca condotta – tra
il 1980 ed il 1983 – da un pool di esperti di diritto costituzionale ed amministrativo (c.d.
«Gruppo di Milano»)26; d) sui lavori della seconda Commissione Bicamerale per le riforme
istituzionali (nota come «Commissione De Mita-Iotti»)27; e) sulle due ipotesi di riforma
elaborate dal «Comitato di studio» (formato da sedici professori universitari e presieduto dal
senatore leghista Francesco Speroni) istituito con d.p.c.m. 14 luglio 199428; f) sul tentativo del
Presidente incaricato Antonio Maccanico – nel gennaio-febbraio 1996 – di costituire una sorta
di «governo di unità nazionale» che, sorretto da una larga base parlamentare, affrontasse il tema
delle riforme istituzionali (c.d. «lodo Maccanico»); g) sui lavori della terza Commissione
Bicamerale per le riforme istituzionali (nota come «Commissione D‟Alema»)29.
24
… conclusasi con l‟elaborazione di due articolate relazioni dalle quali poteva evincersi – da un lato –
un orientamento unanime per il mantenimento del sistema parlamentare e – dall‟altro – la necessità di
rafforzare il ruolo del Presidente del Consiglio ed i suoi poteri di coordinamento.
25
… conclusisi (in data 29 gennaio 1985) con la votazione a maggioranza di una relazione che, pur
mantenendo la forma di governo parlamentare ed il necessario rapporto fiduciario con il Parlamento,
prevedeva un rafforzamento dei poteri di indirizzo e di coordinamento del Presidente del Consiglio e
l‟adozione di strumenti che tendessero alla formazione di «governi di legislatura».
26
… conclusasi con l‟elaborazione di un organico progetto di riforma costituzionale che prevedeva –
nelle sue linee essenziali – la realizzazione del «governo di legislatura», in virtù: a) dell‟elezione popolare
diretta del Premier contestualmente ad un‟Assemblea legislativa eletta con un sistema misto sul modello
tedesco; b) della decadenza di entrambi gli organi in caso di interruzione – per iniziativa dell‟uno o
dell‟altra – del rapporto fiduciario intercorrente tra di essi, in una specie di simbiosi sinteticamente
espressa dal brocardo «aut simul stabunt, aut simul cadent».
27
… conclusisi (in data 11 gennaio 1994) con la presentazione alle Camere di un progetto conclusivo di
revisione della parte seconda della Costituzione che, prendendo atto in maniera definitiva della crisi
irreversibile di quel modello di governo – ereditato dal periodo statutario – fondato su collegialità,
ministerialismo e preminenza politica del Premier, individuava il rimedio (non tanto nel modello
Westminster, quanto) nel modello tedesco del «cancellierato». Di questo mutuava, infatti, tanto l‟elezione
del Primo Ministro ad opera del Parlamento (a Camere riunite ed a maggioranza assoluta dei
componenti), quanto l‟istituto della «sfiducia costruttiva» (nel senso che il Parlamento avrebbe potuto
revocare la fiducia al Primo Ministro solo mediante l‟approvazione – a maggioranza dei componenti – di
una mozione motivata proposta da almeno un terzo dei suoi membri e contenente l‟indicazione del
successore), nonché l‟attribuzione esclusiva al Primo Ministro del potere di nomina e di revoca dei
ministri, ma non quel potere che qualifica in senso fortemente governativo la forma di governo della
Repubblica Federale Tedesca, cioè il potere di scioglimento delle Camere.
28
… entrambe allontanatesi notevolmente dalla scelta – operata in sede costituente – di un modello
parlamentare «razionalizzato», dal momento che: a) la prima prevedeva l‟elezione diretta del Premier
(peraltro titolare del potere di nomina e di revoca dei ministri) contestualmente all‟elezione della Camera
dei deputati (c.d. «progetto Galeotti»), mentre b) la seconda prospettava una forma di governo di tipo
semipresidenziale, ricalcando ampiamente il modello gollista dalla V Repubblica francese (c.d. «progetto
Ciaurro»).
29
… conclusisi – nel novembre 1997 – con l‟approvazione di un testo favorevole all‟introduzione di un
semipresidenzialismo che, nelle intenzioni degli autori, avrebbe dovuto indubbiamente rafforzare la
stabilità del Governo, nonché relegare il Presidente della Repubblica (eletto direttamente dal popolo) a
recitare fondamentalmente un ruolo di «garanzia», ma di fatto virtualmente sbilanciato a favore di
16
Il quinto ed ultimo capitolo del presente elaborato offrirà, infine, un‟ampia descrizione
dell‟ulteriore progetto di riforma dell‟intera parte seconda della Costituzione elaborato – in via
unilaterale dal Governo – nel corso della XIV legislatura, successivamente sottoposto agli
elettori (avendo mancato la maggioranza di centro-destra il quorum dei due terzi espressamente
richiesto dall‟art. 138 Cost.) e da questi bocciato in occasione del referendum costituzionale del
25-26 giugno 2006.
Si evidenzierà, in particolare, come questo progetto abbia provocato una levata di scudi in gran
parte della dottrina, accentrandosi nelle mani del titolare dell‟ufficio di Primo Ministro una
somma di poteri30 che non trova riscontro in nessuno Stato retto oggi dalla forma di governo
parlamentare (si è parlato, non a caso, di «premierato assoluto») e che, inevitabilmente, andava
ad incidere negativamente sul sistema dei checks and balances, ovvero sui poteri degli organi
costituzionali neutrali e di garanzia quali il Presidente della Repubblica (qualificato sì come
«garante della Costituzione», ma contemporaneamente privato di tutti i mezzi e gli strumenti
necessari ad evitare prevaricazioni e sviamenti di potere) e la Corte costituzionale (di cui
aumentava il rischio di «politicizzazione» grazie all‟incremento del numero dei giudici di
derivazione parlamentare).
quest‟ultimo (posto oltre misura al centro del sistema sia nei riguardi del Governo che nei confronti del
Parlamento) e tale da configurare un semipresidenzialismo «alla francese» se non più forte.
30
… quali: a) la nomina e la revoca dei ministri in via esclusiva; b) la «determinazione» della politica
generale del Governo e, soprattutto, c) la facoltà permanente di richiedere al Presidente della Repubblica
– assumendosene l‟esclusiva responsabilità – lo scioglimento delle Camere a prescindere da ogni
manifestazione di sfiducia, nonché d) la facoltà di porre la questione di fiducia su un disegno di legge per
farlo approvare dalla Camera in via prioritaria e senza emendamenti, con l‟obbligo di rassegnare le
dimissioni in caso di voto contrario, a loro volta seguite dal decreto di scioglimento della Camera stessa
da parte del Capo dello Stato salvo l‟intervento della sfiducia costruttiva, ovvero di un voto compatto
della medesima maggioranza emersa dalle elezioni in favore di un nuovo Primo Ministro.
17
Capitolo 1
Il quadro storico
Sommario: 1.1. Lo Statuto albertino: dal governo costituzionale puro al regime parlamentare. - 1.1.1. Il
mancato riconoscimento giuridico del Presidente del Consiglio. – 1.1.2. I tentativi di «normativizzazione»
della figura del Presidente del Consiglio. – 1.1.3. I rapporti «endogovernativi»: le ipotesi della dottrina. –
1.2. L‟avvento al potere del fascismo e la svolta autoritaria del regime. – 1.2.1. La posizione giuridica del
«Capo del Governo Primo Ministro Segretario di Stato». – 1.2.2. La forma di governo nel «ventennio»
fascista. – 1.3. La caduta del fascismo ed il «regime costituzionale provvisorio» – 1.4. La proclamazione
della Repubblica italiana ed i lavori dell‟Assemblea costituente. – 1.4.1. La «Commissione dei 75» e
l‟articolato finale del progetto di costituzione. – 1.4.2. La discussione e l‟approvazione finale dell‟art. 86
(attuale art. 92 Cost.). – 1.4.3. La discussione e l‟approvazione finale dell‟art. 89 (attuale art. 95 Cost.).
1.1. Lo Statuto albertino: dal governo costituzionale puro al regime parlamentare
Lo Statuto albertino, concesso dal Re Carlo Alberto di Savoia al popolo del Regno di Sardegna
e del Piemonte il 4 marzo 1848 (sul modello delle carte costituzionali francesi del 4 giugno
1814 e del 14 agosto 1830, nonché di quella belga del 7 febbraio 1831)31, si presentava con i
caratteri di una Costituzione:
ξ breve, in quanto composta di 84 articoli;
ξ flessibile, in quanto disponibile ad essere modificata senza necessità di attivare speciali
procedure, a mezzo del procedimento legislativo ordinario;
ξ ottriata (octroyé), in quanto non deliberata da una assemblea rappresentativa eletta dal
popolo, ma concessa direttamente dal sovrano ai suoi sudditi32.
Lo Statuto non costituì, quindi, il frutto di un accordo fra il monarca ed un organo più o meno
ampiamente rappresentativo del popolo (come nel caso della Carta francese del 1830, votata
dalle Camere ed accettata da Luigi Filippo, che ad essa giurò fedeltà ricevendo il titolo di Re),
ma rappresentò un tipico caso di Costituzione concessa unilateralmente da un sovrano che,
valendosi appieno del suo potere come potere «costituente», decise di auto-limitare le proprie
attribuzioni regie, rinunciando irrevocabilmente alla propria autorità esclusiva e contemperando
il principio monarchico con quello rappresentativo33.
31
A. Tesauro, Manuale di diritto costituzionale, Napoli, 1958, p. 181.
32
F. Teresi, Le istituzioni repubblicane: manuale di diritto costituzionale, IV ed., Torino, 2007, p. 34.
33
A. Giovannelli, Assemblea Costituente, in Encicl. giur. Treccani, III, Roma, 1988, p. 4.
18
Lo Statuto prevedeva altresì l‟introduzione di una «monarchia costituzionale pura»34, retta da un
governo monarchico-rappresentativo (art. 2) nell‟ambito del quale al Re solo, Capo supremo
dello Stato, apparteneva il potere esecutivo (art. 5), esercitato per mezzo dei ministri, da lui
nominati e revocati (art. 65) e responsabili di tutti gli atti amministrativi del sovrano (art. 67)35.
La lettera dello Statuto accettava quindi, pur non senza ambiguità, il principio cardine (se non
del governo parlamentare, almeno) del «governo di gabinetto», ossia la responsabilità
ministeriale, facendo dei ministri non dei semplici collaboratori del Re, ma organi investiti di un
proprio potere, in questo seguendo la corrente dei tempi che aveva portato ad affermare lo stesso
principio nella coeva Costituzione francese del 183036.
L‟art. 67 non specificava, tuttavia, verso chi fosse operante la responsabilità dei ministri, né in
quali forme potesse venire attivata: lacuna – questa – che dava adito a due ricostruzioni assai
diverse, virtualmente incompatibili l‟una con l‟altra.
Da un lato, infatti, riusciva naturale pensare che i ministri rispondessero del loro operato verso il
Re, sulla base del rapporto fiduciario personale per cui l‟art. 65 li poneva alle dirette dipendenze
del sovrano stesso; e, coerentemente, se ne desumeva che la tipica sanzione della responsabilità
ministeriale consistesse nella revoca da parte della Corona.
D‟altro lato, però, tale responsabilità si prestava a venir configurata, dato il carattere
rappresentativo dell‟intero sistema espressamente previsto dall‟art. 2 dello Statuto, anche nei
confronti della Nazione e dei suoi rappresentanti: tanto più che lo Statuto stesso aggiungeva
espressamente che «le leggi e gli atti del Governo non hanno vigore se non sono muniti della
firma di un Ministro» (art. 67, comma 2).
34
Secondo un‟opinione diffusa tanto nella remota dottrina (cfr. G. Arangio Ruiz, Storia costituzionale del
Regno d’Italia, 1848-1898, Firenze, 1898, p. 4; F. Guarneri, Il Capo del Governo nel nuovo diritto
pubblico italiano, Milano, 1932, p. 96 s.; A. Bargone, Governo, in Nov. dig. it., VI, 1938, p. 457; A.
Amorth, Vicende costituzionali italiane, dallo Statuto Albertino alla Costituzione repubblicana, in E.
Rota (a cura di), Questioni di storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia, Milano, 1951, p. 785; S.
Bartholini, La promulgazione, Milano, 1955, p. 848 ss.) che in quella più recente (cfr. C. Chimenti,
Introduzione alla forma di governo italiana, Rimini, 1985, p. 204; U. Allegretti, Profilo di storia
costituzionale italiana, Bologna, 1989, p. 435; M. Olivetti, La questione di fiducia nel sistema
parlamentare italiano, Milano, 1996, p. 48). Meno naturale sarebbe stato, infatti, un passaggio diretto
«dalla monarchia assoluta a quella parlamentare, saltando la fase intermedia del Re che regna e governa,
sia pure con il concorso del Parlamento»: così L. Paladin, Diritto costituzionale, III ed., Padova, 1998, p.
75. Isolata risulta, quindi, essere la dottrina che, invitando alla cautela nel parlare «di una forma
costituzionale pura, per non essersi, questa, mai avverata» (così E. Sailis, Considerazioni e note sul
Consiglio dei Ministri italiano, in Studi Sassaresi, 1936, p. 111) arriva addirittura a sostenere che «la
monarchia parlamentare, nella sua forma pura, balzò fuori dalla lettera e da tutto lo spirito» dello Statuto
albertino, per poi essere confermata dai patti plebiscitari (così T. Marchi, Lo Statuto Albertino ed il suo
sviluppo storico, in Riv. dir. pubbl., 1926, n. 1, pp. 199-202).
35
A. Rapisardi Mirabelli, Elementi di diritto pubblico generale ed introduzione al diritto costituzionale
italiano, Roma, 1935, p. 238 s.
36
S. Merlini, Il Governo, in G. Amato, A. Barbera (a cura di), Manuale di diritto pubblico, V ed., II,
Bologna, 1997, p. 177.
19
Vero è che l‟istituto della controfirma ministeriale può avere una sua ragion d‟essere anche in
un regime di monarchia costituzionale, nell‟ambito del quale esso serve ad attestare che l‟atto
controfirmato proviene legittimamente dal Re e che il Ministro si impegna a farlo eseguire
dall‟apparato statale sottostante, sicché il controfirmante copre solo formalmente la
responsabilità politica del Re nei confronti delle Camere e della Nazione, senza che di qui derivi
un vero e proprio rapporto di fiducia fra l‟Esecutivo ed il Legislativo.
L‟art. 67, tuttavia, per la sua stessa laconicità non escludeva a priori una diretta responsabilità
dei ministri verso il Parlamento, tale che fra gli stessi dovesse intercorrere una relazione
fiduciaria; e questo – appunto – fu l‟appiglio formale per giustificare l‟instaurazione di una
monarchia tendenzialmente parlamentare37.
Ben presto, infatti, il modello originariamente delineato dallo Statuto subì un importante
mutamento collegato all‟instaurazione, in via di prassi, del principio (proprio della forma di
governo parlamentare) secondo cui il gabinetto, per poter operare, deve godere dell‟appoggio di
una maggioranza parlamentare: appoggio che si concreta nella c.d. «fiducia», cioè in una
manifesta accettazione preventiva della composizione del Governo e della sua linea politica38.
La trasformazione della monarchia sabauda dalla forma rigidamente costituzionale a quella
parlamentare-rappresentativa (non prevista dalla lettera dello Statuto e, quindi, fortemente
innovativa della Costituzione)39 fu, secondo un‟opinione ampiamente diffusa tra i giuristi,
pressoché immediata o, comunque, di poco successiva all‟emanazione dello Statuto stesso40:
nello stesso 1848, infatti, ben tre gabinetti (su cinque) nominati dal Re dopo il 4 marzo si
dimisero per contrasti con la Camera dei deputati41.
Tale evento viene fatto coincidere, peraltro, ora con la stessa entrata in vigore dello Statuto e le
contemporanee dimissioni dei ministri in carica a quel momento42 (che, con tale gesto,
37
L. Paladin, Diritto costituzionale, op. cit., p. 77 s.
38
P. Colombo, Governo, Bologna, 2003, p. 126 s.
39
C. Ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia (1848-1994), Nuova ed. ampliata, Bari, 2002, p. 39.
40
Di questo avviso V.E. Orlando, Principii di diritto costituzionale, III ed., Firenze, 1894, p. 53; D.
Zanichelli, Introduzione storica allo studio del sistema parlamentare italiano, in Studi Senesi, 1897, n. 5,
p. 305; V. Miceli, Principii di diritto costituzionale, II ed. interamente rifatta, Milano, 1913, p. 480 ss.; G.
Ingrosso, La crisi dello Stato, Napoli, 1925, p. 50 ss.; T. Marchi, Lo Statuto Albertino, op. cit., p. 201; A.
Rocco, La trasformazione dello Stato: dallo Stato liberale allo Stato fascista, Roma, 1927, p. 195; R.
Purpura, Il Primo Ministro nell’ordinamento positivo italiano, in Riv. dir. pubbl., 1928, n. 1, p. 117 s.; C.
Cereti, Corso di diritto costituzionale italiano, II ed. ampliata, Torino, 1949, p. 24; E. Rotelli, La
Presidenza del Consiglio dei Ministri: il problema del coordinamento dell’amministrazione centrale in
Italia (1848-1948), Milano, 1972, p. 24 ss.; G. De Vergottini, Diritto costituzionale, V ed., Padova, 2006,
p. 109.
41
P. Biscaretti di Ruffia, Diritto costituzionale: Istituzioni di diritto pubblico, XV ed. interamente
riveduta, Napoli, 1989, p. 208.
42
Cfr. G. Arangio Ruiz, Storia costituzionale, op. cit., p. 4; V. Montulli, Il Primo Ministro nel nuovo
diritto italiano, Piacenza, 1927, p. 64; Sailis Enrico, Considerazioni e note, op. cit., p. 111; G. Maranini,
Storia del potere in Italia (1848-1967), con una nota di S. Tosi alla nuova ed., Milano, 1983, p. 85.
20
avrebbero espresso la necessità per il Governo di godere della fiducia delle Camere)43, ora con
le dimissioni presentante dal ministero Balbo per contrasti con la Camera dei deputati (luglio
1848)44, ora con le dimissioni del ministero Delaunay (maggio 1849)45.
In dottrina, però, è altrettanto diffusa la tesi che il passaggio dalla monarchia costituzionale pura
(delineata dallo Statuto) alla monarchia parlamentare non sia stato immediato e repentino, ma
lento e graduale, con successioni e sovrapposizioni continue di momenti evolutivi ed
involutivi46.
È vero, infatti, che il rapporto tra il Governo e Parlamento si fissò, pressoché immediatamente,
su modalità che potevano dare la sensazione dell‟esistenza di una forma di «governo di
gabinetto», se non altro perché la fiducia dell‟Assemblea fu sempre ritenuta necessaria; ma
altrettanto necessaria era la «fiducia» del sovrano47, il quale mantenne a lungo non solo una
forte influenza, ma una vera e propria ingerenza sulle prerogative proprie dell‟Esecutivo,
costretto a faticare non poco (rispetto all‟esperienza del gabinetto inglese) nell‟acquisire una
progressiva autonomia dal monarca che consentisse altresì l‟emersione al suo interno della
figura del Presidente del Consiglio dei ministri48.
La tendenza alla configurazione di un rapporto di tipo fiduciario fra ministero e Camera elettiva,
riscontrabile sin dalla prima convulsa fase successiva alla concessione dello Statuto, dovette
quindi coesistere a lungo con elementi meglio riconducibili ad un assetto di tipo monarchico
costituzionale, quali:
ξ crisi di governo determinate da interventi della Corona;
43
F. Racioppi, I. Brunelli, Commento allo Statuto del Regno, III, Torino, 1909, p. 298 s. Contra, però, S.
Labriola, Storia della costituzione italiana, Napoli, 1995, p. 41 per il quale i ministri, prima dello Statuto,
erano semplici collaboratori di un Re a capo di una monarchia assoluta e le loro dimissioni furono un
normale atto di deferenza verso il sovrano, conseguente al mutamento costituzionale intervenuto e non
«in dipendenza di questo o quel nuovo principio, implicito oppure no nel nuovo ordinamento».
44
… di fatto interpretandosi «la responsabilità del Governo non nei confronti del Re (o del solo Re) ma
nei confronti (anche) della Camera, almeno in misura prevalente e determinante»: così F. Cuocolo,
Istituzioni di diritto pubblico, XII ed., Milano, 2003, p. 209. Concordi A. Longo, Della consuetudine
come fonte del diritto pubblico (costituzionale e amministrativo), in Arch. dir. pubbl., 1892, n. 6, p. 407,
nt. 1; O. Ranelletti, Istituzioni di diritto pubblico: il nuovo diritto pubblico, IV ed. riveduta e aggiornata,
Padova, 1933, p. 177; G.G. Stendardi, Statuto del Regno, in Noviss. dig. it., XVIII, Torino, 1957, p. 422 s.
Contra, però, G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, III, Milano, 1995, p. 250 per il quale il ministero
Balbo aveva già deciso di dimettersi quindici giorni prima senza che la Camera, almeno ufficialmente, ne
sapesse nulla.
45
A.C. Jemolo, M.S. Giannini, Lo Statuto Albertino, Firenze, 1946, p. 70.
46
Assai deciso in tal senso C. Caristia, Il diritto costituzionale italiano nella dottrina recentissima,
Torino, 1915, p. 140, nt. 1 il quale ritiene infondata la tesi che la comparsa del regime parlamentare in
Piemonte sia stata simultanea alla prima attuazione dello Statuto, a meno che non si sia disposti a
sostenere che tanto Carlo Alberto quanto Vittorio Emanuele avessero, sin dall‟inizio del loro regno,
«un‟idea chiara e netta del governo parlamentare come noi l‟intendiamo».
47
G. Rebuffa, Lo Statuto Albertino, Bologna, 2003, p. 61.
48
C. Colapietro, Governo, ne Il diritto, Encicl. giur. Sole 24 ore, VII, Milano, 2007, p. 135 s.
21
ξ casi di scelta del Presidente del Consiglio indipendentemente dagli schieramenti
parlamentari;
ξ amplissima incidenza del sovrano nella determinazione dell‟indirizzo politico,
soprattutto in materie di politica estera e militare49.
Sulla base di queste premesse, l‟affermazione della forma di governo parlamentare viene
variamente ricondotta, da certa dottrina:
ξ all‟unificazione politica del 1861 ed ai suoi successivi sviluppi (senza mai interamente
cancellare, però, i lineamenti della precedente forma di governo)50;
ξ alla proclamazione di Roma a Capitale d‟Italia (a seguito della quale cessarono le
interferenze regie nel rapporto fra il Governo e la maggioranza parlamentare)51;
ξ all‟avvento al potere della Sinistra (1876) ed all‟allargamento del suffragio popolare52.
Non si può, tuttavia, non osservare come (pur essendosi registrata un‟indubbia evoluzione
dell‟ordinamento statutario in senso parlamentare) sia perdurata a lungo l‟idea della prerogativa
regia nella scelta dei ministri, tale da impedire un voto di fiducia iniziale della Camera subito
dopo la nomina dell‟Esecutivo da parte del sovrano: prassi affermatasi soltanto a partire dal
gabinetto Giolitti II (novembre 1903).
Se si tengono, poi, presenti:
ξ le tentate involuzioni in senso autoritario nell‟età crispina e negli ultimi anni del secolo;
ξ l‟abitudine di tenere chiuso il Parlamento anche per periodi relativamente lunghi;
ξ la perdurante pretesa del monarca di incidere sulla formazione del Governo
(specialmente riguardo alla nomina del Ministro della Guerra);
ξ il riemergere di incarichi per la composizione del ministero affidati a generali
si ha il quadro completo di un parlamentarismo solo tendenziale53.
49
M. Olivetti, La questione di fiducia, op. cit., pp. 50-53.
50
S. Labriola, Storia della costituzione italiana, op. cit., p. 42.
51
L. Paladin, Diritto costituzionale, op. cit., p. 79.
52
Concordi I. Tambaro, Diritto costituzionale, Napoli, 1915, p. 69 s.; A. Bargone, Governo, op. cit., p.
458; F. Teresi, Le istituzioni repubblicane, op. cit., p. 35.
53
M. Olivetti, La questione di fiducia, op. cit., p. 53 s. e nt. 31.
22
A riprova della mancata stabilizzazione del regime in senso parlamentare si registrano, inoltre,
le vicende istituzionali che precedettero la prima guerra mondiale, che videro:
ξ la nomina di Calandra alla presidenza del Consiglio contro il parere della maggioranza
della Camera (evento clamorosamente antiparlamentare di poco antecedente alla presa
di potere da parte di Mussolini)54;
ξ la pesante ingerenza della Corona nella politica estera e nella decisione di guerra;
ξ l‟approvazione della legge che (secondo la tradizione degli anni di Carlo Alberto e di
Vittorio Emanuele II) concedeva i pieni poteri al Governo, a dimostrazione di come la
sostanza costituzionale della forma di governo italiana fosse rimasta, nei decenni,
immutata55.
La dottrina, peraltro, ha ampiamente dibattuto la questione relativa al fondamento giuridico
della forma di governo parlamentare in Italia (ossia se essa si sia costituita sulla base di una vera
fonte di diritto o solo come ordinamento di fatto), ed a lungo dominante è stata la tesi che
individua nella «consuetudine»56 (più che interpretativa, «integrativa» dello Statuto)57 la fonte
del diritto in base alla quale si sarebbe operata la «trasformazione» dell‟art. 67 dello Statuto.
Una consuetudine, in particolare, frutto non di una ripetizione nel tempo di determinati atti e
comportamenti, ma che «sorse d‟un tratto» fin dai primi anni in cui la forma rappresentativa
ebbe vigore fra noi, a causa dell‟intensità di azione della convinzione giuridica58.
54
A. Reposo, Lezioni sulla forma di governo parlamentare: dalla monarchia statutaria al modello
semipresidenziale, Torino, 1997, p. 33.
55
S. Merlini, Autorità e democrazia nello sviluppo della forma di governo italiana, I, Torino, 1997, p. 59
s.
56
Cfr. L. Palma, Corso di diritto costituzionale, III ed. riveduta e aumentata, I, Firenze, 1883, p. 52; G.
Vacchelli, La responsabilità ministeriale, Cremona, 1896, p. 12 s.; G. Amabile, Le fonti del diritto
costituzionale con ispeciale riguardo all’Inghilterra e all’Italia, Catania, 1897, p. 186 ss.; V.E. Orlando,
Principii di diritto costituzionale, V ed., Firenze, 1909, p. 52; V. Miceli, Principii, op. cit., p. 480; L.
Raggi, Sul fondamento giuridico del governo parlamentare in Italia, in Riv. dir. pubbl., 1914, n. 1, p. 439
ss.; A. Traversa, Lo stato di necessità nel diritto pubblico interno, Napoli, 1916, p. 47, nt. 1; A. Ferracciu,
La consuetudine costituzionale, in Studi Senesi, 1919, nn. 1-2, pp. 16-18; E. Crosa, La Monarchia nel
diritto pubblico italiano, Torino, 1922, p. 120; E. Presutti, Istituzioni di diritto costituzionale, III ed.,
Napoli, 1922, p. 199; F. Guarneri, Il Capo del Governo, op. cit., p. 20; A. Rapisardi Mirabelli, Elementi di
diritto pubblico, op. cit., p. 242; C. Carbone, La consuetudine nel diritto costituzionale, Padova, 1948, p.
75; G. Maranini, Governo parlamentare e partitocrazia, in Rass. dir. pubbl., 1951, n. 1, p. 26; A.
Tesauro, Manuale di diritto costituzionale, op. cit., p. 181; G. De Vergottini, Diritto costituzionale, op.
cit., p. 109 s.
57
… «in quanto portava a completare il contenuto di disposizioni, come quella relativa alla responsabilità
dei ministri, a cui il legislatore aveva lasciato un carattere generico, indeterminato, e si potrebbe dire
equivoco, tale da potere dar luogo a interpretazioni diverse»: così C. Mortati, L’ordinamento del governo
nel nuovo diritto pubblico italiano, Ristampa inalterata con una prefazione di E. Cheli, Milano, 2000, p.
64.
58
A. Longo, Della consuetudine, op. cit., p. 406 ss.