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Quando i media staccano la spina. Storia del blackout informativo durante gli ''anni di piombo''

“Staccate la spina e non ci sarà più terrorismo”. Lo propose ai mass media italiani il sociologo canadese Marshall McLuhan, alla vigilia del sequestro di Aldo Moro. Ma il vero “blackout” dell’informazione sull’eversione armata, in Italia, lo avevano attuato per anni proprio i giornali, le radio e la televisione. Questa tesi di Storia Contemporanea, discussa nel 2004 all’Università di Macerata, traccia un’analisi del rapporto tra mass media e brigatismo rosso durante l’intera decade degli anni ’70. Dall’iniziale “strabismo” della stampa riguardo alla collocazione politica del gruppo eversivo, all’attacco delle Brigate Rosse nei confronti dei giornalisti, fino ai due casi in cui il “blackout” prospettato da McLuhan venne discusso e in parte attuato: il sequestro Moro, nel 1978, e quello del magistrato Giovanni D’Urso, a cavallo tra il 1980 e il 1981. Ma il libro offre anche uno spaccato dell’Italia e del giornalismo di trent’anni fa, di quelle contraddizioni sulle quali si sono sviluppati l’Italia e il giornalismo di oggi. In appendice è riportata un’intervista concessa dal giornalista de “L’Espresso” Mario Scialoja.

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PREFAZIONE L’idea di condurre una tesi sul rapporto tra il sistema italiano dei mass media e il terrorismo, durante il difficile periodo degli “anni di piombo”, nasce da lontano e prende spunto principalmente da due ordini di fattori: innanzitutto, l’interesse personale per un fenomeno che sconvolse per lunghi anni il nostro paese, per le sue cause, per i motivi di fondo e le ragioni storiche e sociali di una sua così lunga durata nel contesto italiano; quindi, da un punto di vista più propriamente professionale, il desiderio di conoscere le modalità attraverso le quali la categoria giornalistica e, più in generale, il mondo dei media, tradusse per il vasto pubblico dei lettori, dei radioascoltatori e dei telespettatori, tale fenomeno in immagini, parole, emozioni. Fu e rimane, forse, ancora oggi, la vicenda più difficile da trattare per il settore dell’informazione nazionale, che dimostrò in diversi modi la propria insofferenza, il proprio disagio e la propria impreparazione nell’affrontare i fatti di matrice terroristica, compiendo errori di valutazione e trovandosi di fronte, come in pochi altri casi, a veri e propri dilemmi di coscienza, talvolta pagati di persona. L’approccio utilizzato nell’analisi di tale singolare tipo di rapporto, è basato sullo studio di documenti, fatti e testimonianze raccolte nel passato, ma al fine di trarne alcune linee di tendenza e alcuni spunti di riflessione validi anche per il presente. Con il conforto di contributi tratti dalla letteratura storica, ma anche sociologica e linguistica, che nel tempo sono stati prodotti sull’argomento in questione, abbiamo proposto un’analisi, condotta talvolta al limite della filologia, di quanto apparso sulla stampa quotidiana e periodica, oltre che di quanto trasmesso dalle emittenti radiofoniche e televisive, sull’argomento “terrorismo rosso” e, in particolare, sul gruppo terroristico di estrema sinistra più tristemente noto: le Brigate Rosse. Per ciò che attiene alla stampa, le testate che abbiamo preso in esame coprono una rassegna congrua, sia dal punto di vista politico che geografico che tipologico. Per ogni caso analizzato ci siamo interessati di studiare quanto apparso sui maggiori quotidiani nazionali (“Corriere della Sera”, “Il Giornale Nuovo”, “La Stampa”, “la Repubblica”), ma anche su giornali a carattere più locale (“Il Tempo” e “Il Messaggero” di Roma, “Il Giorno” di Milano, “Il Resto del Carlino” di Bologna, “Il Secolo XIX”, il “Corriere Mercantile” e “Il Lavoro” di Genova), quindi su fogli politici e organi di partito (“l’Unità”, l’“Avanti!”, “il manifesto”, “Lotta Continua” e alcuni fogli di lotta), infine su periodici (in particolare “L’Espresso” e la rivista trimensile “Problemi dell’informazione”). Il periodo preso in esame copre, grosso modo, l’intero decennio degli anni ’70, partendo dalle prime azioni dimostrative messe in atto dalle Br, appunto nel 1970, per terminare con il sequestro del magistrato Giovanni D’Urso, avvenuto tra il mese di dicembre del 1980 e quello di gennaio del 1981. All’interno di tale lasso temporale, abbiamo, quindi, distinto tre fasi del rapporto tra media e terrorismo, dedicando, per chiarezza espositiva, ad ognuna di esse un capitolo della trattazione: ξ Il primo periodo considerato è quello compreso tra il 1970 e il 1976, contraddistinto dalla “propaganda armata” che il gruppo eversivo intendeva ottenere tramite le prime azioni, nonché da quello che non abbiamo esitato a definire lo “strabismo” dei mezzi d’informazione, nel delineare l’immagine ideologica della formazione presso il pubblico. Appartengono a tale fase i primi “sequestri lampo” operati ai danni di alcuni dirigenti e sindacalisti di fabbrica a Milano e Torino, ma anche la prima azione contro un magistrato: il lungo sequestro del giudice Mario Sossi, che, di fatto, inaugura un nuovo modello di resoconto giornalistico da parte degli organi d’informazione; ξ la seconda fase analizzata si colloca, invece, tra l’8 giugno del 1976 e il 16 marzo del 1978, ovvero tra il primo omicidio politico deliberatamente messo in atto dalle Br contro il procuratore della Repubblica di Genova Francesco Coco e il rapimento, a Roma, del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro. Due momenti rilevanti, come spiegheremo meglio in seguito, di quello che la psicofisiologia definisce “diversione

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