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Uno studio di genere sulla Shoah

Negli studi intorno alla Shoah le testimonianze femminili costituiscono da sempre una fonte secondaria rispetto a quelle maschili: in parte perché esse sono emerse dal silenzio solo recentemente , e in parte perché, nell’immaginario collettivo, la Shoah non è considerata un fenomeno di genere, ma una “catastrofe” che riguarda l’intero mondo dell’ebraismo, indipendentemente dall’età, dal sesso, dalla professione o dal titolo di studio delle sue vittime.
Secondo molti studiosi la Shoah è stata una persecuzione diretta contro tutto il popolo ebraico al di là delle differenze di genere, generazione, classe e ceto dei soggetti direttamente interessati. In molti ripetono che lo zyclon B non faceva distinzioni di sesso né di alcun altro tipo. In quest’ottica, pertanto, cercare di distinguere le esperienze delle donne da quelle degli uomini è considerato uno sforzo inutile e addirittura dannoso, che offuscherebbe la natura unitaria dell’evento e creerebbe una gerarchia delle sofferenze, delle capacità di resistenza e delle forme della memoria inammissibile.
Io non sono di questo avviso. Infatti, da qui a dire che le testimonianze si assomigliano tutte e descrivono “bene o male” le stesse atroci sofferenze, il passo è breve. La generalizzazione è quindi un rischio che non si può correre, pena il rafforzamento del negazionismo. Il problema è che quel “bene o male” fa la differenza: ogni testimonianza, seppur sembri essere uguale alle altre, è in realtà completamente diversa poiché descrive la quotidianità della Shoah di una e una sola determinata persona, e per quanto le testimonianze possano apparire tutte quante grossomodo identiche, nella realtà non è stato così; i milioni di ebrei vittime della barbarie nazista non erano tutti uguali, bensì tutti diversi. Se poi consideriamo il fatto che ogni essere umano ha sensibilità e carattere diversi, ecco allora che il valore di ogni testimonianza assume ancor più il carattere di unicità e irripetibilità.

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Fabiano Martinelli - Uno Studio di Genere sulla Shoah Introduzione pag. I “Lo storico futuro dovrà dedicare una pagina appropriata alla donna ebrea in questa guerra. Essa conquisterà una parte importante in questa storia ebraica, per il suo coraggio e la sua abilità nel sopravvivere. E’ grazie a lei che molte famiglie sono riuscite a superare il terrore di questi giorni”. Emmanuel Ringelblum, Diario e note dal Ghetto di Varsavia INTRODUZIONE: PERCHÉ UNO STUDIO DI GENERE SULLA SHOAH? (PRIMA PARTE) Il motivo per cui ho deciso di scrivere una tesina sulle donne ebree nella Shoah, all’interno del Master in “Lingua e Cultura Ebraica”, è legato all’interesse da me suscitato dall’argomento e al fatto che in Italia esso è molto poco studiato. Negli studi intorno alla Shoah le testimonianze femminili costituiscono da sempre una fonte secondaria rispetto a quelle maschili: in parte perché esse sono emerse dal silenzio solo recentemente 1 , e in parte perché, nell’immaginario collettivo, la Shoah non è considerata un fenomeno di genere, ma una “catastrofe” che riguarda l’intero mondo dell’ebraismo, indipendentemente dall’età, dal sesso, dalla professione o dal titolo di studio delle sue vittime. Secondo molti studiosi la Shoah è stata una persecuzione diretta contro tutto il popolo ebraico al di là delle differenze di genere, generazione, classe e ceto dei soggetti direttamente interessati. In molti ripetono che lo zyclon B non faceva distinzioni di sesso né di alcun altro tipo. In quest’ottica, pertanto, cercare di distinguere le esperienze delle donne da quelle degli uomini è considerato uno sforzo inutile e addirittura dannoso, che offuscherebbe la natura unitaria dell’evento e creerebbe una gerarchia delle sofferenze, delle capacità di resistenza e delle forme della memoria inammissibile 2 . Io non sono di questo avviso. Infatti, da qui a dire che le testimonianze si 1 Daniela Padoan, nella sua Postfazione alla raccolta di memorie, ci dice che: “su 149 opere di memorialistica della deportazione dall’Italia, i libri di donne, nel 1994, erano una ventina”, in Daniela PADOAN, Come una rana d’inverno – Conversazioni con tre donne sopravvissute ad Auschwitz, Milano, Bompiani, 2004, pag. 185. 2 Anna BRAVO, Presentazione all’opera Donne nell’Olocausto, a cura di Dalia OFER, Leonore J. WEITZMAN, Firenze, Le Lettere, 2001, pag. XI.

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