Minimo in due: la ricerca dell'identità nello specchio narrativo
Perchè il tema della duplicità è tanto caro all'uomo, fin dai tempi antichi? Da Ovidio a Umberto Eco, dall'autoritratto allo stadio dello specchio, da Foucault a Freud passando per Platone e Aristotele, per giungere poi ai cenni della fotografia e al richiamo del cinema: ecco che i secoli si sovrappongono, creando un grande pentolone nella cui miscela è possibile specchiarsi.
Oltre a fornire una spiegazione sul modo in cui la settima arte diventi una fondamentale musa ispiratrice, quando si trattano temi come il doppio e lo specchio, ho trovato importante creare un perfetto equilibrio tra l'analisi psicanalitica nelle varie fasi di sviluppo del bambino e le funzioni che svolge lo spettatore quando entra in una sala cinematografica: la percezione, l'identificazione, il piacere, il feticcio e il perturbante sono tutti aspetti che ritroviamo anche nella psicanalisi freudiana, sulla base di ricerca dello sviluppo del bambino e sul modo in cui, nei primi anni di vita, si relaziona con il mondo. In questo modo, l'impressione di realtà induce lo spettatore a lasciarsi, involontariamente, coinvolgere in un universo immaginario, in una dimensione filmica, apparentemente inesistente, che si rivela emozionante e melliflua.
Annodare questi concetti a tre diversi film mi è sembrata la scelta più intelligente (oltre a una precedente analisi sul Maestro Robert Zemeckis). La scelta definitiva ha trovato compimento quando finalmente sono riuscita a trovare il collante fra le tre pellicole: la donna. Tre donne, quindi, in tre diverse fasi della vita: Adolescenza, Maturità e Senescenza. Tutte segnate da un destino comune: l'Istinto di Morte, compiuto o meno, aleggia sulle loro teste, abbandonate anche da Eros che ha voltato loro le spalle. L'Istinto di Vita abbandona così Nina Sayers ne Il Cigno nero (Black Swan); Véronique, de La doppia vita di Veronica, avrà un'altra occasione, anche se il prezzo da pagare sarà la perdita di una “parte di sé”, ancora difficile da realizzare; infine, che dire di Norma Desmond (Gloria Swanson, Sunset Boulevard), la fragile quanto imperante diva del passato che riflette il suo volto e la sua invadente presenza in ogni persona, luogo, oggetto che la circondi, fino a perdere definitivamente la testa per un uomo che non la ricambia. Questa mancanza viene proiettata dall'attrice sulla sua fatiscenza, in quanto diva del passato che il cinema ha ormai dimenticato: Gillis rappresenta per Norma l'unica parte di lei ancorata alla realtà, e la sua morte, quindi, il totale distacco da questa, per vivere una vita come Salomè, come il personaggio che tanto agognava interpretare. Queste tre donne, attraverso tre diverse storie e tre differenti tappe, sono riuscite a completare ciò che stavo cercando di rappresentare fin dall'inizio. Non certo una chiamata al suicidio, non solo la possibilità di avere una seconda occasione, né tanto meno chiudersi in se stesse proprio perché non vi è più traccia di un ultima sincera possibilità. Sono partita da due domande e credo, anzi, spero di aver trovato almeno una delle tante possibili risposte: perché l'essere umano si avvale degli sdoppiamenti del proprio Io per ritrovare se stesso, anche se essi appaiono perturbanti e intimidatori?
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Informazioni tesi
Autore: | Giulia Barini |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2013-14 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Beni culturali |
Corso: | Cinema, Televisione e Produzione Multimediale |
Relatore: | Stefano Ferrari |
Lingua: | Italiano |
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