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INTRODUZIONE
Pesci, ascendente Gemelli. Due segni, quattro fazioni che si contendono,
quotidianamente, il ring della mia psiche. Ecco da dove è iniziato tutto. Da me, o
meglio, dalle diverse parti del mio spirito.
Identità, autenticità, unità erano tutti termini che frequentemente facevano
capolino nella mia testa, senza però trovare un senso a ciò che intendevano
rappresentarmi. Riflettendo accuratamente, la risposta è giunta tornando alla radice del
problema: se autenticità non era, forse era un bisogno di scissione, di copia del vero; se
identità non era, allora poteva essere molteplicità di intenti; se unità non era, ecco che
si spalancavano le porte della duplicità. Il paradosso più grande? Giungere a queste
conclusioni di fronte a uno specchio.
Un'idea di partenza, quindi, era già radicata nella mia testa, una luce in fondo al
tunnel del “tutto è perduto” si è fatta avanti e mi ha indicato la giusta via da percorrere:
come ogni docile creatura che si rispetti, la tesi si è prostrata al suo demiurgo e ha dato
vita a qualcosa di insolito, ma interessante.
La prima cosa che ho notato, con immenso diletto e con altrettanto timore, è stata
la consistente quantità di materiale bibliografico sul tema del doppio e dello specchio.
Montagne, foreste di libri hanno invaso le mie stanze, per poi ridursi
considerevolmente quando presi la decisione di servirmi esclusivamente dell'aspetto
cinematografico. In effetti, vertendo inizialmente sull'aspetto psicanalitico (la teoria
narcisistica, l'interpretazione dei sogni, la fase dello specchio, il richiamo al feticcio,
la nascita del perturbante e molto altro ancora) e semiologico degli eventuali termini e
delle nozioni che intendevo approfondire, non è stato difficile inserire il cinema,
soprattutto, nella speranza, che avrei potuto alleggerire il carico di determinati
argomenti. Anche se non è andata così.
Le spiegazioni di Christian Metz legate al sintagma “significante
cinematografico”, si sono dimostrate essere, in un primo momento, di ardua
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interpretazione. Quando però ho iniziato ad approfondire l'argomento, è emerso che
Metz altro non era che un patito fan delle teorie sulla fase dello specchio,
l'interpretazione dei sogni e il ruolo del voyeur, delle quali si servì per spiegare i
fenomeni percettivi della diegesi filmica, dal punto di vista dello spettatore.
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Il
mosaico stava prendendo forma.
Fin dal primo paragrafo del primo capitolo, dopo un primo excursus sul significato
di unità e duplicità, ho tentato subito di portare alla luce l'ovvia complementarietà tra
le due categorie di termini, non solo per iniziare su una base solida, ma per arrivare a
rispondere sul perché il tema della duplicità sia tanto caro all'uomo, fin dai tempi
antichi. Da Ovidio a Umberto Eco, dall'autoritratto allo stadio dello specchio, da
Foucault a Freud passando per Platone e Aristotele, per giungere poi ai cenni della
fotografia e al richiamo del cinema: ecco che i secoli si sovrappongono, creando un
grande pentolone nella cui miscela è possibile specchiarsi.
Andando avanti, il secondo capitolo ha funzionato da collante tra la prima e la
terza parte poiché, oltre a fornire una spiegazione sul perché la scelta sia ricaduta sulla
settima arte, è riuscito a creare un perfetto equilibrio tra l'analisi psicanalitica nelle
varie fasi di sviluppo del bambino e le funzioni che svolge lo spettatore quando entra
in una sala cinematografica: la percezione, l'identificazione, il piacere, il feticcio e il
perturbante sono tutti aspetti che ritroviamo anche nella psicanalisi freudiana, sulla
base di ricerca dello sviluppo del bambino e sul modo in cui, nei primi anni di vita, si
relaziona con il mondo. Essendo quindi giunta alla conclusione che l'impressione di
realtà induce lo spettatore a lasciarsi, involontariamente, coinvolgere in un universo
immaginario, mi sono lasciata trascinare e ho scelto di concludere il capitolo con un
regista che, oltre a isolare lo spettatore dal mondo reale, lo avvolge nell'incanto di una
dimensione filmica inesistente, eppure emozionante e melliflua. Robert Zemeckis, a
parer mio, riesce a ingannare, a incastrare ancor di più lo spettatore in collo alla
poltrona della sala; lo trasporta in viaggio nel tempo, nell'immacolato mondo di
Cartoonia e gli fornisce il segreto dell'immortalità. Se la realtà si annulla già durante il
corso della diegesi filmica, con Robert Zemeckis scompare del tutto, per rendere più
1 Cfr. Christian Metz, trad. it. Daniela Orati (a cura di), Cinema e psicanalisi, Venezia, Marsilio, 2002.
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reale possibile l'altra faccia della medaglia, quella dell'immaginazione.
Il terzo e ultimo capitolo ha voluto essere, invece, interamente dedicato
all'universo femminile: “Abbiamo parlato di Lacan e dello stadio dello specchio nel
bambino; abbiamo parlato di Winnicott e del rapporto che intercorre tra il bambino e la
madre; abbiamo trattato il mito di Narciso, ragazzino soggiogato dall'amore per se
stesso, e abbiamo visto come, secondo Baudry, lo spettatore torna a essere un
bambino. Insomma, la connotazione maschile dell'infanzia ha fatto da portavoce di un
sistema che non vuole essere, naturalmente, “maschilista”. Per questo adesso
l'interesse si posa vorticosamente sull'universo femminile; su quella parte nascosta
dentro di noi, in quanto donne: la bambina”.
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Annodare i concetti trattati in precedenza a tre diversi film non è stato semplice,
soprattutto quando milioni di titoli possibili si affollavano nella mente. La scelta
definitiva ha trovato compimento quando finalmente sono riuscita a trovare il collante
fra le tre pellicole: la donna. Tre donne, quindi, in tre diverse fasi della vita:
Adolescenza, Maturità e Senescenza. Tutte segnate da un destino comune: l'Istinto di
Morte, compiuto o meno, aleggia sulle loro teste abbandonate anche da Eros che ha
voltato loro le spalle. L'Istinto di Vita abbandona così Nina Sayers ne Il Cigno nero;
Véronique, de La doppia vita di Veronica, avrà un'altra occasione, anche se il prezzo
da pagare sarà la perdita di una “parte di sé”, ancora difficile da realizzare; infine, che
dire di Norma Desmond, la fragile quanto imperante diva del passato che riflette il suo
volto e la sua invadente presenza in ogni persona, luogo, oggetto che la circondi, fino a
perdere definitivamente la testa per un uomo che non la ricambia. Questa mancanza
viene proiettata dall'attrice sulla sua fatiscenza, in quanto diva del passato che il
cinema ha ormai dimenticato: Gillis rappresenta per Norma l'unica parte di lei ancorata
alla realtà, e la sua morte, quindi, il totale distacco da questa, per vivere una vita come
Salomè, come il personaggio che tanto agognava interpretare.
Queste tre donne, attraverso tre diverse storie e tre differenti tappe, sono riuscite a
completare ciò che stavo cercando di rappresentare fin dall'inizio. Non certo una
2 Capitolo Terzo: Minimo in due, p. 71
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chiamata al suicidio, non solo la possibilità di avere una seconda occasione, né tanto
meno chiudersi in se stesse proprio perché non vi è più traccia di un ultima sincera
possibilità. Sono partita da due domande e credo, anzi, spero di aver trovato almeno
una delle tante possibili risposte: perché l'essere umano si avvale degli sdoppiamenti
del proprio Io per ritrovare se stesso, anche se essi appaiono perturbanti e intimidatori?
Andiamolo a scoprire....
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CAPITOLO PRIMO
L'ARTE A SERVIZIO DEL DOPPIO
1.1 Unità e Duplicità
L'identità è intesa come la relazione tra un soggetto e se stesso; un complesso di
caratteristiche di un singolo individuo che lo rendono diverso dagli altri o dalla
psicologia collettiva. Il doppio, invece, è maggiore rispetto a una cosa analoga; è
costituito da due cose identiche, unite o sovrapposte.
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Queste definizioni sembrano
evidenziare un'incompatibilità tra le due categorie di termini. Tuttavia, se analizziamo
nel profondo questa disparità, possiamo ricavarne anche dei tratti comuni, se non
addirittura complementari, per i quali il concetto di doppio rimane del tutto correlato
alla nozione di individuo e alla sua condizione di “essere unico”. Il doppio, infatti, non
avrebbe rilevanza se prima non venisse spiegato e analizzato il significato di unità: la
condizione di ciò che è uno e indivisibile. L'essere è infatti unità nella sua
molteplicità.
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Il genoma umano è per tutti lo stesso, unico e quindi identico da individuo a
individuo. Gli esseri umani nascono uguali, sono l'esperienza e l'adattamento ad
ambienti diversi che li portano a differenziare la loro mentalità, il loro spirito, le loro
idee: presentano in modo più o meno evidente un qualche tratto di connotazione che li
rende originali (magari del tutto unici), o almeno collocabili entro un esteso concetto
categoriale. Ciò che è differenziato è distinguibile e riconoscibile nella sua peculiarità;
l’area di differenziazione a cui facciamo riferimento è l’individualità e cioè il
raggiungimento, da parte di un soggetto, di una collocazione di natura autentica e
irripetibile, guadagnata superando un percorso a ostacoli che funzionano da
depistaggio nel nostro itinerario di crescita ed evoluzione. Quindi, se autentici si nasce
da una parte anche si diventa, dal momento che questo impegno implica un laborioso
3 In Grecia, l'identità di una persona non è circoscritta al corpo e alla mente nel loro insieme, ma trova una proiezione
nella definizione psicologica di “doppio”. L' eidôlon (εἴδωλον) è un doppio che alberga nell'uomo come un essere
sconosciuto, è una forma che prolunga una realtà fisica. Cfr. R. Aragona, Il Doppio, Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane, 2006, pp. 35-36.
4 Hans Krämer, Platone e i fondamenti della metafisica, Milano, Vita e Pensiero, 2001, pp. 153-157.
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viaggio interiore: uno sguardo nel di dentro, alla ricerca dell’autentica natura che
accomuna, e distingue allo stesso tempo, ciascuno di noi a tutti gli altri. Naturalmente,
anche dopo esser riusciti ad avere un dialogo con noi stessi, la lotta prosegue col
tentativo di conservare, di non barattare o corrompere la nostra identità con ogni
genere di richiesta che ne include la sconfessione o la rinuncia.
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Insomma, ciascuno di noi è speciale a modo suo, siamo soggetti unici di
incomparabile meraviglia e particolare valore, ma non per forza dobbiamo conformare
tutta la nostra esistenza intorno all'aggettivo unico e quindi indivisibile; se ci
chiudiamo in noi stessi corriamo il rischio di riallacciarci a quella sorta di egoismo
narcisistico di cui parlava Freud. Il dilemma non risiede nel cercare di riflettere il
nostro Io in ogni persona che ci circonda, ma nel trovare lo specchio giusto che possa
appagarci. Per questo è importante soffermarsi sulle cause che ci portano,
inconsciamente, a dividerci per interrogare meglio il nostro Io su chi siamo e in che
modo ci evolveremo.
Analizzando il Saggio sul Perturbante del padre della psicanalisi, emerge come
l'essere umano sia circondato di paure: la paura di non essere all'altezza, il timore di
non potercela fare da solo; la malinconia e la solitudine soggiogano la nostra forza di
volontà, in ogni circostanza. Tuttavia, se questo sordo timore riesce a prendere parola,
si evolve e innesta un meccanismo a catena, una forza intrinseca che ci pone una mano
per uscire dal baratro dell'emarginazione. L'essere umano cresce infatti con la pedante
necessità di confrontarsi, se non con qualcun' altro, almeno con se stesso.
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A partire dal rapporto tra malinconia e solitudine, il carattere solitario è stato
considerato come uno dei segni esteriori dell'umore malinconico. Freud stesso ha
collegato il concetto di malinconia con la perdita e la separazione; la differenza tra il
lutto e la malinconia sta nel carattere conflittuale della relazione con l'oggetto: mentre
nel lutto si perde l'oggetto, nella malinconia si perdere il proprio Io. Le scissioni che
5 Cfr. Luciano Di Gregorio, La fatica di essere autentici. Nostalgia di appartenenza, desiderio di individualità,
Milano, Franco Angeli, 2006, pp. 33-47.
6 L'eremita riesce a sopravvivere ugualmente pur non sapendo di confrontarsi ogni giorno con un'altra essenza, con
un'altra persona, seppur non presente fisicamente: se stesso. Cfr. Enzo Morpurgo e Valeria Egidi Morpurgo (a cura
di), La solitudine, Forme di un sentimento. Saggi psicologici e psicanalitici, Milano, Franco Angeli, 1995, pp. 115-
116.
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avvengono a partire da questo senso di separazione e di distanza incolmabile dal resto
del mondo possono portare alla crescita di angosce solipsistiche e di frammentazione,
intese come forme di sdoppiamento del soggetto.
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L'individualismo, l'introspezione e
la solitudine indicano quindi un eterno guardare, se non il mondo la nostra interiorità.
L'osservazione rimane, così come il processo di analisi e la necessità di coniare una
sorta di relazione con l'altro.
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Tuttavia, queste paure non diventano tali solo perché si materializzano all'esterno
della nostra persona; prendono forma nel perturbante perché non vengono comprese,
non sono familiari e quindi spaventano, portandoci a uno stadio di incertezza
intellettuale. Nel Saggio sul Perturbante, la prima esigenza dello psicanalista è quella
di dare voce a un esempio pertinente per spiegare come l'essere umano, fin da
bambino, adotti sistemi di moltiplicazione e di proiezione dell'Io, per colmare il
turbamento che si cela dietro la solitudine: “il motivo della bambola dotata di vita
apparente”.
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Esaminiamo più da vicino questo motivo. Il bambino, nei primi tempi in cui inizia
a giocare, non distingue ciò che è vivo da ciò che è inanimato, e per questo tratta la sua
bambola come un essere vivente. La fonte del sentimento perturbante non è in questo
caso una paura infantile ma un desiderio o una credenza, se non il bisogno di non
sentirsi soli. I motivi che esercitano azioni perturbanti possono essere molteplici, ma
niente lascia il segno come il sosia, l'incontro con il doppio in tutte le sue gradazioni e
conformazioni. Il doppio è un esito possibile per uscire dal proprio isolamento, è una
difesa dall'annientamento, anche se porta comunque a dubitare di noi stessi:
l'identificazione con un altro essere seleziona il pensiero e sfocia in una sostituzione
del proprio Io con quello estraneo. Questa spartizione nasce sul terreno dell'amore
illimitato per noi stessi, dal narcisismo primario che domina la vita del bambino così
come dell'adulto, trasformando il sosia da àncora di salvezza a precursore di morte: “il
sosia è diventato uno spauracchio così come gli dèi sono diventati, dopo la caduta
7 Anna Freud, Perdere ed essere persi in AA.VV., Solitudine e Nostalgia, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, p. 106.
8 Come scrisse Aristotele nella sua Politica, “l'uomo è un animale sociale”: tende per natura ad aggregarsi con altri
individui e a costituirsi in società.
9 Sigmund Freud, a cura di Cesare Musatti, “Il Perturbante”, in Saggi sull'arte, la letteratura e il linguaggio,
Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 278.