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Il ''nuovo'' diritto di recesso secondo la riforma del diritto societario (d.lgs. 6/2003)

La tesi analizza uno dei punti più delicati della riforma delle società di capitali, ossia quello riguardante l’istituto del recesso del socio.
Il d.lgs. n. 6 del 17 gennaio 2003 ha apportato notevoli modifiche alla disciplina delle società di capitali, nell’intento di rendere il nostro diritto societario adeguato agli ordinamenti vigenti in altri paesi europei.
In tema di recesso, la più importante novità consiste nel venir meno di quell’atteggiamento di diffidenza da cui l’istituto era prima circondato, in concomitanza con una visione del fenomeno societario improntata a principi più marcatamente contrattuali, dato il tramonto della teoria istituzionalistica a favore di quella contrattualistica, ed assai più propensa a dare spazio all’autonomia statutaria.
Tutto ciò si traduce in una nuova disciplina dell’istituto, distinta tra s.p.a. (artt. 2437 ss. c.c.) e s.r.l. (art. 2473 c.c.) e non più accomunata sotto un unico articolo (ex art. 2437 c.c.). L’ampliamento dell’autonomia statutaria ha consentito un aumento sia delle ipotesi legali di recesso (nelle s.p.a. quotate), che di quelle convenzionali (solo nelle s.p.a non quotate e nelle s.r.l.), superando la consolidata regola interpretativa della tassatività delle cause legali presente nella disciplina previgente.
Un’ulteriore aspetto innovativo introdotto con la riforma è il recesso parziale, cioè la possibilità per il socio di una società per azioni (per quanto riguarda le società a responsabilità limitata la dottrina tende ad escludere tale possibilità) di uscire dalla società solo per una parte del suo pacchetto azionario (come sancito dall’art. 2437 c.c.). Il socio può quindi, a seguito di una modifica statutaria, decidere di uscire totalmente dalla società oppure ridurre l’entità della sua partecipazione, al fine di diminuire il rischio.
Ma la riforma del non si esaurisce qui; infatti, i punti più rilevanti della nuova disciplina del recesso riguardano la quantificazione del valore di rimborso e le modalità di liquidazione della quota.
Come indicato dalla relazione al d.lgs. n. 6 del 2003, si è passati da un sistema nel quale il recesso era considerato rimedio di ultima istanza a tutela della posizione dei soci di minoranza a fronte del potere della maggioranza, che comportando la riduzione del capitale sociale era sostanzialmente scoraggiato per timore che ne risultassero offese le ragioni dei creditori, ad un sistema nel quale il recesso rappresenta una tecnica di disinvestimento alternativa alla cessione delle azioni sul mercato, disponibile a fronte di un ampio numero di presupposti, e che prevede criteri di liquidazione delle azioni non più penalizzanti ma almeno da un certo punto di vista, concorrenziali, o meglio “fair”, rispetto alla possibilità di venderle sul mercato. Il legislatore nel “nuovo” diritto di recesso non ha in ogni modo dimenticato le esigenze di tutela dei creditori, la cui protezione è stata spostata, dalla limitazione delle ipotesi di recesso e dalla previsione di criteri di liquidazione “prudenziali”, al procedimento di liquidazione.
Per quanto concerne la valutazione delle azioni del socio recedente, mentre le s.p.a. quotate prevedono il riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nell’ultimo semestre, lasciando praticamente invariata la norma rispetto alla disciplina previgente (seppur con qualche piccola variazione), in tema di s.p.a. non quotate, la portata innovatrice della disciplina riguarda la circostanza che il valore delle azioni non deve più essere calcolato “in proporzione del patrimonio risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio”, criterio la cui inadeguatezza era stata più volte denunciata dalla dottrina, bensì deve tener conto “della consistenza patrimoniale della società, delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni”, come espressamente previsto dal comma secondo dell’art. 2437-ter c.c.
Con riferimento al procedimento di liquidazione della partecipazione sociale, è stata concepita una procedura articolata in base ad una successione di fasi progressive (disciplinate dall’art. 2437-quater c.c.), dirette principalmente a mantenere invariati gli equilibri ed i rapporti di forza all’interno della società e, ad evitare il più possibile operazioni sul capitale sociale, attuabili solamente come extrema ratio.
Dal canto suo, la società per difendersi dalla riduzione del patrimonio causata dal recesso di uno o più soci (situazione che si può verificare qualora non si riesca a collocare le azioni presso soci o terzi ed in mancanza di riserve e utili disponibili) può deliberare lo scioglimento o revocare la delibera legittimante il recesso. (...)

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1 Capitolo 1 Il diritto di recesso nelle società di capitali alla luce della riforma del diritto societario SOMMARIO: 1.1. L’evoluzione nel corso degli anni dell’istituto del recesso. – 1.1.1. La disciplina previgente: l’art. 2437 c.c. – 1.1.2. Il mutato atteggiamento del legislatore nei confronti di tale istituto. – 1.2. La funzione del diritto di recesso. – 1.2.1. La funzione economica. – 1.2.2. La funzione giuridica. – 1.2.3. I rischi e i costi connessi al diritto di recesso. Un aspetto rilevante della recente riforma del diritto societario, è quello concernente l’istituto del recesso del socio nelle società di capitali. La disciplina del recesso rappresenta uno degli argomenti in cui il legislatore delegato è intervenuto con la massima incisività, in conformità agli obiettivi fissati dalla legge delega n. 366 del 3 ottobre 2001. È noto che il recesso costituisce un nodo fondamentale della disciplina delle società di capitali, ponendosi come punto di mediazione tra l’interesse individuale del socio e le esigenze corporative; infatti, la volontà di disinvestire la propria partecipazione rischia, a causa della necessità di procedere alla liquidazione, di tradursi in una minaccia per l’integrità del patrimonio sociale, posto a presidio sia delle ragioni

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