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Voci di guerra. Storia del giornalismo di guerra dal 1856 al 2008

L’argomento di questa Tesi di laurea specialistica concerne una particolare branca della professione giornalistica, indissolubilmente legata alla più antica costante della storia umana: la guerra. Una Tesi interamente dedicata al migliore, ed in molti casi unico, strumento in grado di dissipare le nebbie, le menzogne, le dicerie ed il vuoto che da sempre circondano ed offuscano i meandri sanguinosi dei conflitti.
Obiettivo di questo lavoro sarà la fedele descrizione del pericoloso ed affascinante mestiere di inviato di guerra, dalle origini al giorno d’oggi, fino alle sue probabili evoluzioni future. Per raggiungere questo scopo impegnativo, tuttavia, si renderà indispensabile un’accurata ed approfondita premessa storica, poiché – nel caso del giornalismo di guerra e, generalizzando, in molti altri settori – solamente l’analisi e la comprensione del passato possono permettere la delucidazione del presente.
Le guerre dei secoli scorsi ed i loro cronisti apriranno la strada alla spiegazione delle modalità di lavoro, dei nuovi strumenti e sempre nuovi rischi che accompagnano gli odierni inviati. Verranno seguiti alcuni importanti nomi della stampa nazionale, mediante pubblicazioni ed interviste realizzate dall’autore, cercando di rispondere ad alcune domande: quale è stato il cambiamento apportato alla professione giornalistica dagli ultimi conflitti? Quali sono i nuovi pericoli per l’inviato, come ne risente il lavoro sul campo? La censura e l’ostracismo nei confronti della stampa nei teatri bellici, l’evoluzione delle tecnologie a disposizione dei media, la brutale involuzione dello status di giornalista – da cronista dei fatti a preda – hanno modificato o stravolto questo mestiere?

In un mondo sempre più “vicino”, grazie alle incredibili possibilità di collegamento istantaneo offerte dall’informatica e dalle telecomunicazioni, si è giunti ai primi casi di “superamento” – in termini di rapidità divulgativa, non ancora di professionalità – del giornalista. Verrà analizzato il fenomeno del citizen journalism, con particolare riguardo al suo versante militare.
“Arma virumque cano”, emblematico incipit virgiliano, idealmente assurto a descrizione dei tanti cantori delle guerre umane, riassume e rilancia l’interrogativo alla base di questa Tesi. Chi sono i giornalisti di guerra? Quale, il loro passato, la loro storia?
Come nasce, e come si applica nel difficile lavoro quotidiano, la vocazione a seguire lo scatenarsi su larga scala del più brutale ed ancestrale degli istinti umani, la violenza?

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Introduzione La guerra è da sempre – obiettivamente ed acriticamente – un’attività di grande rilievo per l’uomo. I conflitti, nelle loro differenti accezioni ed intensità, hanno attraversato la storia umana, mietendo vittime, rovinando terre e popoli, rovesciando dinastie, mutando equilibri ed abitudini, segnando indelebilmente la nascita, l’evoluzione e la fine di intere epoche storiche. Interpretata in senso generale come esercizio della violenza organizzata su larga scala, la guerra possiede innumerevoli caratteristiche, anch’esse antiche quanto la vita umana sulla Terra, ed in costante evoluzione. Per citarne alcune, la guerra nasce dall’esclusione, dall’emarginazione, dalla velleità di potere e ricchezza, dalla disperazione, dalle più basilari necessità di sopravvivenza; essa sfrutta, provoca, allarga fratture sociali, politiche ed economiche; ecco infine la sua eterna correlazione con altri conflitti, con altri disequilibri, con ulteriori fratture, in un inarrestabile e macabro gioco del domino che lega ogni paese ed ogni popolazione. Da un punto di vista sociale, distinguiamo invece un aspetto del fenomeno bellico insito nel carattere umano che non manca di presentarsi ad ogni scontro, ad ogni rivolta, ad ogni scoppio di violenza: l’interesse per la guerra, la spasmodica attenzione riservata in ogni epoca nei confronti dell’esplosione delle energie e degli istinti più ancestrali, della rabbia e della sua infinita coorte di stragi, massacri, sradicamento e fuga, che perpetua l’odio nel corso del tempo. La necessità di soddisfare questo interesse, nonché di raccogliere e riportare informazioni sull’andamento delle ostilità, ha necessariamente creato figure – inizialmente autodidatte e certo non professionali – preposte a seguire lo scontro per conto dei propri referenti. La voce dotta e razionale della Storia non ha esitazioni nel ripercorrere gli ultimi secoli, individuando come capostipiti di una lunga discendenza professionale – quella dell’inviato di guerra, naturalmente –due giornalisti britannici, William Russell e Charles Lewis Guneison, che seguirono la guerra di Crimea 1 per conto di due celebri testate, il Times di Londra ed il Morning Post. Ad essi avrebbero fatto seguito tutti i nomi, grandi ed obliati, del moderno giornalismo di guerra, fino ai giorni nostri. Tuttavia, questo mestiere vanta numerose ed antiche radici, riconnettendosi con il suddetto interesse per la guerra: come anticipato, l’usanza di raccontare e cantare gli eventi bellici è insita nel nostro carattere, quale antica tradizione ormai evolutasi in abitudine. La guerra, oltre a provocare sensazione e catturare l’attenzione, è importante: pone in essere problemi per equilibri consolidati, crea o disfa alleanze, è insomma un fenomeno da monitorare e da ricordare nel tempo. Non è un mero esercizio accademico, non è una solida passione letteraria e culturale ad indicare come predecessori degli odierni inviati gli antichi bardi, i menestrelli medievali, fino ai grandi autori dell’antichità classica, quali il grande Senofonte, il freddo condottiero Caio Giulio Cesare, Tucidide, Omero. Abissi cronologici, enormi differenze di stile e motivazione, carenza di moderna professionalità e rigore nella ricerca delle fonti separano naturalmente questi antichi cronisti dal fenomeno giornalistico; tuttavia, lo scopo alla base dei loro sforzi – descrivere la guerra, cantarla e renderne immortali i protagonisti – crea un sensibile e millenario legame che corre, idealmente, dalle gesta dei Danai e dei Troiani alle vie di Falluja, di Kabul, di Nairobi. Raccontare la guerra: seguirne gli sviluppi e le strategie, risalire gli eventi fino a cause lontane, immergersi nel tessuto civile e militare colpito e dilaniato dalle ostilità, affinché ne resti traccia coerente. Mutano, innegabilmente, gli scopi che motivarono pericolose corrispondenze o elaborate ricostruzioni, ma sia che si trattasse del plauso servile verso una casata vittoriosa, sia che si volesse illustrare la vita al fronte a beneficio di migliaia di moderni lettori, la guerra è sempre stata seguita, analizzata, descritta. 1 Guerra di Crimea: 1853 – 1856. 3

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