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La fine del rischio zero

La percezione del rischio tra i giovani in Italia

Dopo la catastrofe di Chernobyl dell’Aprile del 1986 e dopo l’attacco terroristico dell’11 Settembre 2001 alle Torri Gemelle ed al Pentagono, l’opinione pubblica e l’umanità in generale si chiede quale futuro stia arrivando.
L’uomo perde le sue certezze su cose ed eventi che ha sempre dato per scontato fino a quel momento ed è proprio da queste incertezze che inizia un “nuovo” corso di studi della sociologia, la quale incomincia ad interessarsi del fenomeno del rischio sociale e globale. Proprio nel 1986, il sociologo Ulrich Beck pubblicava “La società del rischio” dando inizio ad un percorso di analisi dei fenomeni contemporanei che porterà ad una serie di studi su che cosa sia il rischio e quali rapporti abbia con la società, la collettività, l’ambiente e tutto ciò che ad essi è connesso. Lo studioso scopre che c’è una consapevolezza crescente sul rischio, una precarietà e flessibilità del lavoro, una maggiore sensibilità ecologica. Da questo punto in poi e dopo aver acquisito quelle competenze di base necessarie per potermi muovere nel campo del “rischio” ho svolto un’indagine empirica tra i giovani universitari italiani.
Il primo passo è stato distinguere nel target da me scelto gli studenti in sede e quelli fuori sede nell’ottica di poter trovare possibili somiglianze e/o differenze tra i due campioni in esame riguardo la percezione del rischio e tutto ciò che ad esso è connesso come: la guerra, il terrorismo, la frammentazione sociale e la flessibilità del lavoro.
Ho proseguito il mio percorso di ricerca confrontando i dati ottenuti dai due campioni di riferimento dopo la somministrazione del questionario e ho scoperto delle valutazioni ampiamente previste ed altre invece neppure minimamente considerate.
Alla conclusione della mia indagine ho scoperto una sorta di “termometro sociale”, ovvero il target giovanile da me considerato è consapevole dei rischi che esistono, anche se è molto incerto riguardo il futuro, esso risulta essere nonostante tutto molto tradizionalista, crede ancora nel vincolo famigliare e crede nell’unione matrimoniali, ma questo non è sintomo di staticità, anzi i ragazzi hanno dimostrato di voler sperimentare cose nuove, continuare a studiare, a specializzarsi, hanno inoltre mostrato di avere una visione d’insieme di ciò che gli accade intorno e una consapevolezza dei rischi globali senza differenza di provenienza e soprattutto hanno espresso di avere fiducia nei confronti di una possibile convivenza con altre culture nell’ottica di una società cosmopolita ed è proprio questa la vera globalizzazione.

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4 INTRODUZIONE A seguito della catastrofe di Chernobyl e del più recente attacco terroristico dell’11 Settembre, l’opinione pubblica ha incominciato a chiedersi cosa sta succedendo e soprattutto cosa dobbiamo aspettarci dal futuro. L’inizio di questa analisi può approssimativamente collocarsi nel 1986, quando il famoso sociologo Ulrich Beck pubblicò la sua opera “La società del rischio”. Da lì in poi gli studi sull’evoluzione della società, l’aumento della consapevolezza del rischio, la precarietà del lavoro e della vita in generale, si sono moltiplicati in modo esponenziale. È proprio da qui che ha inizio il mio percorso di ricerca, attraverso le teorie del già citato Beck, continuando con l’analisi di altri autori come Giddens e soprattutto Richard Sennett, dalle loro teorie ed esperienze ho incominciato a muovere i primi passi in questo nuovo campo che può essere definito della “rischiologia”. Una volta acquisite le competenze di base e averle elencate nei primi due capitoli del mio lavoro ho proseguito con una ricerca empirica, facendo delle interviste al campione da me considerato, ovvero una popolazione universitaria e distinguendo fra gli studenti in sede e gli studenti fuori-sede, calcolando le loro informazioni riguardo la percezione del rischio e tutto ciò che ad esso è connesso come: la guerra, il terrorismo, la frammentazione sociale e la flessibilità del lavoro. I risultati di questo mio percorso di ricerca sono esplicitati nel terzo capitolo e nel quarto capitolo in maniera empirica e divulgativa con l’ausilio di materiale grafico. Sono emersi dati molto interessanti ed altri ampiamente previsti che spero possano fornire un quadro generale del fenomeno preso in esame. A conclusione di questa mia breve introduzione spero che il mio lavoro non venga “dimenticato”, ma sia il punto d’inizio di un nuovo lavoro, più ampio e più completo e soprattutto che venga svolto sinergicamente da docenti esperti in materia e studenti universitari, nell’attesa di poter un giorno approdare a dei risultati validi per un piano concreto di azione. Giusepe Vultagio

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