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Accesso al lavoro: tra precarietà e mercato

L’articolo 1 della Costituzione Italiana recitava nel 1946 “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Nel 2009 è ancora possibile considerare il lavoro come un diritto?
L’intento che mi sono proposta di perseguire, attraverso la stesura del mio lavoro, è stato quello di intraprendere e continuare una riflessione relativa ad una tematica tanto ampia quanto attuale come le evoluzioni del mercato del lavoro e del ruolo dei suoi attori sociali nel corso dell’ultimo decennio ed in virtù dei cambiamenti politici e normativi occorsi, muovendo dall’enucleazione di fenomeni sociali ed economici quali il Fordismo, il Post-Fordismo e la Globalizzazione dei mercati.
Sulla scia di autorevoli pareri di alcuni giuslavoristi, è stata centrale la comprensione delle dinamiche evolutive sia economiche che sociali, appartenenti al passato, e che hanno caratterizzato l’accesso al mondo del lavoro, fino ad arrivare ai giorni nostri in particolar modo in Italia, dove la recessione economica ha attuato meccanismi tali per cui l’intervento della legge Treu nel 1997 e della Legge 30 nel 2003, detta anche legge Biagi, ha apportato notevoli modifiche alle dinamiche di accesso al lavoro, rendendo quest’ultimo foriero di fenomeni quali la flessibilità e la sua degenerazione in precarietà.
La scelta di analizzare quattro tipologie contrattuali cosiddette flessibili, quali il contratto di inserimento, di somministrazione lavoro, il contratto a tempo determinato ed infine il part-time, mi è stata indispensabile al fine di comprendere da un lato in che modo il nuovo sistema di accesso al lavoro sia arrivato ad incidere sui rapporti professionali tra imprese e lavoratori e sui diritti di questi ultimi anche in base ai mutamenti legislativi che politicamente hanno avuto luogo. Tale impostazione ricostruttiva mi ha permesso di evidenziare come si sia diversamente conformata e modificata l’identità del lavoratore flessibile, o lavoratore precario. Servendomi quindi di variegate testimonianze letterarie e scrutando di tanto in tanto la stampa estera e le novità economiche europee che hanno fatto capolino in Italia negli scorsi mesi, ho cercato di delineare il profilo del lavoratore atipico, tipica figura “contrattuale” dei nostri tempi, tanto “amata” dalle aziende, quanto portatrice di precarietà per l’incerto futuro delle giovani leve, ma anche dei meno giovani, i quali sognano il posto fisso e considerano ancora il lavoro come un diritto inoppugnabile.
Ovviamente la mia analisi non ha avuto la pretesa di poter trovare risposte valide per tutti o soluzioni pronte per soccorrere gli aspiranti lavoratori in cerca di un’occupazione.
Quel che è certo è che la vasta rosa di autorevoli pareri di cui mi sono avvalsa, tra cui Pietro Ichino, Adalberto Perulli e Pier Giovanni Alleva, mi ha permesso di constatare da un lato come anche in un momento di recessione economica in cui oggi versa l’Italia, alcune imprese non abbiano interrotto le assunzioni e che l’accesso al lavoro sia aumentato anche per effetto dell’introduzione di contratti flessibili, dall’altro proprio a causa dell’abuso di tali fattispecie contrattuali, la precarietà oggi domina il mondo del lavoro e di conseguenza anche la situazione occupazionale e soprattutto personale di milioni di lavoratori sottoposti al regime della flessibilità lavorativa. È proprio a questi ultimi ed alla tutela del loro diritto al lavoro e alla stabilità che deve andare il pensiero dei Governi, di qualunque colore essi siano.

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1                                                               INTRODUZIONE In questo particolare momento storico, contrassegnato dal dibattito relativo a precarietà e flessibilità dell’impiego, affrontare la tematica lavoro significa tentare di individuare e analizzare quelle che sono state le dinamiche salienti dell’attuale mercato del lavoro, anche e soprattutto in virtù di una eventuale previsione socio-economica relativa a quelli che potranno essere gli sviluppi futuri ed eventuali. La tanto decantata e progressiva flessibilizzazione contrattuale dei rapporti lavorativi, se da un lato permette di non svolgere lo stesso lavoro per tutta la vita, aspetto apparentemente positivo se presentato quale “maggiore facilità nell’assumere e nel licenziare, possibilità di aumentare e diminuire i salari(…)capacità di andare dovunque si offra un’opportunità e di abbandonare ogni posizione in cui le opportunità passate siano esaurite” 1 , dall’altro ha una sua duplice polarità positivo – negativa che può implicare licenziamenti o trasferimenti repentini caratterizzati da mansioni differenti, e ciò ovviamente può andare a scapito della sicurezza economica, sociale e personale degli stessi lavoratori. Un’immagine di questo tipo, foriera di flessibilità lavorativa e di instabilità economica, mette in luce le incongruenze esistenti tra l’odierna società che “accoglie” al suo interno un cittadino-lavoratore modello in virtù del rispetto di particolari “regole”, ossia del fatto che egli goda di un contratto a tempo indeterminato, il cosiddetto posto fisso, con tutti i privilegi che ad esso corrispondono (come la possibilità di accendere un mutuo per comprare casa o di pensare di avere un figlio), ed un mercato del lavoro che invece tutti i giorni assume in modo precario migliaia di lavoratori, negando quindi loro la 1 Dahrendorf R., Quadrare il cerchio, Benessere economico, coesione sociale e libertà politica, Laterza, Bari, 1995, p. 24-25.

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Parole chiave

flessibilità
flessibilità lavoro
lavoratori atipici
lavoratori co.co.co
lavoratori precari
lavoro precario
legge biagi
mercato del lavoro
precarietà

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