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Arbitrato e funzione giurisdizionale

Le questioni principali affrontate nella tesi sono riassumibili in due interrogativi.
Primo: possono i singoli soggetti di diritto comporre le proprie controversie mediante il ricorso a un giudizio privato, quando la Costituzione sancisce espressamente (art. 102, 1° comma) che la funzione giurisdizionale è riservata ai magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario? A questo proposito, occorre rispondere subito che nessuno è costretto a rivolgersi alle pubbliche magistrature per la definizione di qualsiasi lite; non è questo, ma ben altro, il significato della riserva di cui all’articolo 102 della Costituzione, come ha inequivocabilmente chiarito anche la Consulta.
Si consideri, poi, un secondo interrogativo. Posto che vi è cittadinanza, in un ordinamento giuridico come il nostro, per un istituto di giustizia privata qual è l’arbitrato, ci si chiede: quali limiti di efficacia dovrà avere tale giudizio? La giurisdizione è autorità, potere, sovranità. Essa è l’ordinamento giuridico che si impone ai privati nel caso specifico. L’arbitrato, invece, è un giudizio che nasce dalla volontà dei soggetti che l’hanno preferito ed instaurato, senza altra forza che questa loro volontà e dunque senza potere, autorità, supremazia. Certo, lo scopo pratico perseguito dalle parti nel devolvere le controversie agli arbitri, è quello stesso che esse avrebbero potuto e non hanno voluto raggiungere agendo davanti al giudice statale. Ebbene, un legislatore che voglia dare esatta attuazione al riconoscimento costituzionale dell’autonomia dei singoli, ben può considerare meritevoli di specifica protezione e garanzia strumenti risolutivi di controversie come gli arbitrati rituali, ma deve anche disciplinarli in modo che dai giudici privati sia assicurata una tutela dei diritti uguale, per contenuti ed intensità, a quella prestata dai giudici statali. La Costituzione non potrebbe tollerare la disciplina di un mezzo di giustizia privata, il quale fornisse una tutela minore rispetto a quella che le parti otterrebbero in giudizio. Quella disciplina risulterebbe illegittima per violazione dell’articolo 3 della Carta fondamentale, in forza del quale esiste il principio di uguaglianza formale e sostanziale di tutti di fronte alla legge. In altre parole, se l’arbitrato rituale vuole resistere all’accusa di incostituzionalità, deve conseguire un risultato equipollente a quello del processo. In altri termini, IL DIRITTO DI AZIONE IN GIUDIZIO E' DISPONIBILE, MA NON ILLIMITATAMENTE. QUANTO ESPOSTO, IMPONE UN'ATTENTA ANALISI DELLA DISCIPLINA DELL'ISTITUTO ARBITRALE.
Oltre all'arbitrato rituale, viene considerato e analizzato anche l'arbitrato libero.
La tesi tratta dei metodi ADR.
La tesi si occupa, infine, del tema dell'assunzione degli incarichi arbitrali da parte dei magistrati ordinari ed amministrativi

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Oltre alla tesi di laurea, è possibile consultare due saggi, il primo dal titolo "I NUOVI DIRITTI" (2006), il secondo intitolato "L'USO DELLA LINGUA MINORITARIA ITALIANA NEI RAPPORTI CON LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E NELL'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA IN ISTRIA, FIUME E DALMAZIA" (2005). La consultazione di questi due ultimi scritti è possibile dalla home page della tesi, link "Altri documenti"

Saggio su "I NUOVI DIRITTI". SOMMARIO: 1. INTRODUZIONE. UNO SGUARDO D’INSIEME SUI NUOVI DIRITTI; 2. IL “DIRITTO ALL’AMBIENTE”. LA RIFORMA DEL TITOLO V, PARTE II DELLA COSTITUZIONE PERMETTE DI CONFIGURARE NUOVE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE IN CAMPO AMBIENTALE?; 3. IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA O PRIVACY. IN PARTICOLARE, IL CONFLITTO FRA IL DIRITTO DI ACCESSO A SCOPO DI DIFESA E IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA DOPO L’ENTRATA IN VIGORE DEL DECRETO LEGISLATIVO 30 GIUGNO 2003, N. 196, C. D. “CODICE DELLA PRIVACY” E DELLA LEGGE 11 FEBBRAIO 2005, N. 15, RECANTE “MODIFICHE ED INTEGRAZIONI ALLA LEGGE 7 AGOSTO 1990, N. 241, CONCERNENTI NORME GENERALI SULL'AZIONE AMMINISTRATIVA”; 3.1. IL CONFLITTO FRA IL DIRITTO DI ACCESSO A SCOPO DI DIFESA E IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA; 4. I NUOVI DIRITTI E LA BIOETICA

Saggio su "L'USO DELLA LINGUA MINORITARIA ITALIANA NEI RAPPORTI CON LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E NELL'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA IN ISTRIA, FIUME E DALMAZIA". Sommario: 1.- Il plurilinguismo, in particolare nei rapporti con l’amministrazione e con le autorità giurisdizionali, quale fondamento della convivenza nelle società multietniche. 2.- Il bilinguismo croato-italiano. 3.- Le vicende del primo statuto istriano. 4.- Le innovazioni legislative degli anni duemila. Il secondo statuto dell’Istria ed il bilinguismo nei rapporti con l’amministrazione. 5.- Analisi delle disposizioni legislative più rilevanti sull’uso della lingua minoritaria nei rapporti con l’amministrazione e nell’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale. 6.- Il bilinguismo sloveno-italiano in Istria. 7.- Conclusioni

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PREMESSA Il problematico svilupparsi delle forme di composizione delle liti alternative alla giurisdizione Il processo civile è ormai divenuto “strumento per allontanare nel tempo la realizzazione dei diritti, consentendo una sorta di radicamento dell’ingiustizia”. L’enunciato, paradossale ed estremo, proviene da una prestigiosa tribuna istituzionale. E’ un passo della relazione alla Commissione giustizia del Senato della Repubblica, con la quale è stato illustrato nella IX Legislatura il disegno di legge delega per il nuovo codice di procedura civile (1) . L’amara denuncia del senatore Nicolò Lipari, oltre che condivisa da ampi settori della cultura processualcivilistica, riceve una conferma preoccupante dai dati empirici. Questi ultimi sono presto detti e rappresentano come meglio non si potrebbe la crisi della giustizia civile in Italia: sono pendenti due milioni e trecentomila giudizi; la durata media dei processi è di cinquecento giorni in pretura, di milleduecento in tribunale e di novecento in grado di appello. Una ricerca come la presente, della quale questa premessa intende tratteggiare soltanto le linee fondamentali, non può assolutamente prescindere dalla considerazione dei dati sopraccitati. Il sostanziale fallimento dello Stato è la prima causa della fuga dalla sua giurisdizione, una fuga in diverse direzioni senza dubbi, apparentemente irreversibile e sicuramente clamorosa: essa vede infatti un protagonista tanto illustre quanto inaspettato, il legislatore stesso. Quest’ultimo continua a moltiplicare e a rafforzare istituti e meccanismi alternativi al ricorso alle pubbliche magistrature con un favore tale, da indurre molti studiosi a domandarsi se non si vada verso un sostanziale svuotamento della funzione giurisdizionale, così come essa è delineata nella nostra Costituzione. Proprio con riferimento a quanto appena scritto, occorre subito segnalare precise scelte legislative, le quali sembra siano particolarmente sintomatiche di una politica della giustizia che forse meriterebbe qualche riflessione in più. Si pensi alla recente istituzione del giudice di pace, il quale costituisce la nuova figura di giudice laico; alla imponente cooptazione di soggetti esterni all’amministrazione giudiziaria, che sembra ormai avviarsi a rappresentare un consolidato elemento del nostro sistema di giurisdizione civile; alla massiccia offerta di mezzi stragiudiziali di risoluzione delle controversie, soprattutto, da ultimo, delle controversie aventi origine dai contratti correlati alla circolazione dei prodotti e dei servizi, tanto nei rapporti fra imprenditori, quanto in quelli fra questi ultimi ed i consumatori ed ancora delle controversie relative ai negozi di subfornitura industriale e di quelle che 1 La si può trovare pubblicata in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1986, pagg. 318 ss.

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