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Orario di lavoro tra normativa interna e normativa comunitaria

All’inizio degli anni ’90 la disciplina relativa all’orario di lavoro, per lungo tempo arenatasi sull’interpretazione del 1° co. dell’art. 1 del r.d.l. n. 692 del 1923, ha riacquistato, sotto lo stimolo della direttiva comunitaria n. 104 del 1993, una nuova vitalità rivolta principalmente a rimuovere la rigidità che fino a quel momento la aveva contraddistinta.
La direttiva, infatti, recependo le istanze della flessibilità, ha ridisegnato il concetto dell’orario di lavoro, inducendo gli stati membri della comunità europea, tra cui anche l’Italia, ad armonizzare i propri ordinamenti interni rispetto alla nuova disciplina risultante dalla stessa.
Pertanto l’Italia, pur in ritardo, ha dato il via, attraverso l’emanazione di alcuni provvedimenti legislativi, i più significativi dei quali sono stati la legge n. 196 del 1997 c.d. Pacchetto Treu e la legge n. 409 del 1998, alla ricezione della disciplina comunitaria attuando un importante ammodernamento della disciplina dell’orario di lavoro che fino a quel momento era ancora legata alle norme del r.d.l. n. 692 del 1923.
La disciplina interna non ha ancora recepito in toto le indicazioni della direttiva comunitaria, ma è in ogni caso importante rilevare come ciò ha cambiato il panorama normativo italiano adeguandolo ai mutati assetti economici e consentendo alle imprese del nostro Paese di riacquistare, mediante la flessibilità dei rapporti di lavoro, una nuova competitività.
Sia la normativa comunitaria, che italiana, hanno riconosciuto alla contrattazione collettiva un ruolo preminente, consentendole ampie possibilità di deroga nell’individuazione del periodo di riferimento ai fini del calcolo della durata media settimanale del lavoro.
Questa riforma dell’orario di lavoro nel settore privato è stata accompagnata anche da un generale rinnovamento dei rapporti di lavoro nella pubblica amministrazione nella quale, attraverso la privatizzazione della disciplina, sono state introdotte forme di lavoro flessibile, volte a razionalizzare e riorganizzare il settore pubblico.
Sostanzialmente nell’arco di un decennio la disciplina dell’orario di lavoro e degli istituti ad essa connessi hanno subito un forte mutamento che, soprattutto in Italia, hanno comportato una riduzione della prestazione lavorativa e una sua flessibilizzazione, richiesta dall’evoluzione del sistema economico sempre più legato alle repentine innovazioni tecnologiche. Pertanto, alla luce di quanto accaduto, possiamo affermare che questo ammodernamento normativo ha rappresentato soltanto la fase iniziale di una riorganizzazione dei tempi di lavoro, e vedrà, nei prossimi anni, gli Stati Europei sempre più impegnati a recepire le istanze di flessibilità provenienti da un totale cambiamento del sistema economico.

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Cap. I La disciplina dell’orario di lavoro nel R.D.L. n. 629 del 15-3-1923 1 Limiti massimi dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale. 2 L’ambito di applicazione. 3 La nozione di lavoro effettivo. 4 I lavoratori esclusi dai limiti di orario. 5 La questione del personale direttivo. 6 I prolungamenti dell’orario di lavoro: il lavoro straordinario. 1 I limiti massimi dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale Nel nostro ordinamento la definizione dell’orario di lavoro era affidata al R.D.L. n. 629 del 1923, convertito in Legge n. 473 del 1925 ed integrato dai regolamenti d’attuazione (R.D. n. 1955/1923; R.D. n. 1956/1923; R.D. n. 1957/1923). Esso, infatti, nonostante la sua lontana origine, ha rappresentato per lungo tempo la principale fonte di disciplina della materia stabilendo imperativamente i limiti, giornaliero e settimanale, del lavoro normale e straordinario. Il 1° comma dell’art. 1 del r.d.l. n. 692 del 1923 stabilisce pertanto che “la durata massima normale della giornata di lavoro degli operai e impiegati nelle

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Parole chiave

contratti di solidarietà
pubblico impiego
orario di lavoro
flessibilità del lavoro
diritto del lavoro
pacchetto treu
legge n. 196-1997
direttiva 104-1993
legge n. 409-1998
lavoro straordinario

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