Mobbing - Aspetti psicologico-giuridici e strumenti di tutela
Avrete sicuramente sentito parlare di mobbing dai mass media. Si tratta di un fenomeno solo apparentemente nuovo: in effetti l’elemento di novità è rappresentato dalla sola teorizzazione dell’argomento. Il termine mobbing deriva dall’inglese to Mob che significa accerchiare, assaltare. E’ stato usato per la prima volta nell’Ottocento dall’Etologo Konrad Lorenz per meglio far comprendere il fenomeno che si verifica quando un nido d’uccelli è attaccato da un altro uccello ed il gruppo si compatta per difendere il nido. Il mobbing visto così è la lotta per il punto più alto. Nella vasta categoria degli stress da lavoro è l’ultimo nato, ma è in rapido aumento, soprattutto in quei settori oggetto di profonda ristrutturazione aziendale: industrie, assicurazioni, banche, gruppi editoriali. La tendenza a mega-fusioni, ad incorporazioni o a nuovi riassetti organizzativi nell’ambito di una o più aziende, inevitabilmente produce tra i lavoratori un terrore psicologico che li rende vittime d’azioni mobbizzanti anche latenti che possono esplicarsi in due modi. Vi è un mobbing orizzontale o emozionale che nasce dall’uso incontrollato di sentimenti (rabbia, invidia, gelosia nei confronti del collega) e dal senso di competizione portato all’estremo (slealtà, informazioni false o distorte, omissioni, denigrazione); c’è inoltre, un mobbing verticale o bossing che si determina quando il capo vessa il suo sottoposto con parole ed atteggiamenti umilianti (dalle risatine all’arbitraria sottrazione degli strumenti di lavoro, come telefono e computer). Nell’orizzontale, per definizione, si trova un lavoratore vittima degli stessi colleghi e di norma questo può essere visto attraverso una duplice chiave di lettura: la prima riguarda più strettamente l’organizzazione del lavoro. Nella fattispecie un dipendente o un neo-assunto o trasferito o promosso, con il suo arrivo turba l’equilibrio di un gruppo già collaudato e dotato d’interne attribuzioni che spesso tendono ad appiattire la personalità e la professionalità dei singoli. Si tratta in genere di persone intraprendenti, creative, in grado di intervenire in meccanismi conosciuti ed accettati da tutti i componenti ed essendo inoltre soggetti che “investono” affettivamente nelle loro azioni, maggiormente soffrono per le difficoltà nell’ambiente di lavoro. La seconda chiave di lettura sta nel caso in cui l’emarginazione progressiva della vittima passa attraverso la sua diversità rispetto al gruppo: il pensiero va ai portatori di handicap fisico o mentale, ma non trascurabili sono i casi legati alle diversità connesse alla religione, sessualità, razza e in molti casi ad interessi extra lavorativi. Il mobbing verticale può essere esercitato da un singolo superiore che per diversi motivi (invidia, paura di perdere potere nella struttura gerarchica), oltrepassa i limiti della propria competenza gerarchica, esercitando atteggiamenti di supremazia professionale particolarmente aggressivi e punitivi nei confronti della propria vittima. Gli stessi atteggiamenti sono assunti poi da altri dipendenti, determinando un progressivo isolamento della vittima. Secondo analisi psicologiche, alla base di tali comportamenti esiste sempre un disturbo della personalità dell’aggressore che nell’infanzia deve aver vissuto come vittima esperienze analoghe. Freud definisce tale comportamento come “identificazione all’aggressore”. I soggetti mobbizzati sono perlopiù lavoratori di fascia medio-alta: diplomati e laureati, impiegati di concetto, quadri, dirigenti, con una lieve prevalenza delle donne. Harald Ege, studioso internazionalmente riconosciuto come uno dei massimi esperti in Relazioni Industriali e Psicologia del lavoro suole definire il mobbing come una comunicazione essenzialmente negativa, in cui la vittima è destinata sempre ad avere la peggio. Fintanto che le parti in opposizione hanno forze uguali, parimenti la situazione è quella di un conflitto; quando, invece, le forze si squilibrano allora si determina il mobbing. La parte più debole è presa di mira e da allora si troverà sempre nella posizione di vittima. Una volta stigmatizzata, la vittima rimane tale e non c’è più niente da fare. Essere vittima, infatti, non dipende dal carattere, ma dall’ambiente. Le ricerche dello studioso tedesco sono indirizzate anche all’approfondimento del fenomeno in chiave geografica e sociale. La particolarità del mobbing in Italia rispetto agli altri paesi europei, risiede nel fatto che nella nostra penisola, come tra l’altro in tutti i paesi mediterranei esiste un forte legame familiare.
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Informazioni tesi
Autore: | Gaetano Anfora |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2000-01 |
Università: | Istituto per formazione e master post-laurea |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Psicologia Giuridica e Lavoro |
Relatore: | Domenico Egizio |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 61 |
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FAQ
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