Luci e ombre sulla tutela della “vittima” nel processo penale. Le nuove prospettive della riforma Cartabia a proposito di “giustizia riparativa”
Il lavoro si propone di analizzare un soggetto del fatto criminoso e, di conseguenza, del procedimento penale, non solo per la tutela che dovrebbe ricavarne, ma anche perché è fondamentale la sua partecipazione ai fini dell’accertamento: la persona offesa del reato, o vittima. È compiuta un’analisi diacronica e sincronica che si pone l’obiettivo di fornire una panoramica della posizione della persona offesa nel procedimento penale fino ai giorni d’oggi, in cui nel nostro ordinamento ricopre un ruolo centrale ai fini della realizzazione dei programmi di giustizia riparativa, istituto dalle enormi potenzialità disciplinato in maniera organica dal decreto legislativo attuativo della legge delega 134 del 2021, meglio nota come riforma Cartabia, spunto e punto di arrivo dell’intera trattazione.
In particolare, è fornito qualche riferimento alla disciplina che si occupa esclusivamente dello studio della vittima, cioè la vittimologia, che ha contribuito al riconoscimento della figura della persona offesa, inizialmente relegata in una posizione del tutto marginale in considerazione dell’impianto accusatorio del nostro sistema processual-penalistico, caratterizzato dal contraddittorio tra imputato e magistrato del p.m. dinanzi ad un giudice terzo e imparziale.
La trattazione si occupa di passare in rassegna le fonti internazionali e sovranazionali, i contributi giurisprudenziali a cui il legislatore interno si è adeguato, emanando una disciplina che fornisce assistenza e maggiori garanzie alla persona offesa dal reato prima, durante e dopo il procedimento penale, a partire dai diritti informativi per partecipare attivamente al processo.
Tra tutte le fonti di soft law e hard law che hanno rappresentato una tappa importante di questo percorso di rivalutazione della figura della persona offesa dal reato, particolare enfasi è rivolta alle novità introdotte dalla Decisione quadro 2001/220/GAI e, soprattutto alla Direttiva 2012/29/UE, definita lo “statuto europeo della vittima”. Questa Direttiva è stata recepita nell’ordinamento interno, al contrario della Decisione quadro, con il d.lgs. 212/2015, che, seppur appaia in alcuni punti controverso, ha trasformato il processo italiano in un processo “antropocentrico”, attento soprattutto alla protezione della particolare categoria delle “vittime vulnerabili”, di cui si è occupata la legislazione emergenziale degli ultimi anni.
Il presente lavoro approfondisce la giustizia riparativa, istituto che permette di soddisfare maggiormente la vittima a seguito della commissione del reato, consente una “riparazione” della vittima non limitata prettamente all’aspetto economico e, allo stesso tempo, esplica le potenzialità della sua figura nel corso del procedimento penale. Ne sono analizzate le origini e le esperienze più interessanti nei sistemi ordinamentali stranieri, da cui poter prendere spunto.
È messo in evidenza come la giustizia riparativa, nelle varie forme che può assumere nel processo nostrano, costituisce un’occasione unica per consentire di “ricucire” i rapporti, ove possibile, tra vittima e colpevole (o presunto tale), a vantaggio di entrambi, superando la logica meramente retributiva e vendicativa della pena, che non rispetta la finalità rieducativa di cui all’articolo 27 comma 3 della Costituzione.
Il lavoro di ricerca evidenzia, dunque, come la disciplina della giustizia riparativa, nonostante alcune perplessità, in particolare sul rispetto del principio di non colpevolezza, risulti “il fiore all’occhiello” della recente riforma Cartabia, su cui maggiormente si punta per soddisfare la necessità di rinnovamento, anche in considerazione dei fondi stanziati dal PNRR. Costituisce un’opportunità per mettere in primo piano le istanze dell’offeso, evita la vittimizzazione secondaria ai danni della vittima “nel processo” e, allo stesso tempo, che l’indagato/imputato diventi una “vittima del processo”, in considerazione del rischio di sacrificare i diritti del soggetto sottoposto a procedimento penale: è una “via di fuga” per non incorrere negli effetti pregiudizievoli che, spesso inesorabilmente, il sistema giustizia, come è attualmente strutturato, causa. A dimostrazione delle prospettive che la restorative justice offre, è evidenziato che gli strumenti di diversion apprestano le maggiori garanzie e ovviano ai pericoli rappresentati, in particolare, dalla irragionevole durata del processo, dalla diffusione di dati sensibili e riservati che, oltre a inquinare la verità processuale, può violare il diritto alla riservatezza dei soggetti coinvolti nel processo. Infine, sono illustrate le potenzialità della giustizia riparativa per non incorrere nella dimensione repressiva dell’esecuzione penale del condannato, che può assumere anche risvolti tragici, come, tra tutti, il caso Cucchi, ha portato alla ribalta.
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Informazioni tesi
Autore: | Gemma Colarieti |
Tipo: | Laurea magistrale a ciclo unico |
Anno: | 2021-22 |
Università: | Università degli Studi di Salerno |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Donatello Cimadomo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 281 |
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