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Le discriminazioni sui luoghi di lavoro dopo il D.Lgs. 216/2003

La presente trattazione si propone di analizzare una tematica di grande attualità non solo dal punto di vista giuridico, ma, altresì, sociale, quale quella delle "dicriminazioni sui luoghi di lavoro", in particolare soffermando l'attenzione in relazione a tutte le fasce sociali che maggiormente potremmo considerare a rischio discriminazione (donne, persone con orientameno sessuale diverso da quello etero, disabili, malati di HIV, ex detenuti ecc...) ed analizzando le specifiche normative intervenute in tali settori di operatività sul tema in merito alla problematica in esame. Il tutto, a partire dall'ultima normativa generale in tema di discriminazioni sui luoghi di lavoro, il D.Lgs. 216/2003, posto a raffronto con le specifiche normative settoriali, onde individuarne pecche ed aspetti positivi. In secondo luogo, ci si sofferma, altresì, sulle modalità di esplicazione delle discriminazioni lavorative (es. mobbing), nonchè, da ultimo, sui rimedi processuali sussistenti relativamente ad ogni singolo settore di operatività. L'intero lavoro di studio e ricerca attuato, peraltro, non si pone come un mero excursus legislativo, ma mira ad una lettura critica della problematica e delle stesse normative, avanzando anche proposte giuridiche atte ad affrontare la medesima questione.

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INTRODUZIONE La presente trattazione si propone di illustrare, in tutte le sue sfaccettature, il fenomeno della discriminazione nei luoghi di lavoro, con riguardo sia all’accesso al mercato del lavoro sia alle condizioni di svolgimento delle proprie mansioni. Si tratta di una tematica di grande attualità se si considera che oggi giorno molti tra i lavoratori sono vittime di tale fenomeno sia in maniera diretta sia indirettamente, attraverso l’applicazione, da parte del datore di lavoro, di criteri apparentemente neutri, ma che in realtà sono volti a recare un trattamento sfavorevole e deteriore a determinate categorie di lavoratori. Tuttavia, nonostante la rilevante dimensione della problematica, poco ci si sofferma oggi a considerare il fenomeno discriminatorio in ambito lavorativo, anche in sede istituzionale, forse perché, soprattutto in relazione a determinati fattori, la si ritiene una questione ormai superata. Al contrario, è una problematica sempre attuale, che, nel corso del tempo, è sempre più connotata da varie sfaccettature; ciò sia in relazione alle potenziali cause di discriminazione sia alle modalità, sempre più latenti ed indirette, attraverso le quali è posta in essere. Fulcro della presente trattazione è il decreto legislativo 9 luglio 2003 n. 216, attuativo della direttiva comunitaria 78/2000 relativa alla parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro. Un input particolarmente interessante se si considera la portata meramente formale del citato decreto, che si limita ad asserire un semplice divieto di discriminazione in ambito lavorativo per motivi di orientamento sessuale, handicap, età, religione e convinzioni personali, ma che nulla ci dice in merito ad una tutela positiva e dinamica del fenomeno, volta a conseguire obiettivi di uguaglianza sostanziale, non recependo affatto la direttiva 78/2000 circa l’invito rivolto dalle istituzioni comunitarie agli stati membri a predisporre piani di azioni positive per affrontare la questione in termini reali. Tuttavia, è nella sua sostanziale irrilevanza che il decreto 216/2003 si mostra interessante, proprio perché si presta facilmente a spunti critici degni di nota, soprattutto se raffrontato alla normativa nazionale preesistente, relativa ai vari fattori oggetto della nostra indagine, rispetto 1

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