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La frazionabilità della domanda giudiziale

È possibile parcellizzare una domanda giudiziale? Ad esempio, può il creditore di una somma di denaro agire in giudizio per ottenerne una frazione e, contemporaneamente o successivamente, agire per conseguirne altre?
Nel primo capitolo della tesi, dopo una panoramica della giurisprudenza sul tema (con particolare riferimento a Cass., S.U., 15 novembre 2007, n. 23726, e 10 aprile 2000, n. 108) si rappresentano le conseguenze processuali alle quali può andare incontro, oggi, una domanda giudiziale avente ad oggetto una frazione dell’intero quantum astrattamente richiedibile.
Nel secondo capitolo si tenta di dimostrare che, diversamente da quanto affermato dalle S.U. nel 2007, la contrarietà dell’azionamento parcellizzato ai canoni generali di buona fede e correttezza non può essere presunta, ma va valutata caso per caso alla luce degli interessi (non sempre emulativi) concretamente perseguiti dall’attore mediante tale modus agendi e della possibilità, per il convenuto, di utilizzare gli strumenti giuridici per impedirlo (quali l’istanza di riunione delle cause, la messa in mora del creditore, la domanda riconvenzionale di accertamento negativo dell’intero) senza rischiare di aggravare ulteriormente la propria posizione. Si evidenzia, inoltre, che da un lato l’eventuale contrarietà del frazionamento ai principi menzionati non può, da sola, giustificare il rigetto in rito delle domande proposte, dall’altro la disciplina delle spese processuali permette di rimediare a posteriori ai pregiudizi che l’azionamento parcellizzato potrebbe aver arrecato al convenuto.
Nel terzo capitolo, confutando gli altri argomenti che nel corso degli anni sono stati spesi a favore o contro il frazionamento, si osserva che un generale divieto di azionamento parcellizzato non può fondarsi né sui principi costituzionali del giusto processo, della sua ragionevole durata e del giudice naturale (con i quali il frazionamento sembra compatibile), né sulle disposizioni codicistiche relative alle sentenze parziali, alla condanna generica e alla provvisionale (norme speciali che paiono presupporre l’originaria instaurazione di un unico processo), né sulla disciplina sostanziale dell’adempimento parziale (nella quale emergono interessi diversi da quelli perseguibili mediante l’azionamento parcellizzato). Inoltre, si rileva che, di per sé, il principio dispositivo consente di proporre più azioni aventi ad oggetto ciascuna una diversa frazione del bene della vita astrattamente richiedibile in un unico giudizio.
Nel quarto capitolo si distingue il frazionamento in senso proprio, nel quale viene parcellizzata un’unica domanda giudiziale, da quello in senso improprio, consistente nella proposizione di più domande diverse, seppur connesse. Si valuta, quindi, in quale delle due categorie rientrino il frazionamento dell’azione risarcitoria e l’instaurazione di cause separate aventi ad oggetto rispettivamente il capitale, gli interessi moratori e il maggior danno. Infine, dimostrata l’ammissibilità del frazionamento in senso improprio e ricostruita la sua disciplina, ci si chiede se il divieto del bis in idem e la regola per la quale il giudicato copre (non solo il dedotto ma anche) il deducibile permettano o meno di praticare il frazionamento in senso proprio. Così, escluso che l’espressa riserva di agire successivamente per il residuo possa incidere sulla naturale estensione oggettiva del giudicato, si propongono tre possibili soluzioni del problema:
- una prima, contraria alla parcellizzazione de qua, che ricomprende nel deducibile coperto dal giudicato la porzione non richiesta del bene della vita riferibile al titolo dedotto;
- una seconda, favorevole al frazionamento in senso proprio, che considera diverse le domande aventi ad oggetto differenti frazioni del bene della vita richiedibile in un unico giudizio sulla base dello stesso titolo;
- una terza che reputa impraticabile l’azionamento parcellizzato solo qualora, per svolgere l’accertamento sulla frazione richiesta, il giudice non possa che accertare e quantificare esattamente l’intero.

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INTRODUZIONE È possibile parcellizzare una domanda giudiziale? Ad esempio, può il creditore di una somma di denaro agire in giudizio per ottenerne una frazione e, contemporaneamente o successivamente, agire per conseguirne altre? Nel 2007 le sezioni unite della Cassazione 1 , ribaltando l’orientamento espresso sette anni prima 2 , hanno negato tale possibilità. La pronuncia, però, avendo tralasciato l’analisi di alcuni argomenti a favore della frazionabilità della domanda trattati dalla sentenza del 2000, non sembra aver sopito gli ormai risalenti contrasti dottrinali e giurisprudenziali. Ciò, in aggiunta alla mancanza di norme sul punto, rende assai arduo rispondere al quesito enunciato. Nel primo capitolo della tesi, dopo una panoramica delle diverse posizioni assunte nell’ultimo sessantennio dalla Cassazione, si confronteranno le opposte motivazioni addotte dalle due sentenze delle Sezioni unite e, tenendo conto dei più recenti interventi giurisprudenziali e legislativi, ci si interrogherà sulle conseguenze processuali alle quali può andare incontro, oggi, una domanda giudiziale avente ad oggetto una frazione dell’intero quantum astrattamente richiedibile. Nel secondo capitolo si giungerà a dimostrare che, diversamente da quanto affermato dalle S.U. nel 2007, la contrarietà dell’azionamento parcellizzato ai canoni generali di buona fede e correttezza non può essere presunta, ma va valutata caso per caso alla luce degli interessi (non sempre emulativi) concretamente perseguiti dall’attore mediante tale modus agendi e della possibilità, per il convenuto, di utilizzare gli strumenti giuridici per impedirlo (quali l’istanza di riunione delle cause, la messa in mora del creditore, la domanda riconvenzionale di accertamento negativo dell’intero) senza rischiare di aggravare ulteriormente la propria posizione. Si sosterrà, inoltre, che da un lato l’eventuale contrarietà del frazionamento ai principi menzionati non può, da sola, giustificare il rigetto in rito delle domande proposte, dall’altro la disciplina delle spese processuali permette di rimediare a posteriori ai pregiudizi che l’azionamento parcellizzato potrebbe aver arrecato al convenuto. Nel terzo capitolo saranno confutati gli altri argomenti che nel corso degli anni sono stati spesi a favore o contro il frazionamento. Si sosterrà, dunque, che un generale divieto di azionamento parcellizzato non può fondarsi né sui principi costituzionali del giusto processo, della sua ragionevole durata e del giudice naturale (con i quali il frazionamento sembra compatibile), né sulle disposizioni codicistiche relative alle sentenze parziali, alla condanna generica e alla provvisionale (norme speciali che paiono presupporre l’originaria instaurazione di un unico processo), né sulla disciplina sostanziale dell’adempimento parziale (nella quale emergono interessi diversi da quelli perseguibili mediante l’azionamento parcellizzato). Inoltre, sarà rilevato che, di per sé, il principio dispositivo consente di proporre più azioni aventi ad oggetto ciascuna una diversa frazione del bene della vita astrattamente richiedibile in un unico giudizio. Nel quarto capitolo si distinguerà il frazionamento in senso proprio, nel quale viene parcellizzata un’unica domanda giudiziale, da quello in senso improprio, consistente nella proposizione di più domande diverse, seppur connesse. In seguito, si valuterà in quale delle due categorie rientrino il frazionamento dell’azione risarcitoria e l’instaurazione di cause separate aventi ad oggetto rispettivamente il capitale, gli interessi moratori e il maggior danno. Infine, dimostrata l’ammissibilità del frazionamento in senso improprio e ricostruita la sua disciplina, ci si chiederà se 1 Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726. 2 Cass., sez. un., 10 aprile 2000, n. 108. 1

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