INTRODUZIONE
È possibile parcellizzare una domanda giudiziale? Ad esempio, può il creditore di una somma di
denaro agire in giudizio per ottenerne una frazione e, contemporaneamente o successivamente, agire
per conseguirne altre?
Nel 2007 le sezioni unite della Cassazione
1
, ribaltando l’orientamento espresso sette anni prima
2
,
hanno negato tale possibilità. La pronuncia, però, avendo tralasciato l’analisi di alcuni argomenti a
favore della frazionabilità della domanda trattati dalla sentenza del 2000, non sembra aver sopito gli
ormai risalenti contrasti dottrinali e giurisprudenziali. Ciò, in aggiunta alla mancanza di norme sul
punto, rende assai arduo rispondere al quesito enunciato.
Nel primo capitolo della tesi, dopo una panoramica delle diverse posizioni assunte nell’ultimo
sessantennio dalla Cassazione, si confronteranno le opposte motivazioni addotte dalle due sentenze
delle Sezioni unite e, tenendo conto dei più recenti interventi giurisprudenziali e legislativi, ci si
interrogherà sulle conseguenze processuali alle quali può andare incontro, oggi, una domanda
giudiziale avente ad oggetto una frazione dell’intero quantum astrattamente richiedibile.
Nel secondo capitolo si giungerà a dimostrare che, diversamente da quanto affermato dalle S.U.
nel 2007, la contrarietà dell’azionamento parcellizzato ai canoni generali di buona fede e correttezza
non può essere presunta, ma va valutata caso per caso alla luce degli interessi (non sempre
emulativi) concretamente perseguiti dall’attore mediante tale modus agendi e della possibilità, per il
convenuto, di utilizzare gli strumenti giuridici per impedirlo (quali l’istanza di riunione delle cause,
la messa in mora del creditore, la domanda riconvenzionale di accertamento negativo dell’intero)
senza rischiare di aggravare ulteriormente la propria posizione. Si sosterrà, inoltre, che da un lato
l’eventuale contrarietà del frazionamento ai principi menzionati non può, da sola, giustificare il
rigetto in rito delle domande proposte, dall’altro la disciplina delle spese processuali permette di
rimediare a posteriori ai pregiudizi che l’azionamento parcellizzato potrebbe aver arrecato al
convenuto.
Nel terzo capitolo saranno confutati gli altri argomenti che nel corso degli anni sono stati spesi a
favore o contro il frazionamento. Si sosterrà, dunque, che un generale divieto di azionamento
parcellizzato non può fondarsi né sui principi costituzionali del giusto processo, della sua
ragionevole durata e del giudice naturale (con i quali il frazionamento sembra compatibile), né sulle
disposizioni codicistiche relative alle sentenze parziali, alla condanna generica e alla provvisionale
(norme speciali che paiono presupporre l’originaria instaurazione di un unico processo), né sulla
disciplina sostanziale dell’adempimento parziale (nella quale emergono interessi diversi da quelli
perseguibili mediante l’azionamento parcellizzato). Inoltre, sarà rilevato che, di per sé, il principio
dispositivo consente di proporre più azioni aventi ad oggetto ciascuna una diversa frazione del bene
della vita astrattamente richiedibile in un unico giudizio.
Nel quarto capitolo si distinguerà il frazionamento in senso proprio, nel quale viene parcellizzata
un’unica domanda giudiziale, da quello in senso improprio, consistente nella proposizione di più
domande diverse, seppur connesse. In seguito, si valuterà in quale delle due categorie rientrino il
frazionamento dell’azione risarcitoria e l’instaurazione di cause separate aventi ad oggetto
rispettivamente il capitale, gli interessi moratori e il maggior danno. Infine, dimostrata
l’ammissibilità del frazionamento in senso improprio e ricostruita la sua disciplina, ci si chiederà se
1 Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726.
2 Cass., sez. un., 10 aprile 2000, n. 108.
1
il divieto del bis in idem e la regola per la quale il giudicato copre (non solo il dedotto ma anche) il
deducibile permettano o meno di praticare il frazionamento in senso proprio. Così, escluso che
l’espressa riserva di agire successivamente per il residuo possa incidere sulla naturale estensione
oggettiva del giudicato, si proporranno tre possibili soluzioni del problema:
- una prima, contraria alla parcellizzazione de qua, che ricomprende nel deducibile coperto dal
giudicato la porzione non richiesta del bene della vita riferibile al titolo dedotto;
- una seconda, favorevole al frazionamento in senso proprio, che considera diverse le domande
aventi ad oggetto differenti frazioni del bene della vita richiedibile in un unico giudizio sulla base
dello stesso titolo;
- una terza che reputa impraticabile l’azionamento parcellizzato solo qualora, per svolgere
l’accertamento sulla frazione richiesta, il giudice non possa che accertare e quantificare esattamente
l’intero.
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CAPITOLO PRIMO
IL FRAZIONAMENTO DELLA DOMANDA NELLA GIURISPRUDENZA DELLA
CASSAZIONE
1. La giurisprudenza della Cassazione in tema di frazionamento e gli opposti orientamenti
espressi dalle Sezioni unite nel 2000 e nel 2007
Dagli anni Cinquanta ad oggi la giurisprudenza si è espressa molte volte sul tema del
frazionamento della domanda giudiziale, ma non sembra essere mai arrivata ad un orientamento
consolidato.
Limitando l’analisi alle pronunce della Cassazione, si rileva che:
1) in alcune occasioni la S.C. ha negato all’attore la possibilità di frazionare in più processi il
quantum di un’obbligazione pecuniaria
3
;
2) in altre ha affermato, con specifico riferimento al risarcimento dei danni cagionati da un unico
illecito, che la formazione del giudicato su una o più voci di danno preclude l’instaurazione di un
nuovo processo al fine di ottenere la liquidazione di voci non dedotte ma deducibili nel corso del
primo giudizio
4
;
3) alcune sentenze consentono l’azionamento frazionato di un credito pecuniario unitario
5
;
4) altre, riguardanti specificamente il risarcimento dei danni, permettono all’attore di far valere
in giudizi separati le diverse voci di danno riferibili ad un unico illecito
6
.
3 Si vedano Cass. 23 ottobre 1961, n. 2329; 15 settembre 1975, n. 3057; 23 luglio 1997, n. 6900, e 14 novembre 1997,
n. 11271, nelle quali l’azionamento frazionato di un credito unitario è considerato un abuso del diritto in quanto
contrario al principio di buona fede; 8 agosto 1997, n. 7400, che oltre ai principi di buona fede e correttezza
richiama l’art. 1181 c.c., dal quale si evincerebbe la necessità che la prestazione sia adempiuta nella sua interezza.
Conformi a Sez. un. 15 novembre 2007, n. 23726, che ha avallato l’orientamento in parola (sulla quale v. infra, nel
testo), sono le sentenze 27 maggio 2008, n. 13791; 11 giugno 2008, n. 15476; 20 novembre 2009, n. 24539; 27
gennaio 2010, n. 1706.
4 Cass. 25 maggio 1957, n. 1915; 25 gennaio 1958, n. 188; 30 gennaio 1956, n. 270; 20 aprile 1991, n. 4266; 17
ottobre 1991, n. 10948; 2 marzo 1994, n. 2059, negano la possibilità che, in caso di mora nell’adempimento di
obbligazioni pecuniarie, formatosi un giudicato sulla liquidazione del risarcimento comprensiva degli interessi legali
moratori, si possa proporre in un successivo processo l’azione di maggiori danni ex art. 1224, co. 2, c.c.
Cass. 6 giugno 1979, n. 3186; 11 maggio 1983, n. 3229; 19 agosto 1987, n. 6952; 2 settembre 2000, n. 11520; 11
giugno 2008, n. 28719, affermano che il passaggio in giudicato della liquidazione dell’indennità di anzianità (oggi
trattamento di fine rapporto) preclude la successiva azione volta a conseguire l’integrazione della stessa in relazione
a componenti retributive non dedotte ma deducibili nel precedente processo.
Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, sostiene che il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. non sia
frazionabile in sottocategorie e vada dunque liquidato integralmente in un unico processo.
5 Secondo Cass. 15 aprile 1998, n. 3814; 19 ottobre 1998, n. 10326; 5 novembre 1998, n. 11114; 9 novembre 1998, n.
11265; 28 luglio 2005, n. 15807, poiché l’attore ex art. 1181 c.c. può accettare una prestazione parziale, nulla
dovrebbe impedirgli di domandarla in giudizio. Sulla stessa linea, rimarcata da Sez. un. 10 aprile 2000, n. 108 (sulla
quale v. infra, nel testo), si pongono Cass. 28 agosto 2000, n. 11203, e 4 maggio 2005, n. 9224. La pronuncia delle
S.U. del 2000 sembra esigere che l’attore, nel momento in cui domandi al giudice una frazione del proprio credito,
manifesti espressamente la propria volontà di instaurare un successivo processo per l’ottenimento del residuo.
6 Si vedano Cass. 9 ottobre 1956, n. 3417; 27 marzo 1958, n. 1019; 20 marzo 1972, n. 839; 19 ottobre 1972, n. 3131;
8 luglio 1981, n. 4488; 23 giugno 1989, n. 3020; 15 ottobre 1992, n. 11322; 6 agosto 1997, n. 7275; 27 ottobre 1998,
n. 10702; 6 dicembre 2005, n. 26687; 6 luglio 2006, n. 15366; 30 ottobre 2006, n. 23342; 22 agosto 2007, n. 17873;
29 novembre 2007, n. 24913; 12 dicembre 2007, n. 26078; 29 gennaio 2008, n. 1985.
3
Per comprendere se gli approdi giurisprudenziali sub 2) e 4) siano riferibili al tema della
parcellizzazione di un’unica domanda giudiziale oppure, al contrario, riguardino una pluralità di
domande diverse, ma dotate di elementi identificativi comuni, si rinvia al quarto capitolo.
Meritevoli di un esame più approfondito sono le uniche due sentenze emanate dalla Cassazione a
sezioni unite: la n. 108 del 2000 e la n. 23726 del 2007.
La prima reputa «ammissibile la domanda giudiziale con la quale il creditore di una determinata
somma, derivante dall’inadempimento di un unico rapporto, chieda un adempimento parziale, con
riserva di azione per il residuo»
7
. A sostegno di tale enunciato, la S.C. pone i seguenti argomenti:
- mancano espresse disposizioni o principi generali dai quali si possa desumere l’inammissibilità
della domanda che abbia ad oggetto solo una parte di un credito pecuniario;
- l’art. 1181 c.c., permettendo al creditore di accettare un pagamento parziale, sembra anche
consentirgli di richiederlo in giudizio;
- gli artt. 277, co. 2, e 278, co. 2, c.c. (riguardanti rispettivamente le pronunce parziali e le
sentenze di condanna al pagamento di una provvisionale) non si occupano del tema in esame poiché
sembrano disciplinare fattispecie nelle quali con la domanda iniziale sia stato dedotto l’intero
credito;
- la giurisprudenza prevalente ammette che si possa esperire un’azione di condanna generica
(limitata, dunque, all’an debeatur), con riserva di agire in separato giudizio per la determinazione
del quantum
8
;
- il frazionamento non viola i principi di buona fede e correttezza, i quali, al contrario, sono già
stati violati dal debitore inadempiente;
- gli interessi che spingono l’attore a dedurre nel processo una parte soltanto del proprio credito
possono essere meritevoli di tutela: egli potrebbe adire un giudice inferiore e, in tal modo, ottenere
una definizione più celere della controversia, nonché un risparmio sui costi della lite; inoltre, in
caso di sentenza favorevole, potrebbe, con riferimento alla frazione residua del quantum, sperare
nell’adempimento spontaneo della controparte; infine, potrebbe ottenere in tempi relativamente
brevi un giudicato spendibile nei processi aventi ad oggetto le rimanenti frazioni del credito;
- per evitare di essere convenuto in tanti processi quante sono le azioni proposte dall’attore, il
debitore può mettere in mora il creditore offrendogli il pagamento di tutta la somma dovuta, o può,
al contrario, proporre una domanda riconvenzionale di accertamento negativo dell’intero credito.
La pronuncia del 2000, infine, richiama a sostegno della propria soluzione la giurisprudenza - già
ricordata sub 4) - che, in materia di risarcimento, ammette la possibilità di far valere in giudizi
separati le diverse voci di danno riferibili a un unico illecito.
Sette anni dopo, con la sentenza n. 23726 del 2007, le Sezioni unite hanno capovolto il loro
precedente orientamento enunciando «il principio (...) per cui è contrario alla regola generale di
correttezza e buona fede, in relazione al dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., e si risolve in
Con particolare riferimento alla domanda di maggior danno ex art. 1224, co. 2, c.c., proposta in un processo diverso
rispetto a quello in cui sono stati liquidati gli interessi legali moratori, si vedano: Cass. 27 marzo 1957, n. 1059; 9
dicembre 1960, n. 3218; 27 gennaio 1989, n. 519; 8 marzo 1990, n. 1864; 8 giugno 1994, n. 5542; 2 febbraio 1995,
n. 1254; 14 aprile 1995, n. 4277; 18 maggio 1995, n. 5453; 3 dicembre 1996, n. 10805; 4 marzo 2003, n. 3187.
Secondo la maggior parte delle sentenze citate in questa nota, il danneggiato, per evitare che una domanda di
risarcimento conduca ad un giudicato comprensivo di tutte le possibili voci di danno astrattamente deducibili, nel
giudizio in cui ne deduca solo alcune avrebbe l’onere di manifestare espressamente la volontà di agire in un altro
processo per quelle rimanenti. Cass. 7 ottobre 1954, n. 3403, al contrario, esclude espressamente la rilevanza della
riserva da parte dell’attore di agire separatamente per il residuo.
7 La sentenza è annotata in senso adesivo, seppure con qualche riserva, da T. DALLA MASSARA, Tra res iudicata e bona
fides: le Sezioni unite accolgono la frazionabilità nel quantum della domanda di condanna pecuniaria, in Corr.
giur., 2000, 1618; A. MELONI CABRAS, Domanda di adempimento frazionata e violazione dei canoni di buona fede e
correttezza, in Obbl. e contr., 2008, 784; A. RONCO, in Giur. it., 2001, 1147; E. SENA, Richiesta di adempimento
parziale e riserva di azione per il residuo: l’orientamento delle Sezioni unite della Cassazione, in Dir. e giur., 2002,
443; in senso critico da V . ANSANELLI, Rilievi minimi in tema di abuso del processo, in Nuova giur. civ. comm., 2001,
I, 506; A. CARRATTA, Ammissibilità della domanda giudiziale "frazionata" in più processi?, in Giur. it., 2001, 1143;
R. MARENGO, Parcellizzazione della domanda e nullità dell’atto, in Giust. civ., 2000, 2268; S. MINETOLA, in Giur. it.,
2001, 1146.
8 Le S.U. citano, a tal proposito, Cass. 23 novembre 1995, n. 12103; 22 agosto 1997, n. 7888; 8 gennaio 1999, n. 85.
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