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Forma ed impugnazione del licenziamento

La cessazione di un rapporto di lavoro subordinato costituisce, molto spesso, un evento traumatico per il prestatore d'opera e, in ogni caso, quando l'iniziativa di porre termine al rapporto proviene dal datore di lavoro, impone quasi sempre un'attenta valutazione, sia per l'aspetto formale che per quello sostanziale.
Esistono, proprio per l'importanza di questo evento, specifiche regole da seguire e numerosi aspetti da considerare sotto pena, in caso di inosservanza, di conseguenze non solo di natura economica, ma anche, a volte, ben più radicali, che possono arrivare a togliere effetto al provvedimento, ripristinando quindi lo status quo ante.
Le disposizioni legislative in tema di licenziamento sono il frutto di una evoluzione storica, che nel corso negli anni ha previsto diversi gradi di tutela: al giorno d'oggi sono ormai pochissimi i casi in cui si è mantenuto il regime di libera recedibilità (i casi, cioè, in cui il datore di lavoro è libero di attuare il c.d. licenziamento ad nutum), mentre, a partire dall'entrata in vigore della legge 15 luglio 1966, n. 604, il regime vincolistico dell’obbligo di motivazione del licenziamento si è trasformato in regola generale.
Si è venuto in tal modo a creare un complesso sistema di rapporti tra qualificazione del licenziamento (individuale, collettivo, disciplinare), vizi formali del recesso (per mancanza di una forma particolare dell'atto o per inosservanza di una determinata procedura), categoria di invalidità dell'atto (inesistenza, inefficacia, nullità, annullabilità), tipologia del meccanismo sanzionatorio (tutela ex art. 18 della legge n. 300/1970, tutela civilistica o tutela c.d. “obbligatoria” ex art. 2 della legge n. 108/1990) e regime impugnatorio (secondo lo schema di cui all'art. 6 della legge n. 604/1966 o secondo il sistema previsto dall'art. 2 della legge n. 108/1990). Tale complicato insieme di rapporti ha determinato sul piano giurisprudenziale risultati spesso contraddittori, che potrebbero indurre in errore anche l'interprete più esperto.
Scopo di questa dissertazione, intitolata «Forma ed impugnazione del licenziamento», è quindi quello di fissare alcune basilari nozioni per la cognizione dei problemi interpretativi di maggior rilievo, che hanno impegnato dottrina e giurisprudenza, non solo di merito, in tema di forma ed impugnazione dell'atto di recesso datoriale.
In particolare, sarà trattato il tema della forma del licenziamento, anche in riferimento a fattispecie particolari, quali il licenziamento durante il periodo di prova e il licenziamento dei dirigenti, per poi passare alla disamina dell'impugnazione del licenziamento e delle conseguenze sanzionatorie, sempre attraverso il puntuale rimando alle disposizioni sostanziali dei principali testi normativi in materia, senza tralasciare la doverosa attenzione verso i contributi offerti dai maggiori esperti in dottrina e verso le più significative pronunce della giurisprudenza, soprattutto della Suprema Corte.

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3 INTRODUZIONE La cessazione di un rapporto di lavoro subordinato costituisce, molto spesso, un evento traumatico per il prestatore d'opera e, in ogni caso, quando l'iniziativa di porre termine al rapporto proviene dal datore di lavoro, impone quasi sempre un'attenta valutazione, sia per l'aspetto formale che per quello sostanziale. Esistono, proprio per l'importanza di questo evento, specifiche regole da seguire e numerosi aspetti da considerare sotto pena, in caso di inosservanza, di conseguenze non solo di natura economica, ma anche, a volte, ben più radicali, che possono arrivare a togliere effetto al provvedimento, ripristinando quindi lo status quo ante. Le disposizioni legislative in tema di licenziamento sono il frutto di una evoluzione storica, che nel corso negli anni ha previsto diversi gradi di tutela: al giorno d'oggi sono ormai pochissimi i casi in cui si è mantenuto il regime di libera recedibilità (i casi, cioè, in cui il datore di lavoro è libero di attuare il c.d. licenziamento ad nutum), mentre, a partire dall'entrata in vigore della legge 15 luglio 1966, n. 604, il regime vincolistico dell’obbligo di motivazione del licenziamento si è trasformato in regola generale. Si è venuto in tal modo a creare un complesso sistema di rapporti tra qualificazione del licenziamento (individuale, collettivo, disciplinare), vizi formali del recesso (per mancanza di una forma particolare dell'atto o per inosservanza di una determinata procedura), categoria di invalidità dell'atto (inesistenza, inefficacia, nullità, annullabilità), tipologia del meccanismo sanzionatorio (tutela ex art. 18 della legge n. 300/1970, tutela civilistica o tutela c.d. “obbligatoria” ex art. 2 della legge n. 108/1990) e regime impugnatorio (secondo lo schema di cui all'art. 6 della legge n. 604/1966 o secondo il sistema previsto dall'art. 2 della legge n. 108/1990). Tale complicato insieme di rapporti ha determinato sul piano giurisprudenziale risultati spesso contraddittori, che potrebbero indurre in errore anche l'interprete più esperto. Scopo di questa dissertazione, intitolata «Forma ed impugnazione del licenziamento», è quindi quello di fissare alcune basilari nozioni per la cognizione dei problemi interpretativi di maggior rilievo, che hanno impegnato dottrina e

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Informazioni tesi

  Autore: Diego Pelliccione
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2006-07
  Università: Università degli Studi di Parma
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Enrico Gragnoli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 91

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Parole chiave

604/66
acquiescenza
collettivo
comunicazione motivi
dirigenti
disciplinare
forma
giudiziale
impugnazione
invalidità
licenziamento
periodo di prova
procedura disciplinare
revoca
sanzionatori
stragiudiziale

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