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La confessione dell'imputato

Parlare con coerenza della confessione nel sistema processuale penale «significa tirare il ballo un certo numero di categorie: prova legale, libero convincimento, tecnica accusatoria, tecnica inquisitoria, ecc., ciascuna delle quali è comprensibile solo attraverso un’escursione nella storia dei sistemi». In questa prospettiva, «la confessione dell’imputato mantiene legami strettissimi con tutto l’impianto processuale in cui si inserisce» e anzi «lo oltrepassa e chiama in causa scenari più vasti» e in particolare le relazioni di potere che percorrono l’intero tessuto sociale.
La perdita di interesse per l’istituto della confessione nel processo penale ha caratterizzato tutti gli ordinamenti continentali, nel passaggio da un sistema inquisitorio caratterizzato dalla prova legale, in cui la confessione appariva come la regina delle prove, al processo moderno di stampo accusatorio, incentrato sul libero convincimento e sulla presunzione di innocenza, affermatosi a partire dalla metà del XIX secolo.
Con il passaggio al sistema accusatorio, infatti, la confessione diviene, da optima regina probationum, un mero momento eventuale dell’interrogatorio (accidente processuale) o un elemento sintomatico della personalità dell’imputato, semmai esaminabile alla luce del cd. diritto psicologico o della psicologia giuridica.
Questa indifferenza della dottrina verso l’istituto confessorio, però, si rivela in tutta la sua pericolosità se la si confronta con la prassi giudiziaria, in cui la confessione è tutt’ora ambita come unica prova veramente risolutiva e rappresenta spesso la principale finalità dell’interrogatorio e dell’assunzione di informazioni in fase di indagine preliminare.
Come sanare questa contraddizione? Come riempire questo vuoto teorico?
Questo è l’obiettivo che la tesi si propone di affrontare. Verranno evidenziate le lacune di disciplina, riguardanti sia la fattispecie in questione, sia altri istituti correlati, quali il diritto al silenzio, analizzando in ottica comparatistica le norme previste in altri ordinamenti nazionali e sovranazionali sull’argomento.
In secondo luogo, rifletteremo sulle modalità di svolgimento di quel momento critico che ha ad oggetto l’audizione dell’imputato, e, con l’ausilio dell’ampia letteratura scientifica di stampo psicologico riguardante il tema della confessione penale, a cercare di capire quale valore probatorio sia realmente possibile attribuire alla dichiarazione autoaccusatoria dell’imputato. Si tratta di una prova o di un indizio? Ci renderemo conto come, nella realtà, si tratti di una dichiarazione probatoria difficilmente classificabile in una categoria “stagna”, ma che necessita, per la sua trattazione, di un elevato grado di elasticità e della rinuncia a qualificazioni certe e rigide.
Fino ad arrivare al momento di massima criticità, e cioè quello in cui il giudice si ritrova solo a dover valutare una “prova” altamente inaffidabile come quella contra se, senza possedere le risorse e le conoscenze sufficienti per svolgere un’analisi sì ampia della veridicità intrinseca ed estrinseca di questa problematica categoria di dichiarazioni.
Durante il nostro viaggio, affronteremo diversi istituti collaterali, più o meno direttamente collegati all’oggetto della trattazione, fra cui la chiamata in correità, la testimonianza assistita e l’interrogatorio di garanzia. E riprenderemo, nondimeno, moltissimi altri concetti centrali per il nostro ordinamento, fra cui quello di “utilizzabilità” e di “esclusione” probatoria, proponendo eventuali modelli alternativi sulla cui convenienza saremo spinti a riflettere.
Perché il problema che “affligge” la confessione, a nostro parere, riguarda principalmente la sua stretta connessione e interdipendenza con moltissimi dei cardini del nostro sistema processuale penale e di quello prospettato dalle fonti internazionali. Un sistema, cioè, incentrato sul giusto processo, l’oralità e il principio del contraddittorio, in cui la confessione si colloca come punta di massima problematicità, in bilico fra nuovi e vecchi valori e fra nuovi e vecchi principi.
Come dimostra lo sforzo del legislatore del nuovo codice di mantenere l’equilibro fra due istanze almeno apparentemente contraddittorie: l’esigenza di accertamento della verità materiale e quella, non meno stringente, di tutela del diritto al silenzio e alla non collaborazione dell’imputato, nel quadro più ampio della tutela del contraddittorio fra le parti.

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1 INTRODUZIONE Come affermato da Franco Cordero e ribadito da Paolo Marchetti in apertura del suo libro, parlare con coerenza della confessione nel sistema processuale penale «significa tirare il ballo un certo numero di categorie: prova legale, libero convincimento, tecnica accusatoria, tecnica inquisitoria, ecc., ciascuna delle quali è comprensibile solo attraverso un‟escursione nella storia dei sistemi». In questa prospettiva, «la confessione dell‟imputato mantiene legami strettissimi con tutto l‟impianto processuale in cui si inserisce» e anzi «lo oltrepassa e chiama in causa scenari più vasti» e in particolare le relazioni di potere che percorrono l‟intero tessuto sociale. La perdita di interesse per l‟istituto della confessione nel processo penale ha caratterizzato tutti gli ordinamenti continentali, nel passaggio da un sistema inquisitorio caratterizzato dalla prova legale, in cui la confessione appariva come la regina delle prove, al processo moderno di stampo accusatorio, incentrato sul libero convincimento e sulla presunzione di innocenza, affermatosi a partire dalla metà del XIX secolo. In Italia, il silenzio sull‟argomento è stato interrotto soltanto in occasione di eclatanti casi giudiziari riguardanti alcune confessioni estorte dalla polizia giudiziaria, come se un approfondimento su tale tema potesse contribuire a fare un passo indietro nel superamento del sistema di stampo inquisitorio del vecchio regime. Con il passaggio al sistema accusatorio la confessione diviene, da optima regina probationum, un mero momento eventuale dell‟interrogatorio (accidente processuale) o un elemento sintomatico della personalità dell‟imputato, semmai esaminabile alla luce del cd. diritto psicologico o della psicologia giuridica. Questa indifferenza della dottrina verso l‟istituto confessorio, però, si rivela in tutta la sua pericolosità se la si confronta con la prassi giudiziaria, in cui la confessione è tutt‟ora ambita come unica prova veramente risolutiva e rappresenta

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