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Il testamento biologico

In questa tesi si cercherà di mettere in luce alcune tra le più importanti problematiche relative al c.d. “fine vita”, o meglio, alla qualità del c.d. “fine vita”. Non esistendo, nell'ordinamento giuridico italiano, una specifica disciplina cui fare riferimento per la fase terminale del paziente, si cercherà di individuare dei “puntelli normativi” evincendoli dai princìpi generali del nostro ordinamento e dai valori costituzionali, specie dagli artt. 2, 13, 32 Cost.
Nell'elaborato sono esposte delle riflessioni giuridiche ed etico-giuridiche intorno al tema dell'esercizio del diritto al rifiuto delle cure ai sensi dell'art. 32 Cost., ed in nome del diritto di autodeterminazione e della libertà personale proclamata inviolabile dall'art. 13 Cost.
La trattazione si preoccupa di analizzare, prima, l'esercizio del rifiuto “attuale” di cure, in seguito, l'esercizio del diritto al rifiuto “non attuale” di cure (e antecedente alla perdita di coscienza).
Si tenta di comprendere se il nostro ordinamento giuridico contempli la possibilità per il cittadino di esercitare il diritto di rifiuto alle cure anticipatamente, cioè “ora per allora”, ovverosia per il tempo in cui non sarà più capace di intendere e di volere; dunque, se si possa e si debba tener conto, in materia di trattamenti sanitari, della volontà espressa precedentemente alla perdita di coscienza anche quando il rifiuto riguardi trattamenti salvavita.
Verrà affrontato l'attualissimo argomento del possibile riconoscimento, anche nel nostro ordinamento, del testamento biologico.
Il testamento biologico è una dichiarazione fatta da una persona, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali (eventualmente davanti a testimoni e/o un notaio), in cui si specificano le condizioni entro le quali essa dovrà essere trattata nel caso in cui si trovasse impossibilitata a decidere in merito alla propria salute, a causa del sopraggiungere di uno stato di incapacità dovuto a malattia, infermità, vecchiaia, o altro.
Si cercherà di illustrare il dibattito dottrinale, offrendo una panoramica il più pluralistica possibile, tra: chi vede nel riconoscimento giuridico del testamento biologico una riaffermazione di princìpi fondamentali quali l'autodeterminazione, la dignità, l'informazione, poiché esso viene considerato come una logica estensione della cultura del consenso informato, ormai condizione necessaria per la liceità dell'intervento medico, affinché la relazione asimmetrica tra medico e paziente si trasformi in una vera e propria “alleanza terapeutica”; e chi, contrariamente, pone ostacoli all'accoglimento di un simile documento, poiché stenta a dare validità e vincolatività ad una dichiarazione di volontà non più attuale.

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Introduzione L'argomento di cui si tratterà in questa tesi, è un tema da sempre caro agli studiosi di filosofia, ma che negli ultimi tempi, ha risvegliato molti interrogativi anche fra diversi giuristi: il problema della disponibilità della propria salute e della propria vita in situazioni di grave malattia. La libertà individuale è uno dei princìpi cardine di tutti gli ordinamenti giuridici contemporanei; ma questa libertà, proclamata inviolabile, include anche la possibilità di decidere autonomamente le sorti del proprio corpo? A tale proposito ci si dovrebbe chiedere: <<di chi è il corpo? Della persona interessata, della sua cerchia familiare, di un Dio che l'ha donato, di una natura che lo vuole inviolabile, di un potere sociale che in mille modi se ne impadronisce, di un medico o di un magistrato che ne stabiliscono il destino?>>1. Le innovazioni tecnologiche, la ricerca medica e i costanti progressi in campo biologico e scientifico, hanno determinato un radicale miglioramento delle condizioni di ciascun individuo ed un avanzamento della vita media e della qualità dell'esistenza umana; tuttavia, nel caso di patologie irreversibili, la scoperta e l'utilizzazione di nuove tecniche cliniche hanno soltanto aumentato la durata della malattia e delle sue fasi terminali, con il risultato di un prolungamento della condizione di sofferenza del malato prima del suo inevitabile decesso. Si potrebbe dire che, in un certo senso, la tecnica abbia creato una sorta di tempo intermedio tra la vita e la morte, dove un'esistenza si protrae o in assenza di una vita cognitiva (si pensi ai malati in stato vegetativo permanente) oppure in conflitto con la capacità di sopportazione del paziente, il quale, a volte, chiede di essere aiutato a morire, o meglio, di essere lasciato morire. In queste circostanze, viene meno il principio di autodeterminazione del paziente nel campo dei trattamenti sanitari, secondo il quale ogni persona ha il pieno diritto di essere informato sulle scelte riguardanti la sua salute ed è libera di accettare o 1 STEFANO RODOTA', La vita e le regole, tra diritto e non diritto, Feltrinelli, Milano, 2007, 73, cit. 5

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