Il ruolo della violenza nella costruzione di un modello giuridico di stadio calcistico. Dai casi europei alle prospettive italiane.
La tesi si propone di analizzare il fenomeno della violenza nel mondo dello sport e il ruolo che esso ha nella costruzione di un modello giuridico di stadio calcistico.
Parlando di sport, è impossibile trascurare il tema della violenza negli stadi, definibile come un problema di proporzioni mondiali. Tale è la forza del fenomeno che pressoché qualsiasi tipo di Istituzione, a qualsiasi livello, ha dovuto affrontarlo. Occupandosi di sport e di sicurezza, ha trattato di violenza l’Europa, a livello tanto di Unione Europea, quanto di Consiglio d’Europa. Ancor più forte e costante è stato l’impegno dell’intero mondo sportivo, diviso nei suoi attori principali, dal CIO, alle Federazioni Internazionali, dalla FIFA alla singola società sportiva, ma trasversalmente unito - in quanto direttamente “vittima” del fenomeno - nello scopo comune di creare un mondo di sport senza violenza.
Come dimostrano le esperienze di numerosi paesi europei, il binomio calcio-violenza ha segnato l’evoluzione dei modelli giuridici creati per prevenire e arginare la piaga del tifo violento. Ancor più stretto appare il legame tra “stadio” e “violenza”. Le pagine nere scritte dalle follie degli hooligans e degli ultras, hanno contribuito, oltre che allo sviluppo di specifiche normative, anche alla definizione del concetto di stadio moderno, quando non addirittura al suo disegno. Non è errato supporre che gli stadi all’”inglese”, gli stadi tedeschi, gli stadi italiani, siano tali in conseguenza delle realizzazioni pratiche delle soluzioni individuate dalle Istituzioni per prevenire, limitare, reprimere il fenomeno della violenza.
Esperienze differenti hanno portato a espedienti non sempre così distanti, modellando le “culture da stadio”, frutto e, al medesimo tempo, causa dei costanti accorgimenti normativi. Così, i teatri stessi di tali violenze - che da sempre incorniciano tristemente le partite di calcio - hanno seguito (e seguono) un’evoluzione quasi parallela, modellandosi a loro volta, per reprimerle e prevenirle, o, quanto meno, per ridurle o tentare di “ammaestrarle”.
Il nostro paese non fa eccezione. Seppur buono a livello tecnico, l’impianto normativo di cui si è fornita l’Italia si è spesso accostato, nella sua evoluzione, alla vasta normativa anti-violenza, talvolta assecondando soluzioni contrastanti coi principi sportivi. Il modello italiano di prevenzione della violenza negli stadi si è, infatti, sviluppato con un approccio più che altro repressivo: spesso i rimedi ricercati hanno risposto all’esigenza del momento, senza riuscire a ricomprendere una prospettiva più ampia e più efficace, anche se, magari, di attuazione meno rapida (e di soddisfazione meno istantanea, ma più duratura e fruttifera).
Così oggi, mentre le iniziative si moltiplicano ad ogni legislatura - aumentando la confusione tanto sul piano tecnico quanto su quello tattico - gli stadi diventano militarizzati, ma la violenza trova comunque modi e pretesti per comparire. Sono pochi i casi in cui si è cercato di accettare la sfida di guardare al futuro nella direzione giusta, lavorando sulla cultura sportiva, piuttosto che sulla legislazione anti-violenza.
L’ultimo concetto introdotto nel panorama italiano è quello di “stadio produttivo”. Lo sport è, pressoché da sempre, anche attività economica oltre che socio-educativa, e il business calcistico conquista percentuali più che considerevoli dei PIL nazionali europei. Anche lo stadio - teatro dei matchs calcistici – deve pertanto diventare produttivo, poiché coi dovuti accorgimenti, può produrre reddito. Fioccano gli esempi in tutto il mondo, laddove scommesse vinte (o a volte imposte) hanno permesso la realizzazione di efficaci modelli di impianti produttivi, multifunzionali, culturali, commerciali, turistici e, dulcis in fundo, anche sportivi. Microcomunità aggregative che funzionano a 360°, ogni giorno dell’anno, coinvolgendo i frequentatori non solo (o forse non più?) come tifosi, ma anche come clienti, nell’accezione prettamente economica del termine.
L’Italia tenta di implementare questo approccio arrivando tra gli ultimi, finalmente contagiata da una filosofia ormai decennale in altri Stati europei. Con stadi obsoleti, carenti, inadeguati e pericolosi, e con una mentalità da decretazione d’urgenza, più che da pianificazione preventiva, il nostro paese non è mai riuscito a cogliere l’occasione per affiancarsi né accodarsi agli stardard dei più virtuosi modelli europei. Ma, meglio tardi che mai, il 2010 può essere l’anno della svolta. Un disegno di legge per “favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi e stadi”, tenta di introdurre concetti finalmente innovativi nel nostro mondo calcistico “anche a sostegno della candidatura dell'Italia a manifestazioni sportive di rilievo europeo o internazionale”.
Sarà forse questo il tanto agognato “modello italiano” di stadio calcistico?
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Informazioni tesi
Autore: | Stefano Simonetta |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Torino |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Mariano Protto |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 210 |
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