INTRODUZIONE
“Se questo può essere definito il secolo dell'uomo comune, allora il
calcio, fra tutti gli sport, può essere definito come il suo gioco per
eccellenza”
1
.
Le parole di Sir Stanley Ford Rous, pronunciate negli anni
Sessanta del secolo scorso, sono ancora attuali e riservano al calcio
un onore che poche altre discipline sportive si possono permettere.
In numerosi Paesi al mondo, il calcio è infatti considerato come
sinonimo dello sport stesso, forse anche per la sua semplicità quasi
primordiale che lo rende divertente e, in qualche modo,
spettacolare ad ogni livello.
Tale onore comporta, tuttavia, grandi responsabilità e pesanti
conseguenze; inteso come spaccato assai rappresentativo dello
sport in generale, il calcio ne possiede tutti i pregi, ma anche e
soprattutto, tutti i difetti. La violenza è, fuori dubbio, il “difetto” per
eccellenza.
La tesi si propone di analizzare il fenomeno della violenza nel
mondo dello sport e il ruolo che esso ha nella costruzione di un
modello giuridico di stadio calcistico.
Parlando di sport, e segnatamente di calcio, è impossibile
trascurare il tema della violenza negli stadi, definibile come un
problema di proporzioni mondiali. Tale è la forza del fenomeno che
pressoché qualsiasi tipo di Istituzione, a qualsiasi livello, ha dovuto
affrontarlo. Occupandosi di sport e di sicurezza, ha trattato di
violenza l’Europa, a livello tanto di Unione Europea, quanto di
Consiglio d’Europa. Ancor più forte e costante è stato l’impegno
1
Sir Stanley Ford Rous (1895 – 1986), arbitro inglese, dirigente calcistico e
presidente FIFA dal 1961 al 1974 (it.wikiedia.org e it.wikiquote.org).
INTRODUZIONE
II
dell’intero mondo sportivo, diviso nei suoi attori principali - dal
CIO, alle Federazioni Internazionali, dalla FIFA alla singola società
sportiva - ma trasversalmente unito nello scopo comune di creare
un mondo di sport senza violenza, poiché direttamente “vittima” del
fenomeno.
Come dimostrano le esperienze di numerosi paesi europei, il
binomio calcio-violenza ha da sempre segnato l’evoluzione dei
modelli giuridici creati per prevenire e arginare la piaga del tifo
violento. Ancor più stretto appare il legame tra “stadio” e “violenza”.
Le pagine nere scritte dalle follie degli hooligans e degli ultrà, hanno
contribuito, oltre che allo sviluppo di specifiche normative, anche
alla definizione del concetto di stadio moderno, quando non
addirittura al suo disegno. Non è errato supporre che gli stadi
all’”inglese”, gli stadi tedeschi, gli stadi italiani, siano tali in
conseguenza delle attuazioni pratiche delle soluzioni individuate
dalle Istituzioni per prevenire, limitare, reprimere (e, talvolta,
inseguire) il fenomeno della violenza.
Esperienze differenti hanno portato a espedienti non sempre
così distanti, modellando le “culture da stadio”, frutto e, al
medesimo tempo, causa dei costanti accorgimenti normativi. Così, i
teatri stessi di tali violenze - che da sempre incorniciano
tristemente le partite di calcio - hanno seguito (e seguono)
un’evoluzione quasi parallela, modellandosi a loro volta, per
contrastarle o, quanto meno, per ridurle o tentare di
“ammaestrarle”.
Il nostro Paese non fa eccezione. Seppur buono a livello tecnico,
l’impianto normativo di cui si è fornita l’Italia si è spesso accostato,
nella sua evoluzione, alla vasta normativa anti-violenza, talvolta
assecondando soluzioni contrastanti coi principi sportivi. Il modello
italiano di prevenzione della violenza negli stadi si è, infatti,
INTRODUZIONE
III
sviluppato con un approccio più che altro repressivo: spesso i
rimedi ricercati hanno risposto all’esigenza del momento, senza
riuscire a ricomprendere una prospettiva più ampia e più efficace,
anche se, magari, di attuazione meno rapida (e di soddisfazione
meno istantanea, ma più duratura e fruttifera). Così oggi, mentre le
iniziative si moltiplicano ad ogni legislatura - aumentando la
confusione tanto sul piano tecnico quanto su quello tattico - gli
stadi diventano militarizzati, ma la violenza trova comunque modi e
pretesti per comparire. Sono pochi i casi in cui si è cercato di
accettare la sfida di guardare al futuro nella direzione giusta,
lavorando sulla cultura sportiva, piuttosto che sulla legislazione
anti-violenza.
Cronologicamente parlando, l’ultimo concetto introdotto nel
panorama italiano è quello di “stadio produttivo”. Lo sport è,
pressoché da sempre, anche attività economica oltre che socio-
educativa, e il business calcistico conquista percentuali più che
considerevoli dei PIL nazionali europei. Anche lo stadio - teatro dei
matchs calcistici – deve pertanto diventare produttivo, poiché coi
dovuti accorgimenti, può produrre reddito. Fioccano gli esempi in
tutto il mondo, laddove scommesse vinte (o a volte imposte) hanno
permesso la realizzazione di efficaci modelli di impianti produttivi,
multifunzionali, culturali, commerciali, turistici e, dulcis in fundo,
anche sportivi. Microcomunità aggregative che funzionano a 360°,
ogni giorno dell’anno, coinvolgendo i frequentatori non solo (o forse
non più?) come tifosi, ma anche come clienti, nell’accezione
prettamente economica del termine.
L’Italia tenta di implementare questo approccio arrivando tra gli
ultimi, finalmente contagiata da una filosofia ormai decennale in
altri Stati europei. Con stadi obsoleti, carenti, inadeguati e
pericolosi, e con una mentalità da decretazione d’urgenza più che
INTRODUZIONE
IV
da pianificazione preventiva, il nostro paese non è mai riuscito a
cogliere l’occasione per affiancarsi né accodarsi agli stardard dei
più virtuosi modelli europei.
Tuttavia - meglio tardi che mai - il 2010 può essere l’anno della
svolta. Un disegno di legge per “favorire la costruzione e la
ristrutturazione di impianti sportivi e stadi” tenta di introdurre
concetti finalmente innovativi nel nostro mondo calcistico “anche a
sostegno della candidatura dell'Italia a manifestazioni sportive di
rilievo europeo o internazionale”
2
.
Grande la sfida – quasi una scommessa - e innumerevoli gli
ostacoli tecnici, politici, ma soprattutto socio-culturali: tale legge
(se legge sarà) favorirà molti interessi di varia natura, sconvolgendo
canoni, panorami e mentalità, e ponendo, forse, i primi mattoni per
un concreto “modello italiano” di stadio calcistico.
2
L’A.C. n. n° 2800 è la proposta di legge attualmente in discussione presso la
7ª Commissione permanente della Camera (Cultura, scienza e istruzione) in sede
referente, che reca, appunto, "Disposizioni per favorire la costruzione e la
ristrutturazione di impianti sportivi e stadi anche a sostegno della candidatura
dell'Italia a manifestazioni sportive di rilievo europeo o internazionale".
CAPITOLO PRIMO
SPORT, TIFO E VIOLENZA: IN ITALIA, IN
EUROPA E NEL MONDO
1. UN PROBLEMA MONDIALE
“Tra le tantissime tipologie di tifosi si possono distinguere due
macro-categorie: quelli che guardano il campo e quelli che guardano
la curva. I secondi sono quelli che già si potrebbero definire ultrà”
3
.
La definizione del giornalista (e tifoso) Tonino Cagnucci
sintetizza in maniera efficace il concetto di ultrà
4
; tuttavia, per
comprendere il fenomeno della violenza esercitata negli stadi dalle
tifoserie del XX e XXI secolo, bisogna innanzitutto conoscere le
origini del tifo calcistico.
Nasce in Italia negli anni Cinquanta quando i primi tifosi di
squadre di calcio iniziano a riunirsi in gruppi più o meno
organizzati. A Torino (con i “Fedelissimi Granata 1951”) e a Roma
(con i “Circoli Biancoazzurri 1951”), si manifestano i primi esempi
di un fenomeno che si diffonde rapidamente in Gran Bretagna,
dove gli ultrà sono battezzati hooligans
5
.
3
T. CAGNUCCI, Il mare di Roma, Lìmina, Arezzo, 2009, p. 167.
4
Con il termine ultras (o più correttamente ultrà, derivato dal francese ultra-
royaliste, di origine latina, indicante i più fanatici attori del terrore bianco) si
definisce il tifoso organizzato di una determinata società sportiva, più
frequentemente di tipo calcistico, ma spesso anche di pallacanestro, hockey,
pallanuoto ed altri sport (riferimenti tratti da it.wikipedia.org).
5
Hooligan è un termine inglese che indica una persona dal comportamento
violento, indisciplinato e ribelle ed è utilizzato per indicare i tifosi più turbolenti e
violenti delle squadre di calcio del Regno Unito. Secondo la tesi più accreditata, è
probabile che la parola hooligan derivi dalla hooley‟s gang, una banda di giovani
teppisti di origine irlandese che agiva nell’east end londinese intorno alla fine
dell’Ottocento. Il termine comparve per la prima volta nel 1898 in una denuncia
della polizia di Londra (riferimenti tratti da it.wikipedia.org).
1. SPORT, TIFO E VIOLENZA. IN ITALIA, IN EUROPA E NEL MONDO
2
Lo sviluppo dei gruppi ultrà negli anni Settanta coincide con un
periodo piuttosto tempestoso della società italiana, toccata a più
riprese da episodi di violenza e terrorismo: gli ultrà, risentendo del
clima generale violenza, si abbandonano a veri e propri atti di
guerriglia urbana; così come durante le manifestazioni nelle piazze
si fa un sempre crescente uso di armi improprie, anche negli stadi
compaiono con maggiore regolarità coltelli, spranghe, pistole
lanciarazzi.
I nomi stessi dei nuovi gruppi continuano a risentire della
congiuntura politica: molti gruppi si definiscono “Brigate”, in
riferimento ai gruppi terroristici di quegli anni così come
compaiono molti simboli legati al terrorismo di sinistra (la stella a
cinque punte delle Brigate Rosse) e di destra (l’ascia bipenne
simbolo di Ordine Nuovo).
A partire dagli anni Ottanta, tutte le squadre professioniste
hanno almeno un gruppo ultrà e il modello italiano si espande nel
resto d'Europa dove il calcio ha largo seguito di pubblico,
soprattutto tra i paesi latini (Spagna, Portogallo, Francia), in
Svizzera e tra le repubbliche dell’ex-Jugoslavia (Slovenia, Croazia,
Serbia); negli anni Novanta, tifoserie ispirate al modello di tifo
italiano compaiono anche in Irlanda, Scozia, Paesi Bassi e
Germania. Con l'aumento dell'interesse verso il calcio in Canada,
Stati Uniti e Australia sorgono i primi gruppi di tifosi organizzati
secondo criteri, almeno esteticamente, ispirati agli ultrà del vecchio
continente
6
.
6
Non bisogna dimenticare che, fin dalle origini del fenomeno, è
costantemente presente l’elemento del razzismo, amplificato dalle più disparate
motivazioni storico-politiche. In particolare, a partire dalla fine degli anni
Ottanta, si verifica negli stadi l'aumento esponenziale dei cori razzisti,
dell'esposizione dei simboli nazisti o fascisti e di striscioni apertamente
antisemiti, così come, al di fuori degli stadi, si osserva un sempre più
sistematico coinvolgimento di ultrà negli atti di intolleranza razziale o politica.
1. SPORT, TIFO E VIOLENZA. IN ITALIA, IN EUROPA E NEL MONDO
3
All’interno degli stadi di tutta Europa gli ultrà diventano sempre
più i veri protagonisti nelle curve. Si accentua anche il modo di
fronteggiarsi tra gruppi avversari, si diffonde il ricorso allo scontro,
e le forze di polizia iniziano ad impegnarsi per arginare gli episodi
di violenza.
Negli anni Novanta il problema della violenza nel calcio si
accentua ulteriormente, sviluppandosi, in molti casi, in atti di
ribellione; il fenomeno aumenta numericamente, i gruppi
consolidano le loro strutture organizzative
7
e accentuano il loro
carattere bellicoso: ultrà, hooligan, sider
8
, ciascuno a modo suo, si
rende protagonista, attivo o passivo, di disordini, incidenti e
sciagure che causano le prime “vittime” del calcio.
Se la storia del calcio di pressoché tutte le Nazioni europee è
segnata in modo rilevante da gravi incidenti e talvolta da episodi
luttuosi, è errato pensare che il fenomeno abbia luogo
esclusivamente sui campi sportivi del vecchio continente.
Il triste primato mondiale di incidenti mortali tra tifosi spetta al
Brasile con una media annua di sette decessi
9
, in episodi poco noti
7
In questi anni, In Italia si formano, sul modello dei partiti di estrema
sinistra, i primi Direttivi, con funzioni coordinative. Le attività svolte dai gruppi
ultrà, nel frattempo, sono aumentate: iniziano a sostituirsi nelle mansioni tipiche
dei club organizzati, curando in particolare l’organizzazione delle trasferte e la
gestione di un certo quantitativo di biglietti (riferimenti tratti da
www.progettoultra.it).
8
Siders è il termine utilizzato in Belgio e Olanda come sinonimo di ultrà.
9
È quanto riferisce uno studio del 2009 dell'Università di Rio de Janeiro,
effettuato dal sociologo Mauricio Murad. Secondo lo studioso, le vittime sono
principalmente giovani tra i 14 e i 25 anni, di bassa estrazione sociale, spesso
disoccupati (riferimenti tratti da www.goal.com).
1. SPORT, TIFO E VIOLENZA. IN ITALIA, IN EUROPA E NEL MONDO
4
ai nostri mass media che vedono costantemente coinvolte le
famigerate barras bravas
10
.
Ancora diversa, quanto esemplare, è la situazione di un’altra
Nazione sudamericana, l’Argentina, tutt’oggi caratterizzata dallo
strapotere delle sue tifoserie
11
che hanno forti influenze sulla
gestione degli stessi club. Alla fine degli anni Cinquanta, nel calcio
argentino gli episodi brutali si moltiplicano e si inaspriscono, le
barras bravas perfezionano le loro dinamiche organizzative,
specializzandosi proprio nella violenza negli stadi, in una sorta di
clima assuefatto: tra il 1958 e il 1985 muoiono 103 persone, in
media, una ogni 3 mesi; dal 1924 a oggi, i decessi salgono al
vertiginoso numero di 227.
Non fa eccezione neppure l’Africa, dove il folclore del tifo è un
marchio di fabbrica del calcio della Coppa d’Africa delle Nazioni,
tuttavia questo non impedisce episodi di incontrollabile violenza.
Per citare l’esempio più recente, nel 1999, in Egitto, otto tifosi
trovano la morte in seguito ai violenti scontri tra le tifoserie in
occasione di una partita dei quarti di finale della Coppa D’Egitto.
Parlando di tipiche risse da stadio, si deve ricordare la più
grave: nel 1967, a Kayseri (Turchia) una rissa durante Kayseri e
Siwas causa 41 morti e 400 feriti.
Numerosi sono, inoltre, gli esempi di disordini cui lo stadio fa
solo da cornice. Forte risonanza mediatica ne avuto, ad esempio, il
breve conflitto armato scoppiato il 14 luglio 1969 tra El
10
Il termine barras bravas compare negli anni Sessanta, in riferimento ai
gruppi di tifo organizzato diffusi in tutta l’America Latina, caratterizzati per la
produzione di episodi di violenza e disordini, dentro e fuori dagli stadi.
Tradizionalmente, tali gruppi, vengono associati al fenomeno dell’emarginazione
urbana, e al consumo di alcool e di droghe (it.wikipedia.org).
11
Come i Los Borrachos del Tablon, il principale gruppo ultrà del Club
Atletico River Plate. Essi sono considerati il secondo gruppo più violento e
temuto in Argentina, dopo La 12, la barra del Boca Juniors, i loro rivali.
1. SPORT, TIFO E VIOLENZA. IN ITALIA, IN EUROPA E NEL MONDO
5
Salvador ed Honduras e terminato appena 6 giorni dopo. I tesissimi
rapporti tra i due Stati centroamericani, prima di condurre al
conflitto bellico, si sono manifestati attraverso la furia dei tifosi,
che in occasione delle partite di calcio di andata e di ritorno delle
rispettive nazionali ha provocato un’escalation di violenza fino a
che semplici tafferugli sono diventati una sorta di guerriglia
urbana. Pertanto, tale conflitto viene ricordato con il significativo
nome di “Guerra del calcio”.
Talvolta, sulla rabbia dei tifosi si innestano elementi di
contestazione politica e xenofoba, con implicazioni e conseguenze
non irrilevanti. La violenza, anche solo verbale, diventa così un
mezzo per manifestare il proprio dissenso, e, se le proteste sono
indirizzate contro una dittatura, il coraggio può manifestarsi
mascherato da tifo. Nel 1990, ad esempio, a Mogadiscio, in
Somalia, durante la partita i tifosi si esibiscono in un lancio di
pietre contro l'allora presidente dittatore Siad Barre; la scorta
reagisce sparando, e provoca 62 morti e 200 feriti, ma la
sanguinaria dittatura comincia a vacillare
12
. Nel 1996, durante il
derby di Tripoli, in Libia, tra Al Itthad e Al Ahili, la rabbia sportiva
per un goal assegnato ingiustamente si trasforma in risentimento
politico: l'arbitro favorisce la squadra cara al figlio di Gheddafi
(proprietario dell'Ahili), i tifosi protestano e le guardie del corpo
aprono il fuoco, uccidendo 25 supporters.
Quando ci sono frustrazione e disperazione, il popolo (del calcio)
si ribella, a volte provocando incidenti diplomatici: nel 2005,
durante un incontro valido per le qualificazioni ai Mondiali del
2008 tra Corea del Nord e Iran, un rigore negato dall'arbitro
(peraltro siriano, a ironica complicazione del delicato quadro
diplomatico) infiamma i tifosi nord-coreani, che, incuranti della
12
Siad Barre viene destituito l'anno successivo e esiliato nel 1992.
1. SPORT, TIFO E VIOLENZA. IN ITALIA, IN EUROPA E NEL MONDO
6
sacralità dello stadio di Pyongyang, divelgono sedili, per lanciarli in
campo insieme a sassi e bottiglie, arrivando addirittura ad
"assediare" per due ore i giocatori avversari negli spogliatoi, fino
all'intervento di centinaia di agenti di polizia.
Indipendentemente dalla connotazione geografica, dove arriva il
gioco del calcio arriva il tifo, e dove arriva il tifo - in un modo o
nell’altro - arriva la violenza. Nel corso degli ultimi decenni, ogni
cultura ha elaborato forme di tifo violento dalle connotazioni
particolari, dalle sfumature personali, ma che in tutti i casi hanno
reso il binomio calcio-violenza inscindibile. Assistere a uno
spettacolo sportivo - a una partita di calcio in particolare -
rappresenta uno dei più diffusi e popolari modi di impiegare il
tempo libero in Occidente. Purtroppo quella che dovrebbe essere
una festa si trasforma spesso in occasione di violenza. Le cronache
delle partite sulla stampa sportiva non si limitano - ormai da
qualche tempo - a raccontarci le prodezze agonistiche dei campioni,
ma riferiscono di aggressioni, scontri, risse, assedi, agguati,
accoltellamenti, ferimenti, lanci di oggetti, di petardi, di pietre, di
bombe, fino a che talvolta l'insensata spirale di violenza non lascia
sul campo anche una vita in meno.
Il fenomeno è talmente complesso da essere spesso analizzato
anche alla luce della sua portata sociologica. Innumerevoli studi
hanno prodotto innumerevoli teorie, talvolta contrastanti,
concentrate su interrogativi probabilmente troppo elevati rispetto al
problema in questione: così, c’è chi considera gli ultrà come una
sottocultura giovanile
13
, con elementi quali un'infanzia difficile, il
13
In sociologia e in antropologia una sottocultura (o subcultura) è un
termine usato per riferirsi a un gruppo di persone o ad un determinato segmento
sociale che si differenzia da una più larga cultura di cui fa parte per stili di vita,
credenze e/o visione del mondo. Una subcultura può accomunare un insieme di
1. SPORT, TIFO E VIOLENZA. IN ITALIA, IN EUROPA E NEL MONDO
7
disagio giovanile e la frustrazione a perfezionare il quadro; chi, al
contrario, fa notare come in molte Nazioni (in Italia, per citarne
una tra tutte) il movimento abbia nel tempo coinvolto giovani
provenienti da tutti gli strati sociali, la partecipazione non risulti
legata automaticamente a situazioni di disagio sociale e, anzi, nei
gruppi ultrà figurino soggetti che hanno buoni lavori e spesso un
livello di istruzione elevato, ragazzi provenienti da famiglie ricche,
persone sposate e stabilizzate. Ancora altri autorevoli sociologi,
psicologi, e cultori di scienze sociali si sono concentrati sulle
(innegabili) differenze di genesi e sviluppo tra ultrà e hooligans:
organizzazione dei primi contro aggregazione spontanea dei
secondi, stretti legami con la working class (la “classe operaia”)
inglese e nord-europea contro generiche esperienze di lotta politica
prettamente italiane (non solo dei proletari, ma anche dei piccoli e
medi borghesi; non solo di sinistra, ma anche di destra); gli stessi
utrà si sentono profondamente offesi se ricondotti genericamente
all’hooliganism, quasi le loro fossero da considerarsi prodezze,
rispetto alle barbarie dei tifosi inglesi così tristemente consacrati
alla storia del calcio.
Purtroppo, ancora oggi con inquietante frequenza c’è chi
interviene per giustificare la violenza, negando le responsabilità
individuali e ogni principio di realtà, sfociando in aperto
“buonismo” fine a se stesso, anzi, il più delle volte, utile solamente
a distrarre da interessi poco nobili quanto dannosi
14
. Tutti
persone con caratteristiche simili come per esempio l'età, l'etnia, la classe
sociale o il credo religioso o politico. Ogni subcultura è espressione di particolari
conoscenze, pratiche o preferenze (estetiche, religiose, politiche, sessuali, ecc.) e
a volte è definita nell'ambito di una classe sociale, di una minoranza (linguistica,
etnica, politica, religiosa) o di un'organizzazione. Le subculture sono spesso
definite in contrapposizione ai valori delle culture più grandi in cui sono come
immerse. Cfr. P. MAGAUDDA, Ridiscutere le sottoculture. Resistenza simbolica,
postmodernismo e disuguaglianze sociali, in “Studi Culturali”, 2009, 6(2), p 301.
14
La strumentalizzazione delle masse di ultrà da parte dei gruppi politici ha
prodotto, negli ultimi quarant’anni, una sorta di vocazione anti-sistema, che