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I poteri esteri nella costituzione europea

L’aspirazione a che l’Unione Europea si esprima con un’unica voce in merito alle questioni mondiali è vecchia quanto lo stesso processo d’integrazione euro-pea, ma l’Unione ha realizzato meno progressi nel forgiare una politica estera e di sicurezza comune nel corso degli anni che non nel creare un mercato unico ed una moneta unica. I cambiamenti geopolitici successivi al crollo del comunismo e allo scoppio di crisi regionali nei Balcani e altrove hanno indotto i membri dell’Ue a raddoppiare gli sforzi per parlare con una sola voce ed agire di conseguenza.
Storicamente il primo passo era stato un ambizioso tentativo nel 1954 di crea-re una Comunità di difesa europea, fallito all’ultimo momento; a ciò era seguito nel 1970 un processo denominato Cooperazione politica europea, nell’ambito del quale i paesi membri dell’Unione Europea cercavano di coordinare le loro posi-zioni sulle questioni di politica estera: sono state prodotte di conseguenza dichiarazioni comuni, ma nessun atto concreto che condannasse in qualche modo gli atti di aggressione e di terrore nel mondo o di sostegno alle Nazioni Unite. In-vece, sulle questioni particolarmente delicate o laddove i singoli stati avevano interessi specifici non era possibile esprimere una posizione comune, giacché le decisioni dovevano essere unanimi.
Negli ultimi 15 anni l’Unione ha rinnovato gli sforzi per svolgere un ruolo po-litico e di sicurezza più conforme al suo potere economico e commerciale. I conflitti regionali scoppiati dopo il crollo del muro di Berlino nel 1989 e, più di recente, la necessità di combattere il terrorismo internazionale, hanno convinto i leaders europei della necessità di creare strumenti formali sia a livello di diplo-mazia che d’intervento: uno dei problemi consisteva nel decidere quanta parte della responsabilità per questioni vitali di politica estera e di sicurezza dovrebbe essere riconosciuta all’Ue e alle sue istituzioni e quanta dovrebbe essere mantenu-ta dagli stati membri. In definitiva, la competenza essenziale resta agli stati membri, benché la Commissione europea e in minor misura il Parlamento euro-peo siano associati al processo.

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3 Introduzione L’aspirazione a che l’Unione Europea si esprima con un’unica voce in merito alle que- stioni mondiali è vecchia quanto lo stesso processo d’integrazione europea, ma l’Unione ha realizzato meno progressi nel forgiare una politica estera e di sicurezza comune nel corso de- gli anni che non nel creare un mercato unico ed una moneta unica. I cambiamenti geopolitici successivi al crollo del comunismo e allo scoppio di crisi regionali nei Balcani e altrove hanno indotto i membri dell’Ue a raddoppiare gli sforzi per parlare con una sola voce ed agire di conseguenza. Storicamente il primo passo era stato un ambizioso tentativo nel 1954 di creare una Co- munità di difesa europea, fallito all’ultimo momento; a ciò era seguito nel 1970 un processo denominato Cooperazione politica europea, nell’ambito del quale i paesi membri dell’Unione Europea cercavano di coordinare le loro posizioni sulle questioni di politica estera: sono state prodotte di conseguenza dichiarazioni comuni, ma nessun atto concreto che condannasse in qualche modo gli atti di aggressione e di terrore nel mondo o di sostegno alle Nazioni Unite. Invece, sulle questioni particolarmente delicate o laddove i singoli stati avevano interessi spe- cifici non era possibile esprimere una posizione comune, giacché le decisioni dovevano essere unanimi. Negli ultimi 15 anni l’Unione ha rinnovato gli sforzi per svolgere un ruolo politico e di si- curezza più conforme al suo potere economico e commerciale. I conflitti regionali scoppiati dopo il crollo del muro di Berlino nel 1989 e, più di recente, la necessità di combattere il ter- rorismo internazionale, hanno convinto i leaders europei della necessità di creare strumenti formali sia a livello di diplomazia che d’intervento: uno dei problemi consisteva nel decidere quanta parte della responsabilità per questioni vitali di politica estera e di sicurezza dovrebbe essere riconosciuta all’Ue e alle sue istituzioni e quanta dovrebbe essere mantenuta dagli stati membri. In definitiva, la competenza essenziale resta agli stati membri, benché la Commis- sione europea e in minor misura il Parlamento europeo siano associati al processo. Il principio di una politica estera e di sicurezza comune è stato formalizzato nel Trattato di Maastricht nel 1992, come si dirà in seguito, ma al momento di mettere in pratica i buoni pro- positi fino ad allora solo sulla carta, cioè pochi mesi dopo, quando scoppiò la guerra nell’ex Iugoslavia, l’Unione e gli stati membri si trovarono impreparati, cercando di mediare senza successo una soluzione diplomatica per risolvere il conflitto. Questa situazione dimostrò che senza una capacità d’intervento europea, i paesi dell’Unione potevano intervenire solo nel quadro della forza di pace dell’Onu e della Nato sotto la leadership Usa. Per rendere la sua diplomazia incisiva e visibile, l’Unione ha creato il posto di Alto Rap- presentante per la Pesc e lo ha dotato di una struttura di sostegno molto estesa, comprendente un’unità di pianificazione della politica e di allarme rapido per le situazioni di crisi, un comi- tato politico di sicurezza e un comitato militare; l’Ue continua a mantenere una forte presenza in concreto e ha inviato rappresentanti speciali in vari punti caldi del mondo tra cui la regione dei Grandi Laghi in Africa, il Medioriente, i Balcani e l’Afghanistan. Nel quadro della Pesc, l’Unione ha creato una politica di sicurezza e difesa europea (Pesd) nella prospettiva, da confermare più in là, di creare una struttura di difesa comune: nel dicem- bre 2003, i dirigenti dell’Unione hanno adottato una strategia europea in materia di sicurezza, fissandone successivamente le missioni essenziali e i campi di azione prioritari, cioè la lotta contro il terrorismo, una strategia per il Medio Oriente e una politica globale relativa alla Bo-

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