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snia-Erzegovina. Per dare credibilità alla propria capacità d’intervento, l’Ue ha individuato
una serie di missioni che potrebbero essere svolte da una forza militare, comprendenti missio-
ni umanitarie e di salvataggio, missioni per il mantenimento della pace, gestione di crisi e
perfino missioni per imporre la pace: per realizzare tali missioni, l’Unione ha creato una forza
d’intervento rapido, il cui potenziale militare verrà gradualmente rafforzato nell’arco di alcuni
anni.
Con la Pesc e la Pesd, l’Unione crea una dimensione politica che si aggiunge al suo ruolo
internazionale come grande potenza commerciale ed economica però occorre ricordare che il
processo di integrazione nel campo della politica estera è tuttora agli inizi e il suo progresso si
scontra con la difficoltà di armonizzare venticinque politiche estere nazionali, ognuna con la
propria tradizione e sfera d’interessi: per queste ragioni, la Pesc è un ambito di politiche dove
è molto forte la capacità decisionale degli stati membri, a discapito delle istituzioni comunita-
rie.
Occorre accennare anche al problema dell’unitarietà della personalità giuridica
dell’Unione Europea: il punto di partenza è costituito dalla sovranazionalità, cioè
l’attribuzione di poteri da parte degli stati a un’entità che, per quanto da loro stessi posta in
essere, si colloca in una posizione di «terzietà» e supremazia rispetto ai loro ordinamenti: la
sfera sovranazionale si contrappone tanto a quella nazionale, quanto a quella internazionale
(che contempla le relazioni multilaterali o bilaterali fra stati e implica un’autolimitazione re-
ciproca di sovranità, ma non necessariamente un rapporto di sovranazionalità), oltre che,
ovviamente, a quella transnazionale (riferita a rapporti fra soggetti privati o comunque non
statali). Gli stati membri dell’Unione hanno ormai perduto la titolarità esclusiva o quanto me-
no l’esercizio esclusivo di un’ampia serie di competenze che tradizionalmente caratterizzano
la sovranità statale.
Ci si può porre il problema, a questo punto, se continuare, rallentare o bloccare il processo
di integrazione in senso sovranazionale e in tale direzione occorrerebbe esaminare almeno tre
aspetti: in primo luogo la ripartizione assoluta dei poteri e delle competenze fra stati membri e
Comunità; in secondo luogo la possibilità di decidere a maggioranza anziché all’unanimità in
seno alle istituzioni e infine la ripartizione relativa dei poteri fra le istituzioni.
Costruire un’identità europea non significa azzerare l’identità nazionale: il progetto
dell’Unione è quello di far convivere le diverse nazionalità, lingue, identità e costituzioni ma
essa non sembra affatto avviata a diventare uno stato, piuttosto a restare sé stessa, semplice-
mente costituzionalizzandosi e comunque il livello nazionale e quello sovranazionale sono
destinati a coesistere: sta sulle spalle dell’Unione Europea la responsabilità di dimostrare co-
me sia possibile costruire una forte sovranazionalità, la quale, senza annullare le sovranità
nazionali ma affiancandosi ad esse, siano in grado di governare processi che la dimensione
nazionale non è più in grado di gestire da sola; l’Unione può scegliere la dimensione
dell’intergovernatività oppure un modello che propende per una progressiva comunitarizza-
zione: il processo di integrazione europea è caratterizzato dalla compresenza di entrambe le
dimensioni, tuttavia è evidente che tale processo è avanzato quando la dimensione intergover-
nativa è stata considerata una condizione transitoria e non necessaria, in funzione del
rafforzamento della dimensione comunitaria, e non viceversa.
5
Capitolo I
Il Trattato costituzionale europeo: cenni storici ed evoluzione delle competenze esterne
dell’Unione Europea
1. La fine del secondo conflitto mondiale: nascita delle prime idee concretamente europeiste
L’allargamento dell’Unione a venticinque stati membri si è realizzato entro le scadenze
stabilite dalle istituzioni europee: fra il 2007 e il 2015 è previsto un ulteriore allargamento
dell’Unione, che dovrà anche stabilire le sue frontiere definitive, geografiche, politiche e cul-
turali.
L’Unione Europea si fonda su un patto fra nazioni sovrane, determinate a rinunciare a par-
te della loro sovranità per dare ai loro popoli la pace, la sicurezza, la democrazia, la giustizia e
la solidarietà. L’Ue allargata è parte di un mondo in rapida e radicale evoluzione, tuttora in
cerca di nuovi equilibri
1
.
Tutto cominciò nel 1945, dopo quasi sei anni di scontro tra le maggiori potenze del piane-
ta: nel mese di agosto di quell’anno finì la seconda guerra mondiale e tutti i Paesi partecipanti
subirono ingenti perdite in termini di popolazione; l’economia di molti Paesi fu sconvolta e le
loro società devastate dall’impiego degli armamenti. Una tale esperienza ribadì la necessità di
porre un freno alla competizione fra gli stati e di trovare il modo di risolvere o imbrigliare i
conflitti internazionali, costituendo un ordine internazionale stabile e pacifico. In questo senso
andava il sogno rooseveltiano dei «quattro poliziotti»
2
che si sarebbe realizzato se i grandi del
mondo, ovvero Usa, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Cina, si fossero assunti la responsabi-
lità di controllare assieme le crisi internazionali: quel sogno portò alla nascita dell’Onu, nel
1945, un’organizzazione universale dedicata a mantenere la pace e la sicurezza e che nelle
speranze dei fondatori non avrebbe sofferto della debolezza della Società delle Nazioni,
l’organismo che l’aveva preceduta in questo compito senza però riuscire a evitare la prima
guerra mondiale. In questo senso andava anche il sogno dell’Europa unita: l’idea che vedeva
nell’integrazione politica dei Paesi europei una via per il progresso economico e sociale ma
anche per rendere pacifica la regione che aveva subito due guerre mondiali nell’arco di
trent’anni.
Il dramma della guerra diede impulso a questo ideale che tuttavia non era nuovo nella sto-
ria politica dell’Europa, dato che già nel 1800 fervevano idee di un progetto federalista e
anche dopo la fine della prima guerra mondiale ci fu chi presentava l’integrazione europea
come via per scongiurare altre guerre fratricide; l’italiano Sforza fu uno di quelli e pubblicava
nel 1929 un libro dal titolo eloquente “Les Etats Unis d’Europe” e nello stesso anno il mini-
stro degli esteri francese Aristide Briand presentava alla Società delle Nazioni un progetto per
la costruzione di un’Europa federale di stati sovrani che prevedeva l’unificazione monetaria
del continente.
Il dibattito intorno a questi temi insomma, ferveva e si possono individuare due correnti di
pensiero, due visioni alternative del fine ultimo del processo di integrazione: da un lato vi e-
rano i sostenitori della visione sopranazionale, dall’altro coloro che prediligevano la soluzione
funzionale: i primi puntavano all’unificazione politica dell’Europa tramite la costruzione di
1
Vedi www.europa.eu.int/abc/12lessons/index12_it.htm
2
Vedi MARCO CLEMENTI, L’Europa e il mondo, op. cit., 9
6
una cornice istituzionale sovraordinata agli stati membri: solo degli organismi comuni con
competenze effettive che li rendessero significativamente autonomi dai singoli stati avrebbero
permesso di risolvere i problemi politici ed economici del continente, tenendo sotto controllo
le rivalità tra i Paesi europei e facendo in modo che l’Europa avesse un nuovo peso e un nuo-
vo ruolo nella vita internazionale; i fautori della visione funzionale, scettici sulla possibilità di
superare una forma organizzativa della politica frutto di secoli di storia e di guerre, propone-
vano una soluzione che mantenesse il più intatta possibile la sovranità e l’indipendenza degli
stati europei: se l’integrazione era necessaria per stabilire l’ordine politico-economico in Eu-
ropa, essa doveva realizzarsi in modo graduale senza violare le principali prerogative
nazionali, sperimentando forme di collaborazione in alcuni settori specifici, cioè quelli di
maggiore importanza nelle relazioni tra i paesi europei così che la gestione di quei settori a-
vrebbe permesso di cooperare e prosperare superando le più antiche rivalità
3
.
Entrambe queste visioni dovevano però fare i conti con l’eredità della guerra e con gli
sconvolgimenti da essa provocati.
Per quanto riguarda la sicurezza europea, con la fine della seconda guerra mondiale era
sorto un problema di non secondaria importanza, cioè la difesa dell’Europa
dall’espansionismo dell’Unione Sovietica, uno dei vincitori
4
: gli Usa tentavano di mantenere
il controllo sull’Europa mentre l’Unione Sovietica cercava di aumentare la propria influenza
nelle zone che considerava strategiche per la propria sicurezza, costruendo intono a sé un cor-
done di stati satelliti sottoposti rigidamente al suo controllo; in molte parti del mondo si
manteneva alta la tensione a causa dello scontro tra forze comuniste e anticomuniste, mentre
l’Onu in tutto questo si mostrava impotente, bloccata dal potere di veto del Consiglio di sicu-
rezza
5
.
Si poneva una seria minaccia per i Paesi europei, perciò essi cercarono di trovare da subito
una soluzione a questo problema: dapprima Francia e Gran Bretagna si unirono in un’alleanza
difensiva, alla quale in seguito si aggiunsero i paesi del Benelux; tale patto era in funzione an-
titedesca e stabiliva una clausola automatica di mutua difesa, per la quale in caso di attacco
contro uno dei firmatari, tutti gli altri avrebbero preso subito le armi in suo sostegno. A ciò si
aggiungeva una collaborazione economica e sociale tra i membri e la creazione di un insieme
di organi coordinatori dei loro eserciti: nel 1948 nasceva l’Organizzazione per la difesa
dell’unione occidentale, dotata di un Consiglio consultivo, formato dai ministri degli esteri dei
membri, che si riunisse periodicamente per discutere le minacce alla pace, di un Comitato mi-
litare permanente che elaborasse i piani della difesa comune e che fosse responsabile delle
risorse disponibili nonché di uno Stato maggiore che comandava le forze disponibili in caso di
conflitto.
La creazione di questi organi era senz’altro un passo importante nell’evoluzione della di-
fesa e della sicurezza militare europea ma non era sufficiente per risolvere i numerosi
problemi sul campo, dato che bisognava possedere le risorse umane ed economiche e avere gli
equipaggiamenti necessari per quello scopo e i Paesi europei di certo non li possedevano.
3
Vedi MARCO CLEMENTI, L’Europa e il mondo, op. cit., 11 ss.
4
Per una visione ampia del processo di integrazione europea e delle sue radici vedi NEILL NUGENT, Governo e
politiche dell’Unione europea, Il Mulino, Bologna, 2001, 22 ss.
5
Vedi MARCO CLEMENTI, L’Europa e il mondo, op. cit., 13 ss. e FAUSTO POCAR, Diritto dell’Unione e delle co-
munità europee, Giuffrè, Milano, IX edizione, 3 ss.
7
Gli Usa erano usciti rafforzati dal secondo conflitto mondiale, da tutti i punti di vista, so-
prattutto in termini economici: anche loro avevano interesse a fermare l’avanzata sovietica in
Europa perciò si lasciarono coinvolgere negli interessi europei, innanzitutto elargendo aiuti
economici in alcune zone di crisi, come la Grecia; nel 1947 elaborarono un vastissimo pro-
gramma finanziario, il Piano Marshall e infine diedero la disponibilità a soccorrere
militarmente l’Europa in caso di attacco sovietico
6
. Il programma ebbe effetti benefici per en-
trambi, cioè sia per l’Europa sia per gli Usa ai quali si aprivano le porte di un grande mercato
di consumo, ma ebbe anche l’effetto di contenere le forze comuniste.
6
Il Piano Marshall consisteva in un imponente piano di aiuti economici per lenire la sindrome della sicurezza
economica e militare europea: essi avrebbero alleviato la scarsissima liquidità dei paesi europei che impediva
loro di importare beni dall’estero e investire nella ricostruzione di un sistema economico vedi per approfondi-
menti sul tema MARCO CLEMENTI, L’Europa e il mondo, op. cit., 19 ss. e CLAUDIO ZANGHÌ, Istituzioni di diritto
dell’Unione Europea, Giappichelli, Torino, III edizione, 2 s.