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Differenze di genere ed effetti dell'androginia psicologica nel comportamento d'aiuto nel contesto organizzativo

Il dilemma del chiedere aiuto costituisce da sempre uno dei problemi fondamentali della vita umana. Con l’espressione “chiedere aiuto”, ci riferiamo a quella emblematica circostanza in cui un individuo vive un problema pressante che produce un tale disagio da indurlo ad attivarsi con tutti i mezzi a sua disposizione per cercare di risolverlo. L’individuo è posto di fronte ad un bivio: può decidere di contrastare il disagio percepito persistendo nel tentativo di trovare autonomamente un soluzione adeguata, oppure può scegliere di rivolgersi ad un’altra persona che gli fornisca la chiave di lettura giusta, la tessera mancante necessaria a ricomporre il puzzle insoluto… Se fino alla fine degli anni ’70 l’attenzione dei ricercatori era concentrata prevalentemente sul dare aiuto (help-giving), negli anni '80 fiorirono numerose ricerche sui comportamenti di richiesta d’aiuto (help-seeking) e cominciò gradualmente a diffondersi la credenza che l’efficacia di un aiuto fosse strettamente connessa alla reazione del soggetto beneficiario. Nel primo capitolo di questo lavoro di tesi sarà inizialmente analizzato il modello teorico che abbraccia le idee innovative più importanti riguardo la ricerca proattiva dell’aiuto, il modello della minaccia all’autostima realizzato da Fisher, Nadler e Witcher-Alagna (1982). Secondo queste voci autorevoli l’aiuto non costituisce sempre e comunque un vantaggio per il ricevente. Saranno descritte le variabili che sono in grado di determinare se una certa esperienza di ricezione dell’aiuto sarà sostenitiva o minacciosa per colui che usufruisce del sostegno sociale. Si parlerà di condizioni situazionali e di caratteristiche idiosincratiche del ricevente. Nel secondo capitolo il focus di analisi sarà circoscritto ad un ambito specifico di applicazione delle dinamiche del chiedere e ricevere sostegno sociale: il contesto dell’organizzazione. Si assume l’organizzazione come sede privilegiata di relazioni tra individui a lavoro, caratterizzate da un diverso grado di intensità. In questo ambito si verificano episodi di richiesta e profferta di aiuto, sia nelle relazioni tra colleghi, sia in tra il lavoratore e il suo superiore. Saranno descritti i tre principali comportamenti proattivi, richiesta di feedback, di informazioni, e di aiuto, considerando analogie e differenze, e caratteri fondamentali di ognuno.
Saranno annoverati le potenziali cause (o antecedenti) che inducono gli individui a ricercare e a fornire sostegno sociale a lavoro. Nel terzo capitolo sarà analizzata la variabile che rappresenta il focus vero e proprio di questo lavoro di tesi, quella del genere, ponte tra fattori demografici e fattori di personalità. Si tracceranno le linee guida degli approcci teorici più significativi rispetto a tale argomento, riflettendo sull’evoluzione che ha subito nel tempo. Sarà dato spazio al concetto di stereotipo sessuale e alla forte influenza che gli stereotipi di genere esercitano sulla società moderna. Si tratterà delle relazioni di genere nel contesto lavorativo, che si sviluppano all’ombra degli stereotipi sessuali vigenti nella società contemporanea.
Nel quarto capitolo la discussione verterà sul concetto di androginia, e sulle prospettive teoriche a riguardo, dalle prime misurazioni delle dimensioni di mascolinità e femminilità risalenti agli inizi del ‘900, al contributo di Lorenzi-Cioldi e le più recenti definizioni di androginia psicologica. La nascita della teoria dell’androginia psicologica viene fatta risalire a Sandra Bem, la quale sosteneva che l’individuo androgino, donna o uomo che sia, è molto più flessibile degli uomini e delle donne comuni perché non si sente vincolato da un concetto rigido di ruolo sessuale e grazie a questa duttilità riesce ad agire in modo efficiente nelle situazioni più disparate. Si tratteranno gli effetti dell’androginia psicologica sul comportamento d’aiuto nel contesto lavorativo. Nel quinto capitolo viene presentato uno studio empirico basato su un gioco di simulazione e finalizzato a valutare l’influenza della androginia psicologica, delle differenze di status e di genere, sugli aspetti comportamentali e rappresentazionali del processo di richiesta di aiuto.

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1 INTRODUZIONE Il dilemma del chiedere aiuto costituisce da sempre uno dei problemi fondamentali della vita umana. Quando si parla di dilemma ci viene subito in mente una situazione che sembra insolubile, una scelta difficile che esitiamo a compiere; giustapponendo a questo termine l’espressione “chiedere aiuto”, vogliamo riferirci in particolar modo a quella emblematica circostanza in cui un individuo vive un problema pressante che produce un tale disagio da indurlo ad attivarsi con tutti i mezzi a sua disposizione per cercare di risolverlo. A quel punto l’individuo è posto di fronte ad un bivio: può decidere di contrastare il disagio percepito persistendo nel tentativo di trovare autonomamente un soluzione adeguata, oppure può scegliere di rivolgersi ad un’altra persona che gli fornisca la chiave di lettura giusta, la tessera mancante necessaria a ricomporre il puzzle insoluto… È da questo punto nodale che partono tutti gli studi realizzati sin dagli inizi degli anni ’80 e riconducibili al filone di ricerca sulla psicologia del beneficiario, avviato da Arie Nadler e i suoi colleghi. Se fino a pochi anni prima (fine anni ’70) l’attenzione dei ricercatori era concentrata prevalentemente sul dare aiuto (help-giving), ossia sullo studio delle variabili che facilitano o inibiscono un comportamento prosociale, in questo periodo fioriscono numerose ricerche sui comportamenti di richiesta d’aiuto (help- seeking). Contrariamente al passato, quando si dava per scontato che l’aiuto fornito da un donatore sarebbe stato inevitabilmente accolto in maniera positiva dal ricevente, cominciò gradualmente a diffondersi la credenza che l’efficacia di un aiuto fosse strettamente connessa alla reazione del soggetto beneficiario. Nel primo capitolo di questo lavoro di tesi sarà inizialmente analizzato il modello teorico che abbraccia le idee innovative più importanti riguardo la ricerca proattiva dell’aiuto, il modello della minaccia all’autostima realizzato da Fisher, Nadler e Witcher-Alagna nel 1982. Secondo queste voci autorevoli l’aiuto non costituisce sempre e comunque un vantaggio per il ricevente. Esso è stato definito dono misto (mixed blessing): può essere a volte un’esperienza positiva, innescando reazioni favorevoli, e altre volte un’esperienza negativa e altamente minacciosa. Nasce da questo ragionamento il dilemma del chiedere

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