I fondi sovrani nella geografia della globalizzazione
I fondi d'investimento sovrano possono essere definiti come un veicolo di investimenti di natura “pubblica”, a conduzione governativa, senza passività espressamente indicate, con un significativo grado di esposizione al rischio ed orizzonti d’investimento a lungo termine. Quali stati detengono tali fondi? Si tratta di nazioni “ricche”, con surplus di bilancio, abbondanti riserve in oro o in valuta e con indebitamento a livello internazionale del tutto assente o di dimensione irrisoria.
I fondi d’investimento sovrano sono visti come simboli di un maggior re-bilanciamento dei poteri in materia di economia e finanza globale. La loro emersione risulta però controversa, principalmente a causa del timore di investimenti indotti dalla politica e dalla mancanza, ma anche perché simbolizzano un fenomeno più grande e più profondo che sta rimodellando l’economia e la finanza mondiale. I mercati emergenti stanno intraprendendo una via fino ad ora inconsueta, divenendo, fra le altre cose, grandi creditori verso tutto il mondo, in particolare verso le nazioni industrializzate.
Le pressoché illimitate disponibilità di capitali accumulati dai più dinamici tra i paesi emergenti e le loro enormi riserve valutarie derivanti dal surplus commerciale, dall’esplosione dei prezzi del petrolio e delle materie prime e dagli spettacolari guadagni di Borsa mal si accompagnano alla limitatezza dei loro mercati interni. Nasce principalmente da qui la spinta a cercare opportunità di investimento nelle economie più avanzate dell’Occidente e a concorrere nelle quote azionarie di svariati settori, dall’energia alle risorse naturali, dalle imprese siderurgiche alla componentistica per auto, dalle nuove tecnologie alla manodopera specializzata, dalla finanza (banche d’affari, Borse e private equity) alle utilities e alle infrastrutture, necessari a sostenere e rafforzare i loro piani di sviluppo.
Il sorgere di questi strumenti finanziari ha sollevato preoccupazioni di carattere politico. Nelle relazioni economiche e finanziarie internazionali si stanno creando molte asimmetrie dove i Paesi emergenti non sempre rispettano criteri di reciprocità e trasparenza, vale a dire quelle regole che stanno alla base del FMI e del WTO e senza le quali appare difficoltoso imbastire una leale convivenza economica. Stando a quello che si può osservare, i fondi sovrani stanno svolgendo un ruolo positivo con interventi che forse nessuno avrebbe potuto fare con tanta rapidità. È noto infatti che nel gennaio 2008 i fondi sovrani di Singapore e Kuwait abbiano “soccorso” banche occidentali colpite dalla crisi dei crediti subprime, investendo 22 miliardi di dollari in Citigroup e più di 12 in Merrill Lynch, con il contributo anche del fondo sovrano sudcoreano. Le operazioni di “salvataggio” messe in opera dai fondi sovrani fino ad ora sono dunque tra le più ingenti mai viste, di dimensioni superiori e di maggiore tempestività di quanto sia avvenuto per opera del FMI in soccorso dei Paesi emergenti in occasione delle crisi finanziarie degli anni 90.
Nel medio-lungo termine sorgono tuttavia legittimi interrogativi sui benefici degli investimenti dei fondi sovrani considerata la loro consistenza patrimoniale, i ritmi di crescita, la loro quasi totale mancanza di trasparenza, la loro prevalente appartenenza a Stati non democratici. In tal senso i recipient countries stanno formalizzando strumenti di monitoraggio e controllo, onde evitare spiacevoli interferenze soprattutto in settori strategici, come ad esempio quello energetico. In generale si può dire che servano principi di policy per entrambe le parte, sia per i fondi sovrani sia per i governi. In questa direzione si stanno muovendo le istituzioni economiche internazionali: una prova è l’intesa sui principi e le pratiche generalmente condivisi raggiunta a Santiago del Cile ad ottobre. Nel frattempo c’è chi prospetta la creazione di un fondo sovrano per l’Unione Europea, a partire dalla mobilitazione delle riserve auree delle Banche centrali. Il Fondo sovrano Europeo potrebbe investire sia sul mercato europeo, in imprese e banche che avessero potenzialità globali (come fanno i fondi sovrani dei Paesi emergenti) o in aziende in difficoltà a causa di tracollo nei prezzi e/o panico di mercato, nonché su altri mercati, con una strategia di diversificazione del rischio-rendimento delle riserve, per esempio puntando a settori strategici quale l’energia, bilanciando così il rischio legato all’eccessiva dipendenza delle forniture dall’estero.
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Informazioni tesi
Autore: | Davide Buzzoni |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università degli Studi di Trieste |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze politiche e delle relazioni internazionali |
Relatore: | Igor Jelen |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 60 |
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